Stato ebraico e democrazia
Lettera da Gerusalemme, di Angelo Pezzana
David Ben Gurion
Può Israele definirsi Stato ebraico e nello stesso tempo democratico ? La domanda è ricorrente, come lo sono le risposte, diverse a seconda della provenienza politica. Ritorna oggi di attualità dopo che quaranta giuristi, di area governativa e di opposizione, hanno presentato un progetto di legge che verrà discusso entro l’anno alla Knesset. Lo scopo sembra essere proprio quello di porre fine ad una querelle che dura da troppo tempo, e che ingloba nelle polemiche che produce anche una rivisitazione del diritto automatico degli ebrei della diaspora a ritornare in Israele. E’ un diritto inamovibile, senza scadenza, oppure ha esaurito la sua funzione ? Da più di sessant’anni dalla fondazione dello Stato, chi voleva ritornare in patria ha avuto il tempo per deciderlo, è giusto porre un limite oppure va mantenuto anche nel futuro ? Sono questioni molto serie, ed è bene che la Knesset ne discuta apertamente, lontano dalle prese di posizione ideologiche o puramente intellettuali.
Ha senso, per esempio, che in Israele ci siano tre lingue ufficiali, l’arabo e l’inglese oltre all’ebraico ? Questo progetto di legge ne prevede una sola, l’ebraico, anche se all’arabo verrà riservato uno status speciale che consenta l’accesso a tutte le informazioni essenziali. Succede in tutti i paesi democratici, la lingua ufficiale è una, mentre le minoranze vengono tutelate con leggi specifiche. Perché Israele dovrebbe comportarsi differentemente ? Gli arabi israeliani sono il 20% della popolazione, è sufficiente perché l’arabo sia una lingua ufficiale dello Stato ? In Italia i deputati e senatori valdostani o altoatesini, per esempio, si esprimono in italiano nelle loro funzioni parlamentari, ed anche in quelle regionali e municipali, anche se in questi ultimi due casi sono previste leggi locali che comprendono il bilinguismo. Ma nel resto della vita sociale, culturale, economica, la lingua ufficiale è una sola, l’italiano.
Israele attraversa un momento molto vivace della sua storia, sembra scrollarsi di dosso molti complessi di carattere internazionale che erano stati alla base della battaglia per il riconoscimento all’Onu nel 1947 del diritto degli ebrei di potere vivere nel loro Stato, quasi una difesa nei confronti di chi quel diritto aveva sempre cercato di negare. Oggi non è più così, sostiene Zeev Elkin, uno dei deputati che in modo bipartisan hanno presentato il progetto di legge, “ sono finiti i tempi in cui l’Onu equiparava Sionismo a razzismo”, ha dichiarato. Questo progetto di legge va ad aggiungersi a quello, approvato, che riguarda il boicottaggio di Israele, il controllo delle attività di chi si oppone all’esistenza dello Stato ebraico, e l’obbligo per le Ong israeliane di rendere trasparenti i finanziamenti che ricevono dall’estero.
Comincia a farsi strada che non è affatto antidemocratico che uno Stato democratico difenda la sua democrazia da chi, in nome della democrazia, vorrebbe snaturarne le radici democratice. Non è uno scioglilingua, la ripetizione della parola ‘democrazia’ è voluta, direi indispensabile per capire quanto Israele abbia il diritto di essere considerato uno Stato ebraico e democratico, i due termini non collidono, si integrano. Rimangono da risolvere i molti problemi che attengono alla società israeliana nel suo insieme, tra i quali l’identità laica, la sicurezza, i confini, ma, come diceva David Ben Gurion, i casi difficili li risolviamo in fretta, per i miracoli occorre un po’ più di tempo.