lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
28.07.2011 Primavera araba: in Egitto e Somalia
il commento di Giulio Meotti, la redazione del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 28 luglio 2011
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti-La redazione del Foglio
Titolo: «Il nuovo Egitto condanna per eresia al Qimni, il < Voltaire dell'islam >-Così gli islamisti stanno peggiorando la carestia della Somalia»

Sul FOGLIO di oggi, 28/07/2011, a pag.2, la cronaca di Giulio Meotti sull'Egitto post primavera araba. C'è da rabbrividire.
A pag.3, a cura della redazione, la lenta agonia sdella Somalia, nelle mani dei terroristi islamici.
Ecco gli articoli:

Giulio Meotti: " Il nuovo Egitto condanna per eresia al Qimni, il < Voltaire dell'islam >


Sayyid al Qimni

Roma. Il Consiglio di stato egiziano, pare sotto la pressione dei Fratelli musulmani e dell’establishment religioso più oltranzista, ha condannato per “eresia” Sayyid al Qimni, un famoso intellettuale laico noto anche come il “Voltaire dell’islam” (è stato l’Economist a ribattezzarlo così) per le sue dure critiche al mondo islamico moderno. Come ha scritto ieri il giornale Al Masri al Ayoum, l’attivista è stato costretto a restituire lo “State Merit Award”, il massimo premio di stato egiziano offerto dal ministero della Cultura del valore di oltre ventimila euro, vinto da Qimni nel 2009 per il suo contributo alle scienze sociali. Secondo il tribunale, il riconoscimento viene pagato con soldi pubblici e non è giusto che la popolazione finanzi una persona “eretica” che scrive contro l’islam. Il Consiglio di stato ha deciso anche che “gli scritti di Qimni violano il Corano e la Sunna e sbeffeggiano i Profeti e Allah”. I fondamentalisti islamici avevano affisso il nome di Qimni sulle porte di alcune moschee radicali. Figlio di un imam della provincia egiziana, Qimni era già finito nelle mire islamiste per aver proposto l’abolizione dell’articolo due della Costituzione che pone la sharia come base dello stato. Le opere di Qimni sono state anche bandite dall’università al Azhar e religiosi estremisti lo hanno bollato come “apostata” (persino il Muftì, Ali Gomaa, lo ha denunciato pubblicamente). Una delle minacce di morte contro Qimni recita: “Grazie soltanto ad Allah, la preghiera e la pace all’ultimo dei profeti. Sappi o miserabile, o apostata di nome Sayyid al Qimni, che cinque fratelli monoteisti, leoni della Jihad, sono stati arruolati per ucciderti. Hanno giurato ad Allah di acquisire le sue grazie tagliandoti la testa. Sono determinati a farsi rimettere i loro peccati facendo scorrere il tuo sangue. Ciò in ottemperanza all’ordine del supremo profeta: chi cambia la propria religione uccidetelo”. Ahmad Omar Hashem, ex rettore di al Azhar, ha sancito che non saranno sufficienti le scuse di Qimni e che “il mondo islamico non si calmerà se non ci sarà la punizione decisiva e immediata”. Anche Mohamed Said al Ashmawi, uno dei più noti pensatori liberali dell’islam, è stato condannato a morte per apostasia da quando, negli anni Ottanta, osò dire che la sharia è solo “un metodo”, non una “legge”. E l’8 giugno 1992 i terroristi della Gamaa al Islamiya, oggi in corsa alle elezioni, assassinarono l’intellettuale laico Farag Foda. Il più insigne teologo islamico, Mohammad al Ghazali, appartenente ai Fratelli musulmani, legittimò in tribunale l’attentato: “L’uccisione di Foda è la punizione nei confronti di un apostata che lo stato non aveva attuato”. Al Ghazali nel 1959 aveva condannato per apostasia anche il premio Nobel Naguib Mahfouz per il romanzo “Il rione dei ragazzi”, condanna che ispirò il tentativo nel 1994 di assassinare Mahfouz a pugnalate. Per questo Qimni ha persino rinunciato pubblicamente a esporre le proprie tesi controverse, proclamando “il pentimento e la dissociazione da tutte le blasfemie scritte”, nonché la decisione di “rinunciare alla scrittura definitivamente”. Un tentativo tragico di mettersi al riparo dalla condanna a morte. “Ammetto che la morte, spezzando la mia penna, sarà una lenta agonia, perché la mia penna è la massima aspirazione della mia vita e dello spirito che respiro, ma con questa decisione mi resterà il tempo per accudire i miei figli”.

 

" Così gli islamisti stanno peggiorando la carestia della Somalia "

