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21.08.2011 Bandiere israeliane bruciate e razzi dalla Striscia
analisi di Fiamma Nirenstein, Angelo Pezzana. Cronache di Aldo Baquis, Carlo Panella. Intervista a David Grossman di Anais Ginori

Testata:Il Giornale - La Stampa - Informazione Corretta - La Repubblica - Libero
Autore: Fiamma Nirenstein - Aldo Baquis - Angelo Pezzana - Anais Ginori - Carlo Panella
Titolo: «Se guerra e martirio contagiano pure gli arabi moderati»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/08/2011, a pag. 14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Se guerra e martirio contagiano pure gli arabi moderati". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Egitto, crisi diplomatica con Israele  ". Da REPUBBLICA, a pag. 4, l'intervista di Anais Ginori a David Grossman dal titolo "  Abbiamo bisogno di pace, la guerra non è il nostro destino". Da LIBERO, a pag. 14, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Israele nel mirino di Egitto e Hamas. Ma Obama tace ".
Pubblichiamo la 'Lettera da Gerusalemme' di Angelo Pezzana dal titolo " L'uso della forza con l'intelligenza ".

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere l'analisi di Zvi Mazel e l'intervista che gli ha fatto Maurizio Molinari, pubblicate in altra pagina della rassegna


Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Se guerra e martirio contagiano pure gli arabi moderati "


Fiamma Nirenstein 

Se l’attacco terroristico di Eilat tragicamente conferma il fatto che ormai dall’Egitto postrivoluzionario spirano pesanti minacce di guerra; se pensare che un commando terrorista variegato per missili, cinture suicide e kalashnikov, ma compatto nella determinazione di uccidere chi capita rappesenti l’orrore impersonificato per la sua fame di uccidere passanti innocenti… non abbiamo visto ancora niente. Sono gli eventi del giorno dopo che ci svelano lo scenario delle prossime puntate, e ci dicono purtroppo che il peggio deve ancora venire. Invece di lanciare ai palestinesi di Hamas e altre organizzazioni terroriste una condanna che suoni come un invito alla pace, pressocché tutto il mondo arabo li esalta.

All’ONU, il Libano, nel suo ruolo di membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza, ha impedito contro ogni ragionevolezza che esso votasse una risoluzione di condanna dell’attentato minacciando il veto se non vi fossero state inserite parole di condanna anche per Israele. Ma Israele ha solo reagito a un attacco che ha fatto 8 morti e decine di feriti sul suo territorio nazionale, e lo ha fatto colpendo obiettivi puntuali, come avrebbe fatto qualsiasi paese colpito. Se i terroristi cercano rifugio in siti civili, questo fa parte dell’immenso problema della guerra asimmetrica, che non può tuttavia condannare a essere inermi. Ma si sa, a Israele è vietato reagire altrimenti è un coro di condanne, che però non ci sono mai state prima per l’attentato stesso, né per i missili quotidiani sparati da Gaza sulle città israeliane, come è successo persino ieri.

L’Egitto: del tutto incurante che il commando sia uscito dal suo territorio e che la cosa avrebbe forse potuto essere prevenuta o almeno esplicitamente combattuta, ha preferito invece di porgere le sue scuse ritirare il suo ambasciatore da Tel Aviv e ammonire l’ambasciatore israeliano perché alcuni suoi uomini erano stati per sbaglio uccisi nella reazione israeliana. Israele si è scusata. La reazione, certo non ci sarebbe stata se il Sinai non fosse ormai un campo di esercitazione del terrore. Del resto il giornale del Cairo Al-Gomhuria nell’editoriale ha sostenuto che “l’aggressività israeliana” è responsabile per l’attacco, e così ti saluto. Il quotidiano saudita Al Jazeera sostiene che l’attacco è “giustificato e legale nonostante le esagerazioni occidentali”; al Sharq, dal moderno Qatar, si diffonde nel descrivere con ammirazione quello che chiama “un attacco di altà qualità”.

