Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2011, a pag. 15, l'intervista di Maurizio Molinari a Zvi Mazel dal titolo " L’esercito è assediato dalla piazza islamica ". Pubblichiamo l'analisi di Zvi Mazel dal titolo " Egitto: il gioco delle scuse ".
Ecco i due articoli:
INFORMAZIONE CORRETTA - Zvi Mazel : " Egitto: il gioco delle scuse "
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Sinai Zvi Mazel
L'analisi di Zvi Mazel che segue appare oggi contemporaneamente su Informazione Corretta, Jerusalem Post, Maariv
L'Egitto accusa Israele di non fare abbastanza per controllare il confine; annuncia che richiamerà l'ambasciatore per protestare contro le vittime durante l'attentato terrorista di giovedì lungo la strada per Eilat. Di fatto un tentativo sgradevole del Supremo Consiglio Militare che guida l'Egitto dopo la cacciata di Mubarak, per coprire il proprio fallimento nel mantenere la pace nel Sinai scaricando la colpa su un altro. Naturalmente Israele.C'era da aspettarsi ben altro dal paese dal quale sono entrati i terroristi che hanno organizzato l'attentato, per esempio, poteva essere " scusateci, investigheremo per scoprire come è potuto accadere in modo che non si ripeta più ".
Appena una settimana fa, alcuni ex generali egiziani avevano accusato lo stesso Supremo Consiglio Militare di avere pericolosamente trascurato quanto accadeva nella penisola del Sinai. Dichiararono alla stampa che l'area era fuori controllo egiziano e lo stato di emergenza andava proclamato subito con un coprifuoco in grado di consentire all'esercito di intervenire. Ciò che sta avvenendo nel Sinai , disse uno dei generali, ha superato la linea di guardia e sta mettendo in pericolo la sicurezza dell'Egitto. Aggiunsero che molte organizzazioni estremiste islamiche agivano nella più completa impunità e che la penisola era in uno stato di totale anarchia.
Queste pesanti accuse sono arrivate alla vigilia di merosi attacchi da parte di gruppi non identificati contro istituzioni dello stato, come stazioni di polizia e, almeno in cinque occasioni, contro il metanodotto che trasporta il gas verso Israele e Giordania. Dopo il quinto attentato è stato chiuso, causando un notevole danno all'economia egiziana. Ormai tutti sanno che, dopo la caduta di Mubarak, il governo centrale ha perduto il controllo del Sinai e che il vuoto è stato riempito subito da forze ostili allo stesso Egitto e a Israele.
Alla fine, per smuovere il Supremo Consiglio Militare, ci sono voluti gli attacchi ben pianificati, anche se falliti, alla stazione di polizia di El Arish da parte di un gruppo islamista estremista e la decisione della organizzazione salafita del Nord Sinai di istruire tribunali islamici in sostituzione di quelli statali, con la copertura delle loro milizie, forti di almeno 6000 soldati.
Valutato il pericolo, il Consiglio ha per prima cosa rinforzato la sicurezza intorno al Canale di Suez, poi, con una azione coordinata con Israele, ha inviato truppe nel Sinai.
Ciò che è accaduto giovedì sulla strada per Eilat è un'altra dimostrazione dell'anarchia della penisola.
Un gruppo di circa venti terroristi da Gaza, armati in grande quantità di armi ed esplosivi, sono entrati nel Sinai, passando attraverso i tunnel, liberi di preparare l'attentato per almeno una settimana. E' chiaro che i terroristi hanno potuto contare sull'aiuto logistico da parte di uno o più gruppi attivi nel Sinai. Avevano mezzi di trasporto, cibo e acqua, punti di osservazione per controllare il movimento sulla strada per Eilat dove poi avrebbero attaccato. Ci si chiede come abbiano potuto agire indisturbati senza essere stati visti dagli egiziani. Nel Sinai ci sono migliaia di agenti del Mukhabarat (servizi segreti egiziani n.d.t), come non hanno potuto accorgersi dei movimenti di un gruppoo così evidente, che ha percorso almeno 200 km lungo il confine per parecchi giorni ? E i soldati posizionati lungo il confine, come non hanno potuto vedere quel che si preparava ? Qualcuno avrà chiuso gli occhi, altri forse avranno anche aiutato ? Che ci sia stato un vistoso fallimento da parte egiziana è evidente, ma il Supremo Consiglio Militare si preoccupa solo di attribuire la colpa ad altri.
Sfortunatamente, quanto è accaduto, era prevedibile, c'erano state dimostrazioni contro Israele al Cairo, Alessandria e Suez. Erano girate voci di espulsione dell'ambasciatore israeliano e persino la rottura delle relazioni fra i due paesi. Non a caso queste manifestazioni pare fossero state organizzate dai Fratelli Musulmani, una forza politica legittimata nel nuovo Egitto, il cui portavoce ha chiesto ufficialmente la rottura delle relazioni. Due candidati alla presidenza, Amr Moussa e el Baradei, si sono subito accodati. Il primo ha chiesto una reazione appropriata, il secondo la sospensione delle relazioni, Il Supremo Consiglio si è trovato in mezzo a queste proteste.
