Tel Aviv, ritratto di una città
Amnon Rubinstein
The Jerusalem Post, 3/8/2011
(traduzione di Anna Della Vida)
Amnon Rubinstein, Tel Aviv, la spiaggia
Prima che diventasse un movimento di protesta nazionale, questa ondata di dimostrazioni partì da un gruppi di giovani che a Tel Aviv protestavano contro i prezzi esorbitanti delle case in città.
In effetti Tel Aviv è diventata una città carissima – i suoi affitti sono più alti che al centro di Manhattan - e questo per una serie di ragioni , ma, più di tutte, per il fatto che Tel Aviv attira migliaia di giovani israeliani che non aspettano altro che andarci ad abitare.
Le ragioni sono tante. Le grandi città, in tutto il mondo, sono attraenti perchè offrono lavoro, divertimenti e diversità che le città di provincia non possono dare. Ma Tel Aviv ha un’altra dimensione che spiega la sua popolarità. E’ una città che rappresenta una alternativa politica e sociale effettiva. Questa realtà è rappresentata dall’atmosfera ‘ vivi e lascia vivere’, priva del paternalismo che è parte sostanziale dell’esperienza israeliana.
Tel Aviv è aperta di Shabbat – almeno per quanto riguarda cultura, spettacolo, sport e ristoranti – malgrado il fatto che nella coalizione che governa la città vi siano partiti ortodossi. La percentuale è come nella Knesset, ma il diverso sistema elettorale produce una diverso clima politico. L’elezione diretta dei sindaci ha diminuito il potere dei partiti.
Andate in giro per le strade, sulla passeggiata a mare e sulle spiagge di Tel Aviv, e vi accorgerete subito della realtà multiculturale, multietnica, che è la natura dai molti colori di questa metropoli. A Tel Aviv c’è una scuola speciale – Bialik Rogozin – dove i bambini degli immigrati stranieri ricevono una educazione ebraico-umanistica, che ignora la minaccia di espulsione prevista dal Ministero degli Interni. La sua vivace comunità gay gode di uno status ufficiale e riceve assistenza e finanziamenti dal Comune. Per questo Tel Aviv è fra le 10 città del mondo più gay-friendly.
Il risultato è che la città vive pacificamente con tutte le sue componenti. Sheinkin Street – la strada più amata dai giovani trendy della città – ospita uno accanto all’altro club hip-hop e sinagoghe ortodosse. Un Centro Lubawich è situato accanto al famoso – qualcuno direbbe ‘famigerato’ – Mini Park.
Mentre a Gerusalemme gli scontri tra polizia e ultra-ortodossi sono una costante, a Tel Aviv la mattina presto la gente che esce dai locali si mischia con i fedeli che vanno in sinagoga a pregare.
Non che non vi siano problemi sociali. La differenza fra i quartieri a sud e quelli a nord, dovrebbe preoccupare chiunque creda nella giustizia sociale e nell’eguaglianza. Ma Tel Aviv ragiona in modo opposto al fanatismo nazionalista che pare essersi impadronito della Knesset.
Questa attitudine , provocata dalla pericolosa alleanza fra la destra e gli ultra-ortodossi, è caratterizzata dalla coercizione: obbliga a regole religiose gli ebrei laici; sottopone matrimoni e divorzi alla giurisdizione rabbinica; impone conversioni ultra-ortodosse a chi cerca di far parte del popolo ebraico; obbliga gli scolari a sventolare la bandiera, cantare l’inno nazionale e visitare le tombe dei patriarchi a Hebron; sottomette ai capricci della burocrazia chiunque cerchi l’intervento del governo; detta regole agli ebrei religiosi ma che non appartengono a comunità ortodosse.
Se questi argomenti controversi fossero stati sottomessi al Comune di Tel Aviv, si sarebbero già risolti pacificamente da molto tempo. Perché Tel Aviv è sinonimo di diversità , di riconoscimento dell’ “altro”, incluso l’ “altro” non ebreo.
Di conseguenza - contrariamente alla Knesset – e magari nell’esercito, cantare per una donna non è un peccato. E lo Shabbat è un giorno di riposo – inventato dal nostro popolo anche per il resto del mondo – ma è anche un giorno per divertirsi.
Questo spiega dunque perché Tel Aviv, e non i suoi sobborghi, dove l’osservanza dello Shabbat sembra quasi forzata, attrae i giovani. Che non possono andare a Tel Aviv di sabato dato che non funzionano i mezzi di trasporto. Possiamo criticarli perché vogliono vivere in una città priva di coercizioni sociali ? Credo che questa passione estrema per Tel Aviv testimoni la voglia di una società più liberale, quel tipo di Stato ebraico che Herzl aveva immaginato quando scrisse Altneuland, una terra antica e nuova.
Tel Aviv fu proprio il nome dato alla traduzione in ebraico di Altneuland.
Amnon Rubinstein insegna legge al Centro Interdisciplinare di Hezlyia, è stato Ministro dell’Educazione e membro della Knesset, ha ricevuto il Premio Israele 2006.