L’entusiasmo è alle stelle, far fuori gli ebrei ha nell’area un forte indice di gradimento e la ragione ce la spiega il “moderato” Hafez Barghouty, direttore del giornale palestinese Al Hayat Al Jadida: “L’operazione mostra cosa potrà ora provenire da quei confini che fino ad ora erano sorvegliati da regimi che cadono adesso uno ad uno”. La rivoluzione araba insomma, dice Barghouty farà cadere “il regime criminale israeliano”. Ovvero, l’entusiasmo filo-terrorista dei cosiddetti paesi moderati è la maniera più sicura per cercare di compiacere le masse in agitazione: si espande l’odio antisraeliano e antiebraico che le ha tenute al guinzaglio per tanto tempo.

Il potente rischio del momento è che questo punto di vista si sviluppi, ciò che danneggerà sia i democratici in lotta per un po’ di libertà, intrappolati nella morsa islamista massimalista, sia Israele, circondato dall’odio che genera il terrorismo. Qualche giorno fa la tv palestinese in un programma intitolato “Le migliori madri” intervistava la madre di un terrorista, Yusuf Shaker Al Asr, e le chiedeva perché suo figlio aveva voluto immolarsi. La madre ha risposto che il figlio aveva scelto, piuttosto che un matrimonio normale, di sposare le 70 vergini dagli occhi neri, quelle che aspettano lo shahid in Paradiso. Grande benevolenza e ammirazione hanno accolto le sue parole. Così piccoli terroristi crescono, quando si sentono benvoluti.
www.fiammanirenstein.com

La STAMPA - Aldo Baquis : " Egitto, crisi diplomatica con Israele "

Le relazioni diplomatiche fra Israele ed Egitto - per decenni uno dei cardini principali della politica del Medio Oriente - sono state messe a dura prova in seguito ai clamorosi attentati condotti giovedì scorso in territorio israeliano a 30 chilometri a Nord di Eilat (mar Rosso) da un nutrito commando giunto dal Sinai.

Ieri, malgrado il riposo sabbatico, i dirigenti israeliani sono stati costretti a reagire con grande celerità a notizie giunte nella nottata circa l’intenzione del Cairo di richiamare in patria, per consultazioni, l’ambasciatore a Tel Aviv Yasser Rida.

All’origine di questa clamorosa protesta c’erano l’uccisione di almeno cinque militari egiziani (da parte del fuoco israeliano, durante gli scontri di giovedì con i terroristi in fuga), e anche accese manifestazioni di piazza al Cairo in cui veniva reclamata l’espulsione dell’ambasciatore di Israele.

Dopo una serie di consultazioni nel ministero della Difesa, nel tentativo di placare la collera egiziana il ministro Ehud Barak ha infine espresso «rammarico» per la morte dei militari e si è detto disposto ad indagare assieme con l’Egitto sull’incidente (o gli incidenti) in cui sono stati coinvolti. «È nostro assoluto impegno mantenere il trattato di pace con l’Egitto», ha dichiarato un portavoce del ministro. A quanto pare il richiamo dell’ambasciatore Rida è stato per ora annullato, perlomeno la diplomazia israeliana sostiene di non aver ricevuto per ora notifiche ufficiali dai colleghi dei Cairo.

In Israele resta comunque la sensazione che i militari egiziani possano essere stati colpiti in realtà dai terroristi, o che questi ultimi si siano appostati di proposito nei pressi di una postazione egiziana per farsene scudo. Fonti ufficiose di Gerusalemme aggiungono che semmai dovrebbe essere l’Egitto a scusarsi con Israele perché il commando dei terroristi è passato impunemente attraverso il Sinai. Ma su queste polemiche viene mantenuta la sordina perché anche ieri la diplomazia egiziana ha fatto il possibile per inoltrare messaggi fra Israele e Hamas al fine di circoscrivere la spirale di violenza che negli ultimi giorni ha investito la Striscia di Gaza e il Neghev israeliano.