Roma. Le carestie, nel mondo moderno, non sono più causate dalla mancanza di alimenti. La fame che ha colpito 3,7 milioni di persone in vaste zone della Somalia del sud segue lo stesso principio. E’ indubbio che le scarse piogge degli ultimi due anni abbiano contribuito a quella che Mark Bowden, responsabile dell’Onu per gli aiuti umanitari in Somalia, ha definito “la peggiore carestia degli ultimi venti anni”, ma bisogna guardare alla struttura politica del paese per capire le ragioni della crisi umanitaria. Il 22 luglio l’Onu ha ufficialmente dichiarato la carestia nelle regioni somale del Bakool del sud e del basso Shabel, aggiungendo che la crisi potrebbe ampliarsi ad altre aree e colpire anche l’Eritrea e l’Etiopia. Da settimane decine di migliaia di persone fuggono dalla Somalia per raggiungere l’Etiopia o il Kenya. Gli operatori umanitari che accolgono i rifugiati parlano di madri che giungono ai campi profughi con i piedi insanguinati, tenendo in braccio bambini morti, mentre tra le lacrime raccontano di aver lasciato i membri più deboli della famiglia stremati lungo il cammino. Le ultime stime parlano quasi di un migliaio di morti al giorno, ma i numeri sono destinati a peggiorare velocemente: l’Agenzia americana per lo sviluppo prevede che ad agosto 2.500 persone al giorno perderanno la vita. Le vittime della carestia sono anche vittime degli Shabaab, i fondamentalisti che hanno preso il controllo di gran parte del paese, che usano l’accesso al cibo come uno strumento di amministrazione del territorio. Già nel 1981 Amartya Sen, economista indiano e docente di Harvard, aveva evidenziato che la produzione di alimenti pro capite non ha alcuna connessione con le morti causate dalla carestia. Lo studioso, dopo aver raccolto dati dalla grande carestia cinese del 1959, trovò che le aree dove si contava il maggior numero di morti erano le zone con la maggior produzione di aliquanmenti pro capite nel paese. Le cause della carestia vanno dunque cercata in ciò che Sen chiama la “capacità di attribuzione”, che tradotto dal linguaggio accademico a quello pragmatico diventa la realtà politica del paese e le condizioni di accesso agli alimenti disponibili. Su Foreign Policy Charles Kenny del Center for Global Development scrive che “la carestia in tutto il suo orrore è anche una delle forme di mortalità più semplici da combattere – necessita semplicemente di cibo. Il risultato è che le morti per fame sono spesso il frutto di atti intenzionali da parte delle autorità che governano. Se storicamente le carestie sono il risultato del collasso della produzione locale, delle risorse limitate o delle infrastrutture deboli, oggi questi problemi non sussistono più: con la globalizzazione, la diffusione delle infrastrutture e dei mercati, gli scarsi raccolti sono diventati un fattore insufficiente a spiegare una carestia”. La Somalia non è un’eccezione e la difficoltà disperata in cui migliaia di somali si ritrovano oggi è il risultato delle scelte di al Shabaab, l’organizzazione islamista sorella di al Qaida in Somalia che controlla le aree afflitte dalla carestia. Roger Middleton, analista del think tank britannico Chatham House, parlando con il Foglio individua due ragioni principali per spiegare la carestia. Primo: “L’organizzazione rifiuta di lasciar entrare qualsiasi Ong sospettata ‘di avere altri scopi se non quelli umanitari’”. Secondo: “Ammettere la carestia significa accettare di aver perso il controllo della regione e perdere legittimità politica agli occhi della popolazione e gli Shabaab non sono disposti a compromessi”. Gli islamisti, in guerra con il governo della Somalia, barricato in pochi metri quadri di Mogadiscio, si sono espansi reagendo con violenza a qualsiasi interferenza. Gli attacchi ai convogli umanitari non sono una novità: tra il 2008 e il 2009 42 operatori sono rimasti uccisi e dal 2010, il Programma alimentare mondiale dell’Onu si è ritirato dalla regione dopo le minacce degli Shabaab che chiedevano mazzette in cambio di sicurezza. All’oltranzismo anti occidentale degli islamisti si aggiunge la paura dei donatori internazionali che temono che gli aiuti umanitari siano utilizzati per finanziare armi e munizioni. Non sarebbe la prima volta, nel 2010 è stato scoperto che milioni di dollari dei ricavi del Live Aid del 1984, organizzato in pompa magna da Bob Geldof per soccorrere gli etiopi attanagliati dalla carestia, finirono nelle mani dei ribelli che combattevano il governo. Per evitare un simile scenario gli aiuti umanitari americani sono rapidamente passati da 237 milioni di dollari nel 2010 ai 29 milioni di oggi. La Somalia è lo stato fallito per eccellenza. Il paese, da più di vent’anni, è in balia di milizie e gruppi armati che combattono, a turno, tra di loro e contro il governo. E’ il porto franco del terrorismo internazionale, la base dei pirati che attaccano le navi in transito dal golfo di Aden. Da anni l’Amministrazione americana cerca di riportare ordine nel paese, ma con risultati incerti – ricordate il film “Black Hawk Down”? Anche di recente il presidente Barack Obama ha lanciato attacchi di droni per tentare di eliminare gli Shabaab e per colpire alcuni leader ricercati da tempo. Secondo David Carr, responsabile di Usaid, non è un caso che la carestia sia per il momento limitata alle zone controllate dagli islamisti. “In Etiopia e in Kenya – dice Carr in un’intervista su Foreign Policy – siamo riusciti a prevenire la carestia mentre in Somalia persisite perché non ci lasciano entrare”. Per un breve momento, all’inizio del mese, sembrò che gli Shabaab avessero concesso alle Ong di operare sul territorio, ma il portavoce, settimana scorsa, ha bloccato ogni ottimismo chiamando la carestia “pura propaganda”. Se al Shabaab non cambierà idea o non sarà costretta a concessione dallo scontento somalo è difficile capire che cosa sarà della popolazione. Nelle sale della diplomazia internazionale qualcuno si muove sulla scia delle ricerche di Sen: data la facilità nell’affrontare le carestie nel mondo moderno, coloro che la impediscono potrebbero essere perseguiti per crimini contro l’umanità e processati dalla Corte internazionale. I membri del Parlamento europeo hanno mosso i primi passi in questa direzione trovando un precedente: la carestia in Ucraina del 1932 causata dalle politiche di Stalin è stata riconosciuta come crimine contro l’umanità. Il problema in Somalia però rimane e le ong dovranno decidere se fare un compromesso con l’intransigenza degli Shabaab, rischiando così la strumentalizzazione, o lasciare migliaia di persone al proprio destino. Gli aiuti umanitari ci sono, sono vicini e sono disponibili, ma quando l’intransigenza islamista incontra una grande carestia, quello