10 compagni di viaggio
scelti e consigliati da Giorgia Greco
Giorgia Greco
Per chi lavora nel mondo della letteratura non è insolito sentirsi chiedere: “Ha qualche buon libro da consigliarmi per le prossime ferie?”
Anche se non è affatto semplice proporre libri e dare suggerimenti di lettura scegliendo fra i numerosi titoli che le case editrici pubblicano ogni giorno, noi di Informazione Corretta abbiamo preparato una breve selezione di romanzi e saggi che ci hanno particolarmente incuriosito fra le novità apparse negli ultimi mesi, con la certezza che saranno compagni di viaggio affidabili e speriamo anche piacevoli.
A rinfrescarci la memoria su una pagina importante della storia polacca, arriva la nuova edizione di Bollati Boringhieri dell’opera di Israel Singer, I fratelli Ashkenazi, un imponente romanzo-fiume che grazie all’incredibile capacità epica dell’autore ci offre la rappresentazione di un mondo e di una civiltà che di lì a poco sarebbe stata ferocemente annientata. Fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis, Israel Singer ricrea in una folla di personaggi, di eventi e di vicende private tutta la fenomenologia culturale, storica e politica di una pagina importante della storia polacca e attraverso le vicende dei due figli del pio reb Ashkenazi ci racconta con impareggiabile maestria la grandiosa epopea borghese degli ebrei polacchi, mostrando come la comune spiritualità non riesca a frenare i conflitti generazionali e l’allontanamento dalla tradizione dei padri. Ma più forte ancora sarà il corso del tempo e della storia, pronti a travolgere i destini di uomini e donne.
L’ultimo romanzo della scrittrice israeliana Orly Castel-Bloom che il pubblico italiano ha conosciuto al Salone del Libro di Torino nel 2008, s’intitola Textile ed è pubblicato da Atmosphere Libri. Considerata una vera maestra dall’ultima generazione di autori israeliani e una delle personalità più significative e innovatrici della scena letteraria contemporanea, Castel-Bloom ci regala una saga familiare imperdibile che si dipana sullo sfondo della storia israeliana le cui vicende, in un modo o nell’altro, condizionano la vita di ciascuno dei componenti la famiglia Gruber.
Dopo averci narrato il terrorismo e il mito della yiddish mame in chiave esasperata, in questo romanzo l’autrice ci restituisce, attraverso le bizzarre vicende di una famiglia borghese, l’immagine di una società che vive una quotidianità complessa e surreale con brevi, fugaci sprazzi di normalità. Filo conduttore rimane la solitudine e l’angoscia costante di un attentato terroristico che si infiltrano nell’animo dei protagonisti fino ad avvelenare i rapporti umani.
Aharon Appelfeld, l’ottantenne scrittore israeliano nato in Bucovina, colpito dalla Shoah negli affetti più cari, fuggito bambino da un lager per nascondersi tra le foreste da solo per due anni, ci ha già trasportato più volte nelle atmosfere tanto incantate, quanto drammatiche, della sua giovinezza. L’amore, d’improvviso (Guanda) , il suo ultimo romanzo, narra una parte del XX secolo che non conoscevamo e riprende i temi che si declinano in tutta la sua poetica come la difficoltà di trasmettere la memoria, il dolore per una lingua esiliata, la ricerca di un’identità che passa attraverso l’ebraico della Torah. Eppure qui ci propone qualcosa di inedito e essenziale: la storia di un uomo di settant’anni, Ernest Blumenfeld, un profugo ebreo giunto in Israele da Czernowitz che lavora a un nuovo libro lottando con la scrittura e con il passato che non vuole affiorare per via del rifiuto che a suo tempo ha avuto verso i suoi padri e verso l’ebraismo. L’incontro con Irina, una giovane governante nata dopo la guerra in un campo di smistamento a Francoforte, candida come la sua devozione, riesce a restituirgli però tutto, i ricordi, il senso della vita e il valore delle parole.
Vincitore del Premio Adei Wizo 2011 nella sezione ragazzi, Il quinto servitore di Kenneth Wishnia edito da Longanesi è un thriller imperdibile che mette d’accordo sia gli appassionati di mistery che gli studiosi di Storia.
Ambientato nel ghetto di Praga nel 1592, questo thriller storico ha come protagonista indiscusso il popolo ebraico in un’epoca caratterizzata da un pernicioso antisemitismo di matrice cattolica alimentato da superstizioni, invidie e calunnie infamanti.
In una gelida mattina alla vigilia di Pasqua viene ritrovata nella bottega di un commerciante ebreo, Jacob Federn, una bambina cristiana, sgozzata e dissanguata: è Gerta Janek, figlia del farmacista. Questo efferato delitto pare confermare le voci scellerate, assai diffuse, sull’utilizzo da parte degli ebrei di sangue dei bambini cristiani nella preparazione del pane pasquale. Benyamin Ben Akiva, studente erudito, giunto a Praga da pochi giorni con il compito di aiuto shammes, inizia ad indagare con l’aiuto del rabbino per far cadere le accuse nei confronti di Federn e restituire un innocente alla sua comunità.
Wishnia descrive con uno stile incisivo ed una profonda conoscenza dell’epoca storica la vita del ghetto, i vicoli, i negozietti, i personaggi mirabilmente ritratti, il cimitero con le lapidi addossate l’una all’altra per mancanza di spazio. Ma quello che affascina ancor più il lettore è il dispiegarsi del pensiero ebraico, attraverso dialoghi incalzanti, in una continua ricerca della Verità e in una totale immersione nell’esegesi delle Sacre Scritture che facendo da contrappunto all’ignoranza e al pregiudizio del clero cattolico è rivelatore di grande saggezza.
E’ uno studio storico ambizioso e audace oltre che un lavoro originale quello che propone Yuri Slezkine nel suo ultimo saggio Il secolo ebraico edito da Neri Pozza.
Che significa essere ebrei? Nel secolo del Capitale, significa dimostrarsi gli imprenditori più abili; nell'epoca dell'alienazione i più provati dall'esilio; nell'era delle professioni gli esperti più affidabili. Sono le argomentazioni provocatorie dello storico ebreo nella sua indagine sulla sensibilità culturale e politica ebraica nel XX secolo. Nelle sue tesi l'età moderna coincide completamente con l'età ebraica: non solo gli ebrei si sono adattati a vivere nel mondo moderno meglio degli altri, ma sono divenuti ovunque simbolo e modello di vita.
Questo studio appassionante racconta una nuova storia della cultura ebraica degli ultimi cento anni, dalla nascita di una tribù nomade che diventerà il solo grande popolo sprovvisto di Stato dopo l'avvento del nazionalismo, l'unico a costruire la propria emancipazione in un isolamento frutto di ripetute diaspore, tra il collasso dell'impero russo, le grandi ondate migratorie, l'America di fine Ottocento, le città sovietiche dopo la Rivoluzione, la Palestina della nascita del Sionismo e l'avvento delle grandi ideologie del Novecento: socialismo, nazionalismo, liberalismo. Denso di intuizioni illuminanti e trasgressive, scorrevole nell'esposizione e audace nell'analisi, “Il secolo ebraico” è una delle opere più stimolanti e intellettualmente innovative degli ultimi anni.
Con il suo ultimo romanzo, La grande casa, edito da Guanda, Nicole Krauss si conferma una scrittrice matura per l’ abilità narrativa e la capacità di sondare i risvolti più riposti dell’animo umano. E’ un romanzo coinvolgente l’ultimo libro di Nicole Krauss che non si legge d’un fiato ma invita il lettore ad una rilettura più attenta per riassaporare le emozioni che suscita e le sensazioni di mistero che aleggiano nel racconto.
I quattro personaggi che si alternano nella narrazione sono uomini e donne soli, insicuri, inquieti pervasi da un senso di perdita e di morte, alcuni di essi scrittori in crisi creativa, che si muovono nel tempo e nello spazio attorno ad un’enorme scrivania con 19 cassetti di cui uno chiuso a chiave. Un mobile misterioso e ingombrante “che risucchia tutta l’aria della stanza..”,di cui entrano in possesso e che poi perdono: un oggetto ingombrante che racchiude ricordi e intreccia memorie.
E’ un romanzo sofisticato e dalla trama misteriosa quello di Nicole Krauss, un puzzle dove le storie principali celano racconti secondari, ricchi di spunti, di riflessioni letterarie, di metafore e suggestioni, come se aprendo un nuovo cassetto della scrivania spuntasse un’altra vicenda che si interseca mirabilmente con quella principale.
Angelika Schrobsdorff è un’anziana signora che nel 2006 ha lasciato Gerusalemme e gli amici sopravvissuti all’Olocausto per tornare a Berlino, la città dove è vissuta da bambina, figlia di un'ebrea e di uno junker. E la città che rappresenta per lei il luogo dell'anima è anche lo scenario terribile del suo libro più famoso, Tu non sei come le altre madri edito da e/o.
Pubblicato in Germania nel '92, è la storia della madre Else e della sua infanzia con lei. Figlia di un commerciante, ebrea educata dalle suore, ribelle e attratta dalla vita spregiudicata della capitale, Else sposa un "gentile", il poeta Fritz, da cui ha il figlio Peter. Poi s'innamora di Erich Schrobsdorff, dalla cui unione nasce Angelika. La famiglia è cristiana e molto ricca. “I fratelli di Erich sono nazisti della prim'ora, ma lui sposa ugualmente Else e la fa vivere tra feste e champagne. Angelika cresce con una madre affettuosa e distratta, così affamata di vita da non accorgersi della minaccia di morte che si avvicina a lei e ai suoi bambini mezzi ebrei. Solo nel '39 divorzia e scappa con le figlie in Bulgaria. Torna dopo la guerra, muore povera qualche anno dopo. Costruito attingendo alle lettere e ai diari di Else, Tu non sei come le altre madri è ben più di un straziante memoir. È un inno alla Berlino affascinante di Weimar e una scatola di enigmi senza risposta. Il mistero del male che porta il nazismo nel paese più evoluto d'Occidente. Il mistero di una madre sconosciuta. E quello del suo amore imperfetto ma fortissimo. L'unico, scriveva Else, che non finisce mai” (LC).