Una nota positiva viene da alcuni commentatori militari, che chiedono di non dar retta alla folla e di agire in modo da evitare una crisi con Israele. L'ex generale Abdelmoneim Kato ha chiesto una indagine immediata su quanto è avvenuto e una reazione limitata ai canali diplomatici. Ha poi aggiunto che l'esercito egiziano deve continuare a combattere gli agitatori e restaurare l'ordine nel Sinai. Un altro commentatore militare, Mohamed Gamal Edin Mazioum, ha dichiarato che al momento l'Egitto non ha alcun interesse ad aprire una crisi con Israele, un paese che non ha fatto altro che difendersi da un attacco sulla strada che porta a Eilat.
L'Egitto deve oggi affrontare un grosso ostacolo nel Sinai, dove ci sono estremisti in numero maggiore che nel passato. Alcuni vengono da Gaza, ma sul territorio c'è anche una forte influenza iraniana. Ci sono gruppi specializzati nel contrabbando di armi, esplosivi e missili dall'Iran, dagli Hazbollah in Libano, da Gaza attraverso il Sudan e il Sinai. Con un governo centrale così debole, c'è chi ha diffuso l'eventualità di una "zona islamica libera" nel Sinai, simile a quanto avvenne in Afghanistan con Al qaeda, e che potrebbe diventare una base per gli attacchi contro Israele, ma anche contro l'Egitto e altre nazioni vicine.
Nè Israele ne Egitto hanno interesse a mettere in crisi il loro rapporto. Vanno evitate le dichiarazioni dai tono troppo accesi, mentre va approfondito l'esame di quanto è successo mediante un lavoro coordinato. Ora più che mai, in questi momenti difficili, la pace è di gra lunga la cosa più importante, sia per Egitto che per Israele.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta
La STAMPA - Maurizio Molinari : " L’esercito è assediato dalla piazza islamica"
Zvi Mazel Maurizio Molinari
Il consiglio militare che guida l’Egitto soffre le pressioni dei Fratelli Musulmani e dei nazionalisti nasseriani»: così Zvi Mazel, arabista ed ex ambasciatore israeliano al Cairo, spiega «il momento molto difficile nei rapporti bilaterali».
Perché l’Egitto minaccia di ritirare l’ambasciatore da Israele?
«Il gruppo dei militari che guida il Paese dalla caduta di Hosni Mubarak si sta dimostrando più debole di quanto si pensava. Dopo gli incidenti alla frontiera causati dai recenti attacchi terroristici vicino a Eilat i gruppi islamici e nasseriani sono scesi nelle piazze, esercitando pressioni forti e i generali le hanno subite. La richiesta di ritirare l’ambasciatore da Israele viene dai movimenti popolari egiziani che occupano le strade e con i quali l’esercito vuole evitare, per comprensibili ragioni, di avere dei bruschi contrasti».
Ciò significa che il trattato di pace di Camp David è a rischio?
«In ultima analisi credo che l’esercito difenderà Camp David perché la pace con Israele resta un perno della stabilità egiziana, soprattutto economica, ma i pericoli vengono da una transizione politica che si annuncia molto lunga. Fra l’emanazione della nuova Costituzione, le elezioni parlamentari e quelle presidenziali non credo che terminerà prima del 2013 e ciò significa avere davanti quasi due anni di braccio di ferro fra esercito e movimenti di piazza. E’ l’incertezza di tale transizione all’origine del momento davvero molto difficile nelle relazioni di Israele con l’Egitto post-Hosni Mubarak».
Quali sono le opzioni che il governo di Netanyahu oggi possiede?
«Ne ha solo una, continuare a collaborare con l’Egitto sulla base di Camp David. Le relazioni fra i due eserciti restano solide e entrambi i Paesi hanno interesse a tenere sotto controllo la situazione nel deserto del Sinai, dove gruppi jihadisti, tribù beduine e trafficanti di ogni genere fomentano un’illegalità della quale possono giovarsi i flussi di clandestini dal Sudan così come i gruppi terroristici palestinesi che operano da Gaza per riuscire a colpire Israele. Ci sono interessi concreti che accomunano Israele ed Egitto. L’interrogativo però è quanto i militari al Cairo riusciranno ad arginare una piazza che ha forti sentimenti anti-israeliani».
Eppure durante le proteste contro Mubarak i toni anti-israeliani non sembravano tanto marcati...
«Perché la priorità delle piazze in quel momento era rovesciarlo, tutto il resto era secondario. Non dobbiamo dimenticarci che in Egitto non esistono consistenti forze liberali o centriste ma solo due grandi campi politici: quello nazionalista, erede delle battaglie di Nasser, e quello islamico, rappresentato dai Fratelli Musulmani. Nessuno dei due è favorevole a Israele. Da qui l’importanza del ruolo delle forze armate, che sin dalla firma degli accordi di Camp David sono state il garante della pace».
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