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Agenzia Radicale Rassegna Stampa
29.07.2011 Dan Bahat, il mestiere dell'archeologo in terra d'Israele
Raccontato da Elena Lattes

Testata: Agenzia Radicale
Data: 29 luglio 2011
Pagina: 1
Autore: Elena Lattes
Titolo: «Dan Bahat, il mestiere dell'archeologo in terra d'Israele»

Da AGENZIA RADICALE, Elena Lattes incontra Dan Bahat,  famoso archeologo isrealiano, in Italia per un giro di conferenze.


Dan Bahat

E' un uomo simpatico e molto alla mano, ma con una vastissima cultura, sia storica e geografica che biblica e di letteratura religiosa; ha scavato in tutta Israele ed è protagonista dei più importanti ritrovamenti: da Masada a Gamla, passando per Gerusalemme e Cesarea. Dan Bahat, forse il più famoso archeologo israeliano, è venuto in Italia per un ciclo di conferenze e si è fermato anche a Roma dove ha parlato in una sala gremita da persone attente a non farsi sfuggire neanche una parola. Ha spiegato al folto pubblico i problemi legati al suo mestiere, uno dei quali è sicuramente quello di stabilire il confine tra le varie discipline: dove finisce, per esempio, il compito dell'archeologo e cominciano quelli dello storico, del critico d'arte, del letterato o del teologo? Un altro non meno importante è quello del rispetto della sacralità dei luoghi. Israele, infatti, è un Paese ricco di storia e ha un grande valore per molte religioni, così quando si scava o si fa ricerca bisogna tenere conto di tutte le esigenze e tradizioni. Benché a Gerusalemme i primi archeologi a metà del diciannovesimo secolo fossero ebrei desiderosi di trovare le radici della propria cultura, i lavori furono inizialmente incentrati sulla letteratura cristiana e araba. Nonostante questo, di tracce musulmane ne vennero rinvenute poche dato che la città non era mai stata al centro della cultura islamica. Acquistò valore soltanto in due periodi specifici: durante le Crociate e dopo la ricostituzione dello Stato di Israele. Le famose moschee Cupola della Roccia e Al Aqsa (che in arabo vuol dire "la più lontana", la più lontana, infatti, dalla Mecca) furono costruite su imitazione delle basiliche prima ivi esistenti (per quanto riguarda il tipo e la forma dell'edificio, compresa la cupola dorata analoga a quella del Santo Sepolcro costantiniano) e su ispirazione della Bibbia ebraica (per quanto riguarda il posto, dove secondo la tradizione avvenne il tentato sacrificio di Isacco). I due luoghi sacri durante la dominazione arabo-turca furono quasi abbandonati per essere poi ristrutturati sotto il Mandato Britannico e dopo la Guerra dei sei giorni (1967, quando Israele prese il controllo di tutta la città). La capitale della regione per i musulmani, prosegue Bahat, era Ramle (a sud est di Tel Aviv sulla strada per Gerusalemme), unica città fondata dai mamelucchi nell'ottavo secolo e le sole altre moschee importanti nel passato si trovano a Gaza e a Nablus (Shechem). Tutte e tre costruite su precedenti basiliche dedicate a San Giovanni Battista che a loro volta avevano preso il posto di sinagoghe. Tutta questa situazione, unita al fatto che gli arabi per motivi politici e strumentali ora negano le radici ebraiche e cristiane, sostenendo che tutto quel che è stato trovato è falso, rende ancora più complicato il mestiere dell'archeologo in quelle terre. Tuttavia i governi israeliani facilitano gli scavi, la ricerca e anche il commercio dei reperti obbligando, però, i venditori a dichiarare da chi hanno comprato gli oggetti e a chi li ritrasferiscono. Nel Paese infatti arrivano squadre di archeologi provenienti da tutto il mondo, poiché Israele è l'unico Stato liberale della regione che permette l'intervento di chiunque. In questo modo, secondo Bahat, vengono scoraggiati i traffici illeciti mantenendo ugualmente un controllo su tutto quel che viene trovato e sulle relative destinazioni.

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