La sharia è il futuro dell'Egitto Mattia Ferraresi intervista il rettore dell'università di al Azhar
Testata: Il Foglio Data: 24 agosto 2011 Pagina: 5 Autore: Mattia Ferraresi Titolo: «La lezione del prof. islam»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 24/08/2011, a pag. I, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " La lezione del prof. islam ".
Mattia Ferraresi, Università di al Azhar
La traduttrice ammette che si sentirebbe più tranquilla se avesse un velo sui capelli. “Per i musulmani è una grande autorità che merita rispetto. Un po’ come se un cattolico incontrasse non dico il Papa ma una figura importante della gerarchia”, dice prima di entrare con deferenza in un salotto allestito nei padiglioni del Meeting di Rimini. Osama el Abd, rettore dell’Università di al Azhar, preferisce l’austerità della sedia al lassismo del divano e ai suoi interlocutori indica un piccolo scranno che assomiglia a un ceppo; alla kermesse di Cl el Abd è arrivato per l’incontro “Egitto: la bellezza, lo spazio del dialogo”, contemporaneamente sintesi e prosecuzione di una storia di dialogo fra cristianesimo e islam che è precipitato lo scorso anno in un’edizione cairota del Meeting riminese. Definire al Azhar un’università è una chiara riduzione della realtà. La madrassa fondata al Cairo attorno al 970 è diventata nel corso dei secoli un punto di riferimento della cultura islamica, e con le sue fatwe – e le sue controversie – ha modellato la giurisprudenza sunnita almeno fino al 1961, anno in cui Nasser l’ha resa un’istituzione universitaria di stampo laico in cui il rettore viene scelto per nomina presidenziale. Da allora al Azhar è un meccanismo che funziona a due velocità: una è la moschea guidata dal grande imam Mohamed Ahmed el Tayeb, istituzione di riferimento per la corretta interpretazione della dottrina coranica (“Il più moderato centro studi islamico del mondo”, lo ha definito il New York Times); l’altra è l’università parificata agli istituti prettamente laici (eccezion fatta per gli studenti copti, che ad al Azhar non sono ammessi). Questa posizione di confine ha generato negli ultimi decenni le furiose critiche dei salafiti (per i quali al Azhar è poco più di un reggicoda del governo), le meglio dissimulate idiosincrasie dei Fratelli musulmani e ha reso l’istituzione egiziana un interlocutore ripulito e credibile a livello internazionale. Non senza qualche scivolone, tipo la rottura dei rapporti con il Vaticano dopo l’attentato di Capodanno alla chiesa copta di Alessandria che ha ucciso 23 persone. Benedetto XVI aveva condannato le violenze contro i cristiani, e si era visto recapitare dal grande centro islamico un messaggio chiaro: “Questa è un’inaccettabile interferenza negli affari egiziani”. Questa stessa natura bilingue rende al Azhar un attore fondamentale nel sabbioso percorso di riedificazione dell’Egitto dopo la rivoluzione di piazza Tahrir, avventurosa pars destruens di un processo che deve essere completato con la costruzione di un nuovo Egitto. C’è la Costituzione da riscrivere, ci sono elezioni da organizzare, leggi da approvare, generali da schierare, estremisti da contenere, principi da determinare e un equilibrio da mantenere dopo i decenni di cruenta stabilità garantita da Hosni Mubarak. La figura di el Abd non può essere isolata dall’ambiente politicamente fluido dell’Egitto postrivoluzionario. Al Foglio spiega che “la missione di al Azhar è unire le persone e mettere insieme le idee di tutti, riconciliare i vari gruppi politici egiziani per il bene comune e non favorire gli interessi di parte. Il popolo egiziano deve essere unito e in pace, nel rispetto delle tutte le caratteristiche che contraddistinguono una buona società”. Tipo? “Al Azhar ha scritto un documento in cui si propone di fare da punto moderatore fra i vari gruppi all’interno del paese. Con lo scopo di unire, non dividere. Questa nostra iniziativa serve a confermare ancora una volta la natura laica del potere. Non vogliamo una teocrazia e nemmeno un governo militare. Un’altra iniziativa è la casa della famiglia, un luogo dell’accoglienza dove musulmani e cristiani stanno insieme. Dobbiamo combattere il fanatismo, essere saggi, mettere insieme la gente, non dividerla. Al Azhar deve rappresentare la moderazione”. Sulla nuova Costituzione egiziana, el Abd spiega che “i principi della legge islamica dovranno essere la fonte principale della nuova legge egiziana. Accanto a questi vanno considerati naturalmente i diritti umani e i principi della legge internazionale. Ma mill e 400 anni fa la legge islamica ha proposto e abbracciato i diritti umani, quindi non c’è nessuna contraddizione fra la legge internazionale e la sharia. Questa unità deve essere alla base della nuova legge egiziana”. Nella ricerca di un assetto politico per l’Egitto che in autunno arriverà alle elezioni presidenziali, l’obiettivo di al Azhar è quello di affermarsi come spazio laico d’intersezione sul quale costruire assieme a tutte le forze politiche. Compresi i Fratelli musulmani. In maggio, alcuni giorni dopo la morte di Osama bin Laden, la grande moschea legata all’università ha