Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 20/08/2011, a pag. 13, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo "I siriani tornano in piazza: Il Presidente se ne vada".
Bashar al Assad
Con l’inasprimento delle sanzioni economiche, la corale condanna internazionale e il mondo arabo in allontanamento dalla nave che affonda, c’è davvero aria di «regime change» in Siria? Ne sembra convinta l’opposizione, che nel 24˚ venerdì di rabbia dall’inizio della protesta ha tenuto a battesimo la Commissione generale della rivoluzione siriana (Cgrs), una coalizione di 44 sigle, tra cui gli attivissimi Comitati di coordinamento locale, nata per «unire gli sforzi politici, mediatici e sul terreno» in vista dell’avvento della democrazia. Eppure gli scontri con le forze di sicurezza, in cui anche ieri hanno perso la vita almeno 22 persone, fotografano uno stallo più prossimo all’involuzione che all’evoluzione.
«Costringere Assad a dimettersi sarà dura: in Egitto le parole degli Stati Uniti avevano un peso, ma in Siria, come in Libia, avranno poca eco e potrebbero addirittura essere distorte a vantaggio di un regime che si descrive come l’ultimo bastione del nazionalismo arabo e della lotta all’imperialismo occidentale» osserva Robert Danin, esperto del Council on Foreign Relations. Un’incertezza che spiega probabilmente la titubanza della Turchia, meno risoluta di Mosca nel premere affinché si conceda più tempo ad Assad, ma altrettanto ostile a qualsiasi intervento occidentale. Nei giorni scorsi Ankara aveva usato toni duri contro la repressione di Damasco ma oggi, più attenta al suo nuovo ruolo di leader regionale (alla ricerca di consensi perfino in Somalia), mostra maggiore cautela e suggerisce che a chiedere le dimissioni del presidente non debba essere la comunità internazionale bensì il popolo siriano.
In compenso il sostegno di Washington e di molti Paesi europei, cui ieri si è associata la Spagna, ha caricato l’animo delle migliaia di dissidenti che sono scesi in strada a Damasco, Dayr az-Zor, Homs, Daraa, Latakia (dove la polizia ha bloccato l’accesso alla moschea) invocando la caduta del regime.
«Questo venerdì è stato uno dei più importanti per il movimento di protesta siriano. Per settimane le forze di sicurezza sono riuscite a impedire le manifestazioni di massa ma ieri, galvanizzati dall’appoggio internazionale, migliaia di persone hanno sfidato la polizia in assetto di guerra un po’ dovunque, nonostante il presidente avesse promesso la fine delle operazioni militari» spiega uno dei portavoce dei Comitati di coordinamento locale. Un video postato su YouTube mostra alcuni soldati siriani che picchiano i passeggeri di un autobus ridendo e inneggiando «Allah, la Siria, Bashar e basta» ma per l’opposizione è la prova del nervosismo isterico del governo alle corde.
Il presidente Assad resta in trincea. L’agenzia di Stato Sana ridimensiona la protesta e parla di un poliziotto e un civile uccisi a Ghabagheb da «uomini armati». Al di là della propria narrativa, però, il regime scruta l’orizzonte. La vera minaccia non cova nelle sanzioni, che potrebbero finire per colpire più il popolo che non la famiglia presidenziale, ma nelle banche, da cui i siriani continuano a prelevare valuta da spostare altrove.
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