Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/08/2011, a pag. 57, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Shalit, la prigionia dimenticata. Una lettera per i suoi 25 anni ".



Gilad Shalit Noam e Aviva Shalit Hamas
Battistini scrive : " il governo israeliano, pur fra molte menzogne, con Hamas ha sperimentato l'impossibile: la guerra, la tregua, il negoziato, lo scambio, la punizione collettiva, gli assassinii mirati, il blocco terra-cielo-mare. ". Il governo israeliano ha provato a trattare con Hamas per la liberazione di Gilad Shalit da subito. Non si capisce che cosa intenda, Battistini, per 'punizione collettiva'. E non c'è un blocco terrestre, ma è ovvio che, dato che Hamas rifiuta di riconoscere Israele e continua a lanciare razzi, le merci in ingresso vengono sottoposte a rigidi controlli. Una volta appurato che non c'è nulla che possa essere utile ad Hamas nella fabbricazione di armi, le merci vengono lasciate passare. E questo non ha nulla a che vedere con la prigionia di Shalit.
Ecco l'articolo:
Caro Gilad... Fra allarmi sicurezza e cronache libiche, editoriali su Gerusalemme e foto di missili piovuti, due signori che si firmano «Mamma e papà» hanno fatto capolino ieri sulle pagine d'un giornale israeliano. Con una lettera al secondogenito, alla vigilia dei suoi 25 anni. È l'unico modo che hanno per comunicare con lui: loro si chiamano Noam e Aviva e da mesi stanno attendati davanti alla casa del premier Bibi Netanyahu, più desesperados che indignados; il ragazzo è Gilad Shalit, caporale ostaggio di Hamas da 1.890 giorni, cui è negato il diritto perfino d'una visita della Croce Rossa per far sapere, se non altro, se sia vivo. «Caro, nostro Gilad, col sole abbagliante sulle teste, proviamo a digerire il fatto che ancora non sei con noi...».
Mamma e papà raccontano il loro dolore di specie povera, come lo descriveva Natalia Ginzburg nella lettera al suo Michele. Spronano Gilad ad aspettare e a non stancarsi d'aspettare, dando valore a ogni minuto che passa, come scriveva Kipling al figlio. E non mollano, vogliono dirgli, perché non c'è Paese che possa esigere la solidarietà sociale e la fiducia nello Stato, se poi non sa recuperare un suo cittadino alla più elementare libertà. E non c'è esercito al mondo che possa disporre delle vite di chi arruola, se poi non riesce a riportare a casa un suo soldato e pappagalleggia solo una formula di rito: stiamo facendo tutto il possibile…
L'ira dolorosa degli Shalit si capisce. Anche se il governo israeliano, pur fra molte menzogne, con Hamas ha sperimentato l'impossibile: la guerra, la tregua, il negoziato, lo scambio, la punizione collettiva, gli assassinii mirati, il blocco terra-cielo-mare. Questa lettera, allora, potrebbe anche circolare un po' più in là. Nella celebrata, nuova democrazia egiziana, magari, dove Hamas è considerata un'affidabile interlocutrice. O a certi convegni dove i Fratelli musulmani (che per metà finanziano Hamas) sono ascoltati ospiti.
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