Hamas, che nella nottata di venerdì aveva annunciato la fine di una tacita tregua con Israele durata oltre due anni, ha poi fatto sapere che uno dei suoi mezzi di comunicazione era stato vittima di un malinteso. Ma i suoi lanciatori di razzi non sono rimasti con le braccia conserte e in serata hanno sparato di nuovo missili Grad verso Beer Sheva e Ofakim (nel Neghev) centrando due condomini. Un israeliano è rimasto ucciso a Beersheba Complessivamente da Gaza sono stati sparati ieri 50 razzi, che hanno colpito alcuni centri abitati e fatto diversi feriti, alcuni anche gravi.

Intensa anche l’attività dell’aviazione israeliana che fra giovedì e sabato ha condotto venti incursioni nella Striscia di Gaza, per cercare di fermare il lancio dei razzi e colpire i responsabili dell’attacco di tre giorni fa, e provocando la morte di almeno 15 palestinesi (fra cui anche alcuni civili) e il ferimento di oltre cinquanta.

In questo contesto già molto convulso il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha ritenuto ieri di dover aprire un nuovo fronte accusando l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen di fiancheggiare il terrorismo e di esserne politicamente corresponsabile. Commentando una nota di condanna palestinese per la uccisione a Gaza dei presunti organizzatori degli attentati a Nord di Eilat, Lieberman ha aggiunto pessimisticamente: «I palestinesi non hanno una leadership degna di questo nome. L’unico elemento di coesione fra il regime di Hamas a Gaza e quello dell’Anp in Cisgiordania sono il terrorismo, e l’odio verso Israele».

INFORMAZIONE CORRETTA - Angelo Pezzana : " L'uso della forza con l'intelligenza "

Ieri più di 80 missili Grad, lanciati da Gaza, hanno colpito il sud d'Israele. A Beersheva un uomo è rimasto ucciso dopo che un missile ha raggiunto la sua abitazione, mentre una donna è in fin di vita all'ospedale Soroka.
Dozzine di feriti anche nelle vicine città di Asquelon e Ashdod.
 Una situazione insostenibile, che impone al governo israeliano una decisione immediata. Che Gaza  sia diventata un coacervo di gruppi palestinesi terroristi è un fatto, come è vero che Hamas non può chiamrsi fuori delle sue responsabilità. Che l'attentato di giovedì scorso sulla strada che porta a Eilad abbia la firma del PRC (ci perdoni chi legge, non facciamo confusioni, malgrado la sigla sia identica, non è il Partito Rifondazione Comunista, va letto come Popular Resistance Committees) i suoi stretti legami con la casa madre Hamas sono accertati. Anche perchè la precisione con la quale l'attentato di giovedì scorso è stato preparato - lo analizza con molta chiarezza Zvi Mazel nell'articolo che IC pubblica oggi in altra pagina . non può essere stato organizzato senza la complicità di Hamas, e, quasi certamente, anche quella egiziana, almeno fra quelle forze che dovrebbero controllare la sicurezza nella penisola del Sinai.
La risposta ci sarà, questo è certo, resta da decidere quale. L'esperienza di Cast Lead di due anni e mezzo fa ha lasciato giudizi contrastanti , forse lo stesso risultato si poteva raggiungere con altri mezzi. Da ieri Bibi Netanyahu e Benny Gantz, capo di Stato Maggiore, stanno discutendo, appunto, quali strategie siano da mettere in campo.
Le enumera oggi, in una analisi sul Jerusalem Post, Yaakov Katz, che esclude comunque una operazione militare di larga portata. Il primo settembre riaprono le scuole, non deve essere un giorno da trascorrere nei rifugi anti-missile. Nello stesso tempo, deve essere una risposta forte ed efficace, che colpisca Hamas, PRC, Jihad, Al Qaeda, e tutte quelle sigle che ormai hanno base nella Striscia di Gaza.
Potrà essere una operazione di terra, limitata ad obiettivi specifici, ad esempio nella parte nord della Striscia, che miri a colpire basi terroristiche già individuate. Verrà anche esaminta con l'attenzione dovuta, l'eliminazione dei leader terroristi già localizzati, una tattica che può essere praticataa con un doppio risultato, nessun rischio per la conduce e una condivisione da parte dell'opinione pubblica internazionale che non può ignorare il diritto di Israele alla propria difesa.
Mentre scriviamo giunge notizia che al Cairo è stata assalita l'ambasciata israeliana, data alle fiamme la bandiera bianca e azzurra con la stella di Davide che sventolava sulla facciata, sostituita poi con una egiziana.
Malgrado ciò, l'interesse di entrambi i paesi è mantenere i nervi saldi, nella speranza che all'interno del Supremo Consiglio Militare egiziano siano in numero sufficiente coloro che capiscono quanto la minaccia del terrorismo, e la folla scatenata, siano un pericolo mortale non solo nei confronti di Israele, ma dello stesso Egitto.

