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Il Sole 24 Ore - L'Unità Rassegna Stampa
14.08.2011 Le rivoluzioni nel mondo arabo in mano agli islamisti
Commento di Khaled Fouad Allam, cronaca di Cristiana Cella

Testata:Il Sole 24 Ore - L'Unità
Autore: Khaled Fouad Allam - Cristiana Cella
Titolo: «Legami pericolosi Islam-politica - La rivoluzione tradita ma noi forze laiche non ci rassegnamo»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 14/08/2011, a pag. 26, l'articolo di Khaled Fouad Allam dal titolo " Legami pericolosi Islam-politica ". Dall'UNITA', a pag. 36, l'articolo di Cristiana Cella dal titolo " La rivoluzione tradita ma noi forze laiche non ci rassegnamo ".
Ecco i due articoli:

Il SOLE 24 ORE - Khaled Fouad Allam: " Legami pericolosi Islam-politica "


Khaled Fouad Allam

Sono appena tornato da un viaggio nei Paesi arabi, e posso affermare che in quelle capitali regna oggi un'atmosfera inquietante; sembra che le rivoluzioni stiano arenandosi. La parola araba thawra significa sia "rivoluzione" che "rivolta"; ma ciò che è accaduto è stato certo più di una rivolta, perché regimi come la Tunisia e l'Egitto sono stati deposti dalla piazza. Nel caso tunisino ho potuto osservare come la situazione sia cambiata nell'arco di un mese, e come l'incertezza connoti le situazioni politiche che si sono create. Ciò che scrissi su queste pagine qualche mese fa - vale a dire che probabilmente il mondo arabo sta transitando verso una forma di islamonazionalismo - trova oggi conferma sia in Egitto che in Tunisia: da un lato i partiti e i movimenti religiosi stanno cercando di darsi un volto istituzionale attraverso elezioni che si svolgeranno nei prossimi mesi, dall'altro i movimenti laici si trovano a dover difendersi di fronte all'avanzata di questi gruppi. Certo, nel caso tunisino ci sono oltre 90 partiti politici in lizza - nazionalisti, repubblicani, comunisti, religiosi - ma questa adesione alla democrazia prefigura in realtà una cruenta battaglia che si svolgerà sul terreno e nelle istituzioni; perché nel mondo arabo la questione dei rapporti fra religione e politica non è ancora risolta, al contrario il fenomeno religioso vuole fare, attraverso la dinamica istituzionale, il suo ingresso nell'arena politica. Ciò sta provocando ovviamente fratture all'interno dei movimenti religiosi islamici.

E il clima che regna attualmente è dei più preoccupanti. Di recente ad esempio, in Tunisia, un grande islamologo, l'ottantenne Mohamed Talbi (cui fu attribuito tra l'altro il premio Agnelli in Italia) è oggetto di diffamazione, e di pubbliche incitazioni alla sua eliminazione fisica. Questi fenomeni tenderanno purtroppo a moltiplicarsi nei prossimi mesi, essenzialmente per due motivi essenziali: in primo luogo, i gruppi laici non sono abbastanza strutturati; in secondo luogo, l'attuale situazione avrebbe bisogno di un sostegno da parte dell'Europa. Perché si realizzi una transizione democratica devono poter emergere tutte le forze politiche che sono autenticamente democratiche e che hanno come punti di forza la libertà di pensiero e i diritti dell'uomo.

Nel caso egiziano la situazione è ancor più complessa: perché, a differenza dei Paesi del Maghreb, il Medio Oriente si distingue per la presenza delle minoranze, cristiane e non solo. Porre la shari'a come fonte esclusiva della norma nella Costituzione egiziana significa impedire alla democrazia di essere tale: perché la democrazia nasce per dare visibilità ai rapporti di forza che si instaurano fra maggioranza e minoranza. Il pericolo è dunque che una rivoluzione possa veicolarne un'altra, ma di tipo conservatore. Del resto, sin dagli anni Trenta il movimento della Fratellanza Musulmana aveva affermato di voler conquistare il potere: o attraverso la rivoluzione, o attraverso la democrazia. E la storia degli ultimi mesi ha offerto loro questo duplice canale: prima la rivoluzione, poi il passaggio alla democrazia, democrazia che di mese in mese si ridurrà sempre più. Vent'anni fa alcuni fondamentalisti affermarono che non si doveva modernizzare l'islam ma islamizzare la modernità. Oggi altri stanno affermando che non bisogna democratizzare l'islam ma islamizzare la democrazia; ma si tratta di un controsenso, perché il nucleo della democrazia risiede nel non ammettere particolarizzazioni.

Le rivoluzioni arabe ci stanno insegnando che la democrazia certo va conquistata, ma richiede l'autonomia tra politica e religione. Nel mondo islamico molti la pensano così: ma purtroppo o sono isolati, o dimenticati o poco sostenuti. Recentemente a Tunisi Emma Bonino, vicepresidente del Senato, insieme a Marco Pannella ha evidenziato questo tema essenziale; ma bisognerebbe che tutta l'Europa comprendesse quale sia la posta in gioco. Perché anche a Tunisi, che dista appena un'ora di volo da Roma, si sta giocando oggi parte del destino del mondo.

