Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2011, a pag. 50, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Ringrazio i critici letterari che non perdonano il successo ".



Alessandra Farkas, Marc Levy, Ascolta la mia ombra (Rizzoli)
La casa dove si è appena insediato dopo tre anni di ristrutturazioni è una townhouse grigia di quattro piani su West 4th Street, in una delle zone più esclusive del Village, storico quartiere un tempo «alternativo» oggi abitato da ricchi avvocati e dottori di mezza età. Nel suo studio high-tech all'ultimo piano — l'unico in cui il 49enne Marc Levy ci consente di curiosare — i tecnici stanno testando il nuovo sistema digitale computer-tv-stereo nascosto tra gli scaffali della libreria da cui spicca una foto in bianco e nero che lo ritrae, bambino, insieme ai genitori e alla sorella. I pochi oggetti di cui Levy si è circondato — la poltrona da analista in pelle marrone, il tavolino stile bistrot nell'ampia terrazza con vista su Lower Manhattan, il portamatite in argento vinto dalla prozia inglese Jewel Glover, campionessa di golf negli anni 60 — non bastano a ricostruire l'identikit di una vita. L'arredamento minimalista sembra scelto da qualcuno pronto a ripartire in qualsiasi momento. «Più che un espatriato mi sento un viaggiatore — esordisce lo scrittore —. Quando sono a New York ho nostalgia dei caffè di Parigi, ma quando sono in Francia mi mancano la mia famiglia e gli amici del West Village. Del resto uno scrittore deve stare lontano da casa per trovare l'ispirazione».
Prima di scoprirla tra i grattacieli di New York, Levy si è imposto in patria come lo scrittore francese più letto al mondo coi suoi dieci bestseller tradotti in 42 lingue che hanno venduto 23 milioni di copie. Una sorta di miracolo per l'ex informatico che prima di debuttare come scrittore a 37 anni con Se solo fosse vero (da cui la Dreamworks di Spielberg ha tratto il film con Reese Witherspoon e Mark Ruffalo), lavorò per la Croce Rossa, fondando prima una ditta di grafica e poi uno studio d'architettura.
Il suo ultimo libro Ascolta la mia ombra (Rizzoli) racconta la storia di un ragazzino solitario che dopo la separazione dei genitori scopre di avere un dono: vedere e ascoltare le ombre delle persone. «Le ombre sono la metafora dello spirito di una persona. Per i bambini non c'è distinzione tra realtà e fantasia: i fantasmi che i bambini vedono tra le tende, i mostri che immaginano sotto il letto, sono là, non importa cosa dicono i genitori. Per me c'è più verità nell'infanzia che nella vita adulta». A partire dalla sua a Beaulieu sur Mer, cittadina della Costa Azzurra, a trenta chilometri da Ventimiglia, dove la sua famiglia si recava tutti i venerdì a fare la spesa nel locale mercatino. «È stato bellissimo crescere vicino al mare e col profumo dell'Italia nelle narici. Ogni mattina mi alzavo e scrutavo l'orizzonte. I luoghi della mia infanzia hanno influenzato la mia sensibilità letteraria e non solo». La fonte d'ispirazione di Ascolta la mia ombra è però un'altra: suo nonno materno. «Un giorno, avrò avuto 42 anni, ero in auto con mia madre e il mio primogenito, allora dodicenne. Mentre dicevo a mio figlio che gli volevo bene, mia madre mi fece notare che suo padre non gliel'aveva mai detto. Mio nonno è morto quando io avevo 12 anni, quindi mia madre aveva superato il lutto della sua perdita. Ma non riusciva a convivere col fatto che il padre l'avesse abbandonata da piccola e che non le avesse mai mostrato affetto».
Una lezione di cui lui ha fatto tesoro: «Sono contento di avere entrambi i miei figli con me negli Stati Uniti». Georges, il più piccolo, è un bimbo dai grandi occhi neri bello come la sua seconda moglie Pauline Lévêque. Il più grande, Louis, ha 21 anni e studia da regista alla New School. È lui l'artefice involontario del successo letterario paterno. Un successo iniziato nel 1998 quando Levy decise di scrivere Se solo fosse vero con l'idea di darlo al figlio una volta cresciuto. Fu sua sorella, sceneggiatrice, a convincerlo a inviare il manoscritto all'editore Robert Laffont. Susanna Lea, la sua agente letteraria, portò il libro alla fiera di Francoforte, dove ben 6 case di produzione si dissero interessate ad acquistarne i diritti. Il lunedì dopo, mentre era al telefono con un agente della Dreamworks, Spielberg si unì alla conversazione. «Ero terrorizzato dall'idea di incontrare un simile mostro sacro — confessa Levy — poi ho scoperto che è una persona normale e allo stesso tempo straordinaria».
Ma con la devozione dei lettori sono arrivati anche gli strali della critica, soprattutto francese, che l'ha bollato come «un autore di romanzi da spiaggia». «Mi va bene così — ribatte Levy —. Sono grato ai critici per avermi attaccato, soprattutto all'inizio. Per essere dei buoni scrittori è necessario essere umili e io ho più stima di chi sbaglia in modo genuino di chi ha sempre ragione ma non è sincero». La critica francese e italiana è sospettosa degli scrittori che vendono molto? «Certo. Nei Paesi latini i critici letterari sono anche scrittori: un'anomalia che non avviene né nel cinema, né nella musica. Questi critici-scrittori fanno parte di una sorta di club con regole ben precise e io non ci tengo ad appartenere a tale circolo». Molte delle critiche ruotano intorno al fatto che Levy guadagnerebbe «troppo». «Alcuni vivono ancora con il pregiudizio che artisti e scrittori di talento debbano essere poveri in canna e possibilmente morire giovani», insiste, alzandosi per sfilare un libro dagli scaffali: «Ceci n'est pas de la littérature», scritto da Sylvie Yvert nel 2008, che raccoglie le critiche fatte a scrittori del XVII e XVIII secolo. «È incredibile cosa hanno detto su Balzac, Zola, Hugo... Ad esempio, di Balzac hanno scritto che faceva ridere quando voleva far paura e faceva paura quando voleva far ridere. Di Victor Hugo, che usava il vocabolario come se fosse la ruota della fortuna».
Levy dice di leggere solo libri in francese «per poter apprezzare appieno vocaboli e stile» (i suoi autori preferiti sono Antoine Audouard, Yves Simon, Christian Bobin e Romain Gary ma anche Alessandro Baricco, Philip Roth e Cormac McCarthy) e di non frequentare né francesi né scrittori «perché attratto da chi è diverso da me». Alla domanda «le piace più Sarkozy o Obama?» non ha dubbi: «Preferirei cenare col primo. Quando era candidato alla presidenza l'ho incontrato a Londra. È una persona ricca d'interessi e molto intelligente». La cosa più importante per Levy, oggi, è l'umiltà. «Due anni fa ero nel giardino dell'Istituto Pasteur per un servizio di Antenne2 quando incontrai una donna timida e dimessa con cui scambiai qualche parola. Quando più tardi il cameraman mi spiegò che era Françoise Barré-Sinoussi, una delle ricercatrici che ha scoperto il virus dell'Aids, restai di stucco chiedendomi che cosa sono io, un semplice scrittore, di fronte a una come lei?».
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante