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Ugo Volli
Cartoline
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Pulizia etnica: passata, presente, futura 30/07/2011

Pulizia etnica: passata, presente, futura
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
ogni tanto con le cartoline si fa corrispondenza, si scrive e si risponde.
In genere lo evito, perché c'è un'apposita rubrica su Informazione Corretta, dove quotidianamente si pubblicano lettere di consenso e di dissenso con la risposta della redazione. Ma dato che questa è stata affidata a me ed è molto interessante, ho pensato di spedirvi oggi tutta la corrispondenza.

Ecco la lettera
"Mi rifaccio a una lettera di un lettore del 27-7 sullo stesso argomento. Vi avevo scritto allo stesso proposito (lo stato di Israele come "ebraico") e mi avevate risposto: "Israele è uno stato ebraico perché gli ebrei sono un popolo, così come l'Italia è lo stato degli italiani. Come in Italia, anche in Israele ci sono diverse minoranze, gli arabi costituiscono il 20% circa, ed hanno gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini."
Una persona è italiana se ha la cittadinanza italiana, quindi un romeno o un ebreo o un cristiano possono essere "italiani"; un arabo che abbia la cittadinanza israeliana invece non è un ebreo e come è ovvio la stessa critica la rivolgo a chi vuole stati "arabi" o islamici.
Questa è una questione fondamentale perché uno stato per funzionare (sia dal punto di vista delle questioni interne che delle relazioni con gli altri stati) deve essere un' entità  al di sopra delle etnie, religioni o appartenenze particolari che non dipendano strettamente dalla cittadinanza legale.
Naturalmente dal vostro punto di vista non é così ma la questione cruciale è che, a mio avviso, partendo da simili presupposti Israele sarà  un paese in guerra perenne. Sono d' accordo che i vostri interlocutori regionali facciano forse di peggio, ma la scelta di fare di Israele uno stato ebraico secondo me non farà  altro che inasprire i contrasti impedendo per costruzione qualsiasi possibilità  di intesa."

Ed ecco la mia risposta:
Gentile lettore, la sua premessa è sbagliata. Non è vero che gli stati devono essere indifferenti alla nazionalità dei loro cittadini.
Oltre allo jus soli, esistono molti stati in cui la cittadinanza si basa sullo jus sanguinis, non solo inteso come discendenza anche lontana da cittadini (questo è il caso dell'Italia), ma anche come appartenenza alla cultura e uso della lingua.
La Germania (non quella di Hitler, quella democratica) ha assorbito per questa ragione cittadini di lingua tedesca provenienti da Romania e Unione Sovietica; esistono leggi del genere in molti altri paesi. In generale è pacifico che anche negli stati democratici possano esistere minoranze nazionali (questa è la ragione per cui in Italia sono tutelati in maniera particolare tedeschi dell'Alto Adige, sloveni del Friuli Venezia Giulia ecc.) e dunque anche maggioranze che possono voler stabilire il loro status.
In certi casi, come la gran Bretagna, la Norvegia, la Danimarca questo principio si estende anche alla religione, richiedendo per esempio che il capo dello stato appartenga a una certa confessione. La grande maggioranza degli stati arabi e islamici proclamano questo principio fin dal loro nome: Repubblica islamica dell'Iran, Jamayrya Islamica di Libia ecc.
La costruzione di stati intorno al principio di nazionalità è stato uno dei grandi assi ideologici  del Risorgimento italiano, ma anche dell'indipendenza ungherese e ceca dall'impero asburgico, di quella polacca dalla Russia, di recente dell'indipendenza dei paesi baltici.
Ed è un principio democratico, che in Italia si basa sul pensiero mazziniano. Mazzini ci ha insegnato che i cittadini possono essere veramente liberi solo se la loro nazione lo è, cioè se la divisione statuale coincide con quella nazionale. La libertà individuale è completa solo con l'indipendenza nazionale e viceversa. Senza queste premesse, le guerre del Risorgimento sarebbero stati assurdi spargimenti di sangue e la storia europea degli ultimi due secoli sarebbe priva di senso.
Certamente si può essere contrari a questo punto di vista e volere stati multinazionali.
I multiculturalisti attuali sono in buona compagnia in questo con tutti gli imperialismi: quello russo, quello asburgico, quello ottomano, molti imperi antichi. Ci sono certamente anche dei vantaggi negli stati multinazionali, per esempio non essendoci bisogno di confini, è più semplice la convivenza. Il problema è che in genere in questi stati compositi vi è un principio antidemocratico più o meno implicito (la prevalenza di una cultura e di solito un regime autoritario che la sostiene) e quindi essi prima o poi finiscono per andare incontro a serie crisi.
Il caso del Belgio è evidente oggi. Pochi anni fa abbiamo avuto la crisi dell'ex Jugoslavia e dell'ex Cecoslovacchia; in passato anche esempi che oggi sembrano funzionare come Canada e Svizzera sono stati teatro di conflitti gravissimi.
In una situazione di lunga guerra come quella del Medio Oriente, la sola soluzione forse possibile è quella di due stati "per due popoli", cioè uno stato arabo (comprendete tutti i palestinesi, anche quelli che hanno il passaporto giordano e israeliano) e uno stato ebraico. Il problema, naturalmente, sono i confini, e magari anche la disponibilità degli arabi israeliani, che gondono della libertà e dei diritti di uno stato avanzato, a far parte di un loro stato nazionale, che oggi è oppressivo e illiberale. 
Ma non riconoscere, non accettare con chiarezza e soprattutto non rispettare il carattere ebraico di Israele non è affatto la via della pace; sul momento potrebbe riportare i palestinesi al tavolo delle trattative con una vittoria in più nella loro strategia di delegittimazione di Israele. Ma in prospettiva è la ricetta sicura per ricominciare il conflitto dentro il nuovo stato non ebraico il giorno dopo un eventuale accordo di pace.
Aggiungerei un'ultima considerazione. Perché il nostro lettore protesta contro la pretesa israeliana, espressa nella trattativa del riconoscimento del suo carattere ebraico, mentre non spende una parola per la pulizia etnica palestinese, che è tutt'altra cosa, non solo la volontà di avere uno stato arabo?
- Pulizia etnica presente: non vi sono ebrei nei territori amministrati dai palestinesi, se entrano rischiano la vita.
- Pulizia etnica passata: nei diciott'anni fra il '49 e il '67, che i palestinesi vorrebbero restaurare ora, gli ebrei che vivevano ininterrottamente da tremila anni a Gerusalemme, a Hebron ecc. furono tutti scacciati. Non fu concesso agli ebrei di visitare i loro luoghi santi, nonostante che questo impegno fosse contenuto nell'accordo armistiziale, tutte le sinagoghe furono abbattute, le case ebraiche (tutto il quartiere ebraico di Gerusalemme e molto di più) abbattute o espropriate, con le lapidi dei cimiteri si lastricarono le strade. La Giordania annesse tutti i territori e concesse la cittadinanza a tutti coloro che vivevano nel mandato inglese prima del 48, ESCLUSI GLI EBREI. Ancora oggi, non è possibile per gli ebrei abitare la Giordania e neppure visitare l'Arabia Saudita.
- Pulizia etnica futura. Il presidente Mahammud Abbas, capo dei "moderati" dell'Autorità Palestinese ha dichiarato che non a un singolo ebreo sarà concesso di vivere nello stato palestinese e se ci saranno delle truppe di interposizione, per esempio americane o francesi, non dovranno farvi parte militari di religione ebraica. 
Il nostro lettore noterà che qui la confusione fra nazionalità, religione e cittadinanza non viene da Israele. La domanda che gli facciamo è: perché nessuno protesta - neanche lui - contro questa pulizia etnica di stile nazista praticata e progettata dai palestinesi e invece si fa scandalo per la richiesta di Israele (che certo non esclude e non espelle i propri cittadini arabi, ma riconosce loro tutti i diritti) di essere riconosciuto come stato ebraico?

Ugo Volli


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