L'UNITA' - Cristiana Cella : " La rivoluzione tradita ma noi forze laiche non ci rassegnamo "


Tunisia,   al Ghannouchi

I giovani protagonisti della rivoluzione tunisina sono delusi e molto preoccupati. Il processo di transizione democratica sembra sfuggirgli di mano. Afef Tlili che ha partecipato a tutte le sue fasi fin dal primo giorno, e che si candiderà per Ettajdid, partito progressista di sinistra, spiega: «Le delusioni sono tante che non si puònemmeno più parlare di rivoluzione, col governo di Essebsi stiamo deviando in maniera grave dai suoi obiettivi. I tre ministeri più importanti, Interni, Esteri e Giustizia sono in mano a uomini dell’ex partito diBen Alì, l’Rcd. Èevidente che nessuno dei suoi membri, colpevole di corruzione e di violazioni dei diritti, sarà seriamente perseguito. Non solo gli viene garantita l’impunità ma sono liberi di formare ogni giornonuovi partiti, ormai sono26quelli formati da ex membri del Rcd. Essebsi preferisce reprimere la protesta popolare piuttosto che fare un cambiamento ai vertici e garantire la stabilità del Paese». Afef e molti democratici prevedono un ritorno del partito di Ben Alì, conuna nuova facciata, sotto la protezione di Essebsi. Molti dei disordini scoppiati ultimamente in Tunisia - gli ultimi proprio ieri nella zona di Sfax ndr - sono, a suo parere, frutto del lavoro di ex membri del Rcd. «Alimentano l’odio tra tribù e i regionalismi. Ci sono sempre loro dietro. L’ho visto a Sbitla, la mia città, distrutta in poche ore». Il 31 luglio è stato prorogato lo stato di emergenza in tutto il Paese. «L’instabilità è utile al vecchio regime. Prepara il ritorno dell’ordine. Molte persone, che non sono coinvolte nella politica, vogliono solo sicurezza, non importa chi sia al potere». Dunque la scarsa affluenza alle iscrizioni elettorali è frutto di questa delusione? «Con Ettajdid stiamo facendo una campagna Dar-Dar, cioè porta a porta, per convincere gli elettori. Ma la gente ha perso fiducia in questo governo che tenta di preparare e supervisionare le elezioni e nel numero spropositato dei partiti in lizza, ormai un centinaio. Non è un segno di serietà. Molti temono brogli a favore del partito Rcd, nonostante la presenza prevista di osservatori esteri». Ma il vecchio partito di Ben Alì non è il solo pericolo per la rivoluzione democratica. Cresce il timore di una islamizzazione. «La situazione èsempre più preoccupante - conferma Afef -. Ci siamo tutti resi conto che è molto presto per instaurare un governo laico mentre le forze più regressive sono rientrate in scena. Molti partiti islamisti sono stati legalizzati anche se l’articolo 8 della Costituzione vieta di dare autorizzare partiti con una ideologia etnica, religiosa o regionale. Ma la grande crescita di Ennahda- il partito islamico ndr - è purtroppo un fatto assodato. Perché hatanto successo? «È sostenuto dall’estero - Afef ne ha le prove - dai paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, ma sta costruendo anche altre alleanze. Due mesi dopo la rivoluzione, Jbeli, segretario del partito, è andato alla Casa Bianca e ha parlato con Clinton e Kerry. Molti intellettuali pensano che sia il segno di un accordo in corso. Ha poi una solida rete di diffusione nelle moschee e con gli imam, ancora più forte in questo periodo di Ramadan. Ma ha anche successo perché fa leva sul bisognodi spiritualità della gente, frustrato negli anni passati. Dispone di grandi mezzi e li elargisce con generosità agli iscritti». Ciòchei laicitemono di più è un’alleanza tra Rcd e Ennahda. Tanto che alcuni arrivano a parlare di «complotto antirivoluzionario». Alcuni ricordano che Ghannouchi scriveva in uno dei suoi libri che la sola funzione che si può riconoscere alle donne è quella sessuale e che qualunque altra attività è soltanto un corollario. Oggi nei suoi comizi non fa che sottolineare l’eccessiva emancipazione della donna.Ele femministe non hanno dimenticato quando all’inizio degli anni 90 le donne non velate venivano attaccate con l’acido dagli islamisti. Erano gli anni degli attentati contro gli alberghi. Ghannouchi, appena tornato in patria l’11 febbraio, ha ammesso una responsabilità del partito clandestino in quegli attentati. Li ha quasi rivendicati come azioni «leggere e molto giustificabili». Se davvero i due partiti si spartiranno la metà dell’Assemblea costituente, che fine faranno i diritti delle donne? «Ennahda sta facendo un doppio discorso: da una parte afferma di mantenere il codice civile e il rispetto dei diritti umani, dall’altra però rifiuta di firmare la carta della cittadinanza proposta dall’Hiror che obbliga tutti i partiti a preservare i diritti acquisiti delle donne. Se saranno loro a scrivere la nostra Costituzione - ipotizza Tlili - il pericolo è molto grave. Potremmo aspettarci il ritorno della poligamia e delle leggi repressive». I giovani, le donne, il sindacato stanno cercando di difendere i valori della rivoluzione, per interrompere l’avanzata di Ennhada e garantire la democrazia, con leggi che limiterebbero il potere di qualsiasi partito di maggioranza e carte dei diritti da firmare. Non è detto che ci riescano.

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