La REPUBBLICA - Anais Ginori : " Abbiamo bisogno di pace, la guerra non è il nostro destino "

David Grossman, oltre a essere un rinomato scrittore ha anche, come i grandi cuochi, una capacità straordinaria: cuocere l'aria. Una ricetta facile, non a caso è stata appresa dalla maggior parte degli analisti occidentali, che la usano come additivo in tutti i loro commenti, così come si fa con il sale.
Ma il sale, preso in quantità eccessive, è dannosissimo per le arterie e la circolazione. Anche quella delle idee.
Cari lettori, ecco a voi ai fornelli David Grossman:

PARIGI - «La guerra non è il nostro destino». Con un accorato appello, lo scrittore israeliano David Grossman continua a pensare che esista uno stretto cammino verso la pace, anche adesso che i venti di guerra si sono rimessi forti a soffiare. «Oggi ci sembra terribilmente difficile immaginarlo perché significherebbe trovare dei compromessi dolorosi» racconta Grossman in un´intervista a Libération in occasione dell´uscita del suo nuovo romanzo. I focolai dell´estremismo sono ancora alti, come dimostra il nuovo attentato ad Eilat, ammette lo scrittore. «Ovviamente - continua - ci sarà sempre il rischio di avere nuovi fanatici da una parte e dall´altra che faranno di tutto per uccidere la pace nascente».
Insieme ad Amoz Oz e Abraham Yehoshua, Grossman è tra i più impegnati intellettuali pacifisti di Israele. «Se saremo abbastanza intelligenti, coraggiosi e fortunati per arrivare alla pace, il mondo sarà sorpreso di veder come israeliani e palestinesi possono lavorare insieme e utilizzare i loro talenti per cominciare una vita normale. Dico normale - aggiunge lo scrittore - anche se non ho mai vissuto una vita normale». Grossman è convinto che occorra dare ai palestinesi l´occasione di emanciparsi dall´ombra di Israele, crescere senza paura, ritrovando una propria dignità. «Allora potranno mettere tutte le loro energie per costruire la loro nazione, e così anche noi».
Nel colloquio con il giornale francese, lo scrittore ricorda come la violenza sia impregnata nella società israeliana da oltre due secoli. «Non siamo peggiori di altri popoli, qualsiasi nazione intrappolata in questa situazione farebbe la stessa cosa. Cominci a dividere il mondo tra buoni e cattivi, c´è una demonizzazione dell´altro e un´idealizzazione di te stesso». Grossman ha partecipato alle manifestazioni del movimento degli "indignati" ebrei e arabi contro gli sfratti di Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme Est. «C´è un costante arretramento della democrazia. Un gruppo di ebrei messianici ha sequestrato lo Stato intero. Una piccola minoranza detta il nostro sistema di valori, la nostra politica, il nostro avvenire. La mentalità delle colonie ha invaso tutto il paese». Ora che la minaccia torna ai confini, Grossman chiede di trovare una via d´uscita. «Non ho fiducia nella buona volontà dei paesi arabi. Ma l´esercito non può essere l´unico mezzo per restare qui».