È un crimine terribile quello che Jacques Chessex narra con grande perizia nelle pagine di Un ebreo come esempio pubblicato da Fazi. E’ una storia vera e accade in Svizzera nel paese di Payerne, il borgo del cantone di Vaud che ha dato i natali all’autore e dove fin dalla fine degli anni trenta si è diffuso il morbo dell'antisemitismo, trovando terreno fertile tra gli egoismi e le delusioni del tempo. Un giorno un gruppo di nazisti locali decide di uccidere un ebreo, per mostrare ai "parassiti giudei" il destino che li attende. La vittima, Joseph Bloch, un ebreo retto e onesto, è un ricco mercante semplice e abitudinario che viene massacrato in un delirio di violenza e atrocità. Con la tracotanza degli antisemiti il colpevole confessa e anche i suoi complici nella certezza che i tedeschi stiano per arrivare a occupare la Svizzera.
Con stile lapidario e incisivo, lo scrittore svizzero scomparso nel 2009 scandisce le tappe della tragedia e scava nel delirio dell'odio gratuito. Quel "crimine imprescrittibile" ha continuato ad ossessionarlo per tutta la vita, tanto che alla fine ne ha tratto un romanzo cupo dove la condanna dell'antisemitismo si trasforma in meditazione sul male assoluto.
Giornalista e scrittore italiano di grande valore, Giampaolo Pansa conosce bene il mondo del giornalismo perchè è il mondo in cui lavora e vive da oltre cinquant’anni. Chi meglio di lui, di un uomo capace di dire ciò che pensa senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, può allora spiegarci in modo chiaro ciò che il giornalismo è veramente? Nel suo ultimo saggio, Carta straccia pubblicato in questi giorni da Rizzoli, un libro sarcastico e ironico al contempo, Pansa intreccia ricordi personali ed esperienze, ritratti di illustri personaggi della comunicazione e politica, errori e cambiamenti regalandoci un quadro dettagliato e ricco di informazioni capaci di farci davvero riflettere su ciò che da sempre accade nel mondo del giornalismo. Si parla della faziosità politica, dello strano modo in cui molte persone hanno fatto carriera, dell’eccesso di potere che è arrivato chissà come a concentrarsi nelle mani di pochi eletti, delle campagne politiche ed editoriali per cercare di prevalere sugli altri e degli scandali che da sempre invadono questo mondo. Questo testo imperdibile farà arrabbiare molte persone ma la speranza è che possa far aprire gli occhi a tutti i lettori sulla situazione attuale del giornalismo italiano.
La mia guerra non è finita, il saggio di Marco Patucchi e Harry Shindler che Dalai editore manda in libreria in questi giorni è un memoir commovente, un doppio viaggio nell’Italia della guerra che unisce passato e presente.
Harry Shindler è un veterano dell’esercito britannico che ha combattuto la seconda guerra mondiale in Italia. Oggi novantenne, vive nel nostro Paese dal 1982 e vi rappresenta l’associazione dei reduci inglesi. Ha una missione nella vita: aiutare figli e nipoti di civili e soldati che vissero quell’immane tragedia a mettere la parola «fine» a storie dolorose e commoventi sommerse da oltre sessant’anni di oblio. Scoprire dove sono sepolti i resti di centinaia di prigionieri anglo-americani uccisi dal fuoco amico in Umbria; rintracciare il relitto di un bombardiere disperso; riallacciare il rapporto con partigiani che hanno aiutato i combattenti alleati. Un mosaico di vite che non trova posto nei libri, e ci dimostra quanto lontano arrivino gli strascichi di quel conflitto che travolse il Novecento. Ma soprattutto ci insegnano che la grande Storia non è fatta di morti e cifre astratti, bensì di migliaia di vicende come quelle che ricostruisce Harry, in cui ogni vita è un universo a sé che merita rispetto e la cui memoria va onorata. Marco Patucchi, giornalista economico che lavora a «La Repubblica» dal 1991 e ha collaborato ad alcune ricerche di Shindler, ha raccolto in questo testo la sua preziosa testimonianza.
E’ una ricostruzione storica fatta con l’obiettività di chi ha vissuto la guerra in prima persona accompagnando ai dati scientifici una visione umana che spesso viene omessa nei libri di storia.
Se, come scrive Corrado Augias, “i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi” non ci rimane che augurarvi buone vacanze con dei buoni compagni di viaggio!
Giorgia Greco