Israele non accetterà mai di vivere sotto minaccia atomica iraniana Intervista a Ephraim Sneh di Giulio Meotti, commento di Redazione del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 05 agosto 2011 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti - Redazione del Foglio Titolo: «De bello obamiano»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/08/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Per Israele la guerra soft contro il nucleare iraniano è troppo lenta ", in prima pagina, l'articolo dal titolo " De bello obamiano ". Ecco i pezzi:
Giulio Meotti - " Per Israele la guerra soft contro il nucleare iraniano è troppo lenta"
Ephraim Sneh Giulio Meotti
Roma. “Sull’Iran non parliamo di risposta, a Israele spetta la prima mossa”, dice a colloquio con il Foglio il generale e stratega israeliano Ephraim Sneh, ex ministro laburista, già comandante in Libano, protagonista del raid a Entebbe e incaricato dall’allora premier Yitzhak Rabin di seguire il dossier Teheran negli anni Novanta. “Israele non accetterà mai di vivere sotto minaccia atomica iraniana. Su questo c’è consenso. E’ sui mezzi che c’è discussione, ma l’attacco militare, seppur l’ultima, resta una possibilità concreta. Se siamo lasciati da soli, agiremo da soli”. Uno studio della Rand Corporation sostiene che l’Iran, bramoso di triplicare l’uranio arricchito al venti per cento, sarebbe già in grado di sviluppare la bomba. Il 23 luglio il New York Times ha dettagliato come Teheran “sta arricchendo più uranio e aumentando l’uso di centrifughe di seconda generazione”. Sul Jerusalem Post è apparso un editoriale emblematico: “Smantellate l’Auschwitz iraniana”. “Lascio gli esperti alle loro analisi – ci dice il generale Sneh – io mi fido dell’esercito”. Proprio l’esercito israeliano, per bocca di Amos Gilad, consigliere militare del ministro della Difesa Ehud Barak, dice che sull’Iran il tempo sta “scadendo”. La domanda non è se interrompere il programma iraniano. Ma come. Secondo un rapporto del settimanale Spiegel, il Mossad sarebbe responsabile dell’omicidio di Dariush Rezaie, lo scienziato ucciso a Teheran il 23 luglio. “E’ stata la prima azione del nuovo capo del Mossad, Tamir Pardo”, ha detto allo Spiegel un funzionario dello stesso servizio segreto israeliano. “Israele non risponde”, ha replicato Barak, abbozzando un leggero sorrisetto, a chi gli chiedeva conto di questi strani omicidi in Iran. “Per i falchi nell’esercito israeliano, le operazioni di sabotaggio non sono state sufficienti”, ha scritto Ulrike Putz per lo Spiegel. “Le richieste di attacco all’Iran stanno diventando forti, soprattutto fra gli ufficiali dell’aviazione. Fino a oggi gli esperti del Mossad hanno convinto i politici che la bomba iraniana poteva essere ritardata attraverso attacchi a figure chiave. Ma non è chiaro quanto ancora Netanyahu continuerà a seguire questo consiglio”. Dariush Rezaie, ucciso a Teheran il 23 luglio, sarebbe il quarto scienziato a cadere vittima di un agguato dal 2008 a oggi. Sarebbe stata quasi “decimata” l’élite degli scienziati nucleari iraniani. Come Ali Mahmoudi Mimand, il padre del programma missilistico. O il professor Ardeshir Hassenpour, cervello della fisica iraniana e massimo esperto di Teheran nel settore della ricerca militare. Fereydoon Abbasi è stato appena nominato al vertice del Walhalla nucleare di Teheran. Anche Abbasi, che non lascia mai l’Iran e fa parte delle Guardie della Rivoluzione, a dicembre è scampato per miracolo a un tentativo di assassinio, durante il quale è rimasto ucciso il suo collega, Majid Shahriari. Ma forse non è sufficiente, avvertono in molti in Israele. Attualmente la divisione è fra chi, come il Mossad, opta per l’uccisione mirata di scienziati e il sabotaggio informatico, e chi, come il primo ministro Netanyahu, il suo staff militare (da Jonathan Locker a Uzi Arad), l’aviazione e alti generali dell’esercito, sta riprendendo l’idea dell’attacco militare. Meir Dagan, l’ex capo del Mossad, è stato duramente criticato da Netanyahu ed Ehud Barak perché a giugno ha definito l’idea di un attacco dal cielo “la cosa più stupida che abbia mai sentito”. Secondo Haaretz con questa affermazione Dagan avrebbe soltanto voluto mascherare il proprio fallimento sull’Iran. Come Dagan, anche il nuovo capo del Mossad penderebbe per l’opzione delle operazioni di ritardo nel programma. Si sa che Pardo, nell’agenzia, si era fatto una grande fama come genio della Neviot, l’agenzia addetta alle telecomunicazioni e all’intelligence informatica. Oltre agli attentati contro gli scienziati, il più duro attacco al sistema nucleare è arrivato dal virus “Stuxnet”, programmato per mettere fuori uso le centrifughe degli ayatollah e ritenuto opera di israeliani. Non viaggia via Internet, ma tramite una chiavetta Usb. Alcuni giorni fa il quotidiano israeliano Haaretz, sempre bene informato sulle vicende strategiche e militari, ha scritto che il comando dell’aviazione di Gerusalemme è “insofferente” sui ritardi nei piani di attacco dal cielo e che ritiene insufficienti gli assassinii di scienziati e i virus informatici. Reuven Pedatzur, uno dei maggiori analisti israeliani sull’Iran, dice al Foglio che “Netanyahu sta seriamente pensando all’attacco militare, nonostante i dubbi del Mossad. Il problema dell’aviazione è dare al primo ministro la certezza dello strike. Se Netanyahu ottiene questa certezza, è probabile che attacchi. Anche Barak è a favore dell’attacco”. Entrambi gli ultimi due capi dell’aviazione, Elyezer Shkedy e l’attuale Ido Nehushtan, in passato si sono dichiarati a favore dello strike. Shlomo Brom, analista militare presso il National Security Studies di Tel Aviv, al Foglio dice che “l’esercito non avrà l’ultima parola sull’attacco, sarà la leadership politica a decidere, sarà una scelta politica”. Ma Israele sa che gli Stati Uniti saranno decisivi nella decisione, “perché senza l’apporto americano è difficile che lo stato ebraico si muova da solo”. Gerusalemme aspetta almeno un segnale che Washington non si opporrà in caso di strike. La domanda ultima invece è cosa farà Gerusalemme se avrà la certezza dell’atomica iraniana e l’America si opporrà in ogni caso. Dice Brom che “la psicologia di Netanyahu sarà decisiva in questo caso. Fa sul serio Netanyahu quando cita l’Olocausto? Se sì, Israele potrebbe attaccare comunque”. Ce lo spiega il generale Ephraim Sneh: “Israele è la casa sicura degli ebrei ed è una grande economia che attrae eccellenza ed investimenti. Se non è più una casa sicura per gli ebrei e i talenti lasciano il paese, se gli immigrati cessano di trasferirsi qui, allora è la fine del sogno sionista. Per questo i fanatici religiosi di Teheran non possono ottenere la bomba. Spero che Stati Uniti ed Europa facciano qualcosa, che Israele non si trovi nell’angolo. Il popolo ebraico è stato vittima nella Shoah di un misto di ideologia e di forza militare, in Iran c’è la stessa combinazione, un odio per gli ebrei assieme a un potere militare fortissimo. Non possiamo ignorare l’esperienza storica, significa questo ‘never again’”.
Redazione del Foglio - " De bello obamiano "
Mahmoud Ahmadinejad, Barack Obama
Roma. Le chirurgiche eliminazioni di scienziati iraniani coinvolti nei programmi nucleari s’addicono alle lezioni belliche di Barack Obama. Sostenuto da una parte della comunità della sicurezza nazionale, il presidente ha fatto passare una linea strategica (e filosofica) basata su incursioni, raid e operazioni clandestine d’intelligence. Le decine di attacchi della Cia in Pakistan, gli avamposti a Mogadiscio, i droni sullo Yemen, l’operazione di Abbottabad e il processo di militarizzazione delle agenzie (con il generale Petraeus alla guida della Cia) sono paragrafi del racconto di una guerra che si combatte fuori dalla portata dei radar diplomatici. E’ normale che sull’uccisione di Dariush Rezaie – quarto scienziato iraniano assasinato dal 2008 – il dipartimento di stato contrattacchi: “Speriamo che Teheran non cerchi di usare questo incidente per distogliere l’attenzione dai suoi obblighi internazionali”, ha detto il portavoce di Foggy Bottom, Toria Nuland; allo stesso tempo nell’operazione che le fonti dello Spiegel attribuiscono al Mossad brilla un’approccio strategico che Washington tacitamente approva e sostiene. Il dibattito interno alle forze di Israele sul modo di contenere la minaccia iraniana – da una parte i sostenitori delle operazioni sotterranee, dall’altra i fautori di un più consistente attacco aereo alle installazioni – segnala un potenziale scarto con la linea di Washington. Obama ha lavorato duramente per convincere i consiglieri più recalcitranti ad approvare la sua linea; contemporaneamente, le relazioni con il premier israeliano, Bibi Netanyahu, non hanno mai ingranato. Con Teheran, l’Amministrazione si è inserita nei sottilissimi interstizi diplomatici per tentare qualcosa che somigli a un avvicinamento – la “mano tesa” è un vecchio ricordo – e ha continuato ad agire sotterraneamente nei vari scenari in cui gli iraniani fanno sentire la loro influenza. Chi parla di uno “strike” per distruggere le speranze atomiche dell’Iran sa dunque molto bene che Obama muove le pedine nella direzione opposta.
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