organizzato uno storico incontro con i leader dei Fratelli musulmani, osteggiati dall’istituzione commissariata de facto dal governo El Abd era uno degli interlocutori del meeting riservato in cui, secondo i media egiziani, il grande imam di al Azhar ha detto che la Fratellanza è sempre stata vicina al faro dell’islam sunnita e soltanto le circostanze politiche hanno impedito che le due realtà si incontrassero alla luce del sole. In quella circostanza el Tayeb ha detto che la morte di Bin Laden non è sufficiente per sradicare il terrorismo: “L’occidente, e non il mondo arabo, produce il terrorismo, che è alimentato dalla potenza occupante di Israele”. “Al Azhar ha scritto una bozza – dice el Abd – firmata da quasi il novanta per cento delle forze politiche del paese. Si tratta di una piattaforma sulla quale costruire un’Assemblea costituente”. Il documento di cui parla il rettore è stato firmato la settimana scorsa dopo due mesi di dialoghi fitti fra le varie forze politiche e nell’introduzione si legge: “Tutti riconosciamo il ruolo di al Azhar come leader nello sviluppo del pensiero islamico. Sottolineiamo dunque l’importanza di al Azhar nel determinare il rapporto fra lo stato e la religione e nell’individuare i fondamenti sui quali costruire una legittima politica basata sulla sharia”. Seguono gli undici principi ispiratori dell’Assemblea costituente: la natura democratica dello stato, il pluralismo, il rispetto dei diritti umani (contenuti nella sharia), la libertà religiosa, l’adesione alla legge internazionale, la conservazione dell’orgoglio nazionale, lo sviluppo scientifico e l’educazione come fattore di stabilità, la giustizia sociale, il legame con gli altri paesi arabi, l’indipendenza dell’istituzione di al Azhar e la sua centralità assoluta nel pensiero islamico In coda alle dichiarazioni laiche e di principio, arrivano dunque le rivendicazioni di un ruolo religioso e politico che è stato soffocato dall’abbraccio fra al Azhar e la gerarchia; superati da un lato dagli islamisti radicali, dall’altro dai liberali, gli animatori di al Azhar vedono nel vuoto di potere del dopo Mubarak l’occasione perfetta per ripulirsi dall’immagine di camerieri delle forze governative e trattare le condizioni per il dopo con tutti. Fratelli musulmani compresi. Anche per questo el Abd, che dell’istituzione è l’anima laica, diventa poetico quando ricorda i mesi febbrili di piazza Tahrir: “Per me è stata una rinascita anche a livello personale, un passaggio dal buio alla luce. Ho capito allora che il mio ruolo aveva una grande importanza e che potevo fare qualcosa di grande per il mio paese, per costruire una società più giusta e più libera, nel rispetto degli altri”. Ma qual è stata la genesi profonda della primavera araba? “La rivoluzione di gennaio si è scatenata esclusivamente per risolvere i problemi che c’erano in Egitto, per passare dal male al bene. Perché il popolo vivesse finalmente bene nel proprio paese. L’obiettivo era costruire un futuro nel paese, con rapporti migliori all’interno della società e nei confronti dei paesi stranieri. La base è il rispetto reciproco: questa è piazza Tahrir”. In occidente c’è stato un grande entusiasmo. Poi è subentrato una specie di raffreddamento, la paura che il futuro potesse essere anche peggio dell’era Mubarak. “La natura stessa del popolo egiziano – dice il rettore – è di non condividere il fanatismo. Quello egiziano è un popolo buono per natura, lontano da qualsiasi tipo di violenza. Questa è la caratteristica principale del popolo egiziano. Sono sicuro che l’Egitto non diventerà mai come altri paesi della regione. Bisogna essere certi che tutto il mondo sappia che l’Egitto è sempre stato un paese moderato, nella teoria e nella pratica. La pace è sempre il nostro scopo finale”. Eppure, in Egitto continuano per ora a essere al potere gli stessi uomini di Mubarak: Tantawi, Suleiman… “L’esercito cederà il potere a un’autorità civile – dice el Abd facendosi brusco – e lo hanno promesso. Sono certo che manterranno la promessa, perché l’esercito ha protetto la rivoluzione dall’inizio, non l’ha mai osteggiata. Su questa base noi abbiamo fiducia nell’esercito: alla fine l’esercito è parte del popolo egiziano”. Sul dibattito a proposito della legge elettorale – con il proporzionale in grado di favorire le fasce moderate e il maggioritario a rischio di rafforzare i partiti islamisti – el Abd rimane sul vago: “Quello che è importante è che le elezioni siano pulite, chiare e trasparenti. Su questa base la persona giusta andrà al potere”. Ma che i rapporti fra le varie forze che si stanno studiando nel grande calderone politico del Cairo non siano esattamente sereni lo dimostra un piccolo incidente accaduto al Meeting ieri: durante una conferenza stampa, Fattah Hassan, professore di italiano, ex parlamentare dei Fratelli musulmani e fresco traduttore de “Il rischio educativo” di Luigi Giussani, è stato duramente apostrofato da un giornalista egiziano: “Diventeremo come l’Iran e il Sudan”, ha detto in arabo. Lo stesso bersaglio dell’invettiva ha fornito ai presenti la traduzione.
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