LIBERO - Carlo Panella : " Israele nel mirino di Egitto e Hamas. Ma Obama tace "

L’escalation della tensione in Medio Oriente si sviluppa frenetica come i terroristi palestinesi che hanno portato a segno gli attentati di Eilat e del Sinai di giovedì si erano prefissi. Gli attentati, infatti, sono caduti in una situazione di crescente pressione terroristica su Israele. Da settimane - e ancora più negli ultimi due giorni - le città israeliane di Ashqelon, Ashdod, Sderot, Beer Sheva, Kiryat Gat e Ofakim sono infatti bersagliate da razzi che partono da Gaza, con decine di feriti (nel totale disinteressamento - va detto - della comunità internazionale). Poco importa se sono razzi lanciati da Hamas o se neanche Hamas riesce ormai a tenere sotto controllo i gruppi di terroristi che ospita a Gaza, come ha dimostrato lo sgozzamento del cooperante italiano Vittorio Arrigoni ad aprile. Non solo: il gasdotto che porta il metano dall’Egitto a Israele attraverso il Sinai è ormai bloccato da attentati continui. In questo contesto, la reazione israeliana è stata dura: da giovedì Gerusalemme ha effettuato 20 raid aerei su Gaza che colpendo dirigenti militari di Hamas della Jihad islamica e dei Comitati di Resistenza popolare. A seguito dei raid, il portavoce del braccio armato di Hamas, Abu Obeida, ha dichiarato che le Brigate al Qassem non sono più vincolate dal tacito cessate il fuoco con Israele e che «Hamas è in grado di colpire Tel Aviv». In questo clima incandescente è deflagrata una crisi diplomatica tra Egitto e Israele, causata dall’uccisione di 5 guardie di frontiera egiziane durante la caccia israeliana agli attentatori di Eilat e del Sinai. Errore che ha una motivazione chiara: gli attentatori indossavano divise egiziane e quindi nello scontro a fuoco, nei pressi di un posto di frontiera tra Israele ed Egitto, gli israeliani non sono riusciti a distinguere terroristi da militari. Per protesta, ieri il Cairo ha ritirato il suo ambasciatore a Gerusalemme, ma il governo israeliano ha subito cercato di disinnescare la crisi. Il portavoce del Ministero della Difesa, Amos Ghilad, ha infatti dichiarato che i «rapporti di pace con l’Egitto sono oggi un bene strategico di grande importanza per entrambi i Paesi», ha assicurato che nessun militare israeliano ha aperto il fuoco intenzionalmente sugli egiziani. In realtà, l’elemento più grave di questa escalation di crisi è l’evidente scelta dei generali egiziani di non fare più quello che hanno sempre fatto: impedire alle organizzazioni terroristiche di usare del Sinai per attaccare Israele. Dal 10 marzo, da quando è caduto Mubarak, nonostante che nulla sia cambiato nelle strutture militari egiziane, il Sinai è diventato infatti zona di libero transito per le più varie organizzazioni terroristiche, inclusa Al Qaeda. Evidente dunque la scelta irresponsabile del vertice militare del Cairo - che oggi governa il Paese - così come evidente è la responsabilità politica degli Usa e di Barack Obama. Il feldmaresciallo Hasssan Tantawi, massima autorità politico militare egiziana è legatissimo a Washington (che gli ha chiesto di deporre Mubarak) e sa bene che Obama ha una posizione ora ondivagante, ora assente nella crisi mediorientale, tanto che continua a versare ai generali del Cairo 2 miliardi di dollari l’anno e che non minaccia per nulla (come faceva G. W. Bush) di sospendere i versamenti se non riprende il controllo militare del Sinai a difesa di Israele. L’assenza della presenza di grande potenza degli Usa diventa così elemento trainante e incontrollato delle escalation di crisi sia sullo scenario israelo-palestinese, che su quello siriano (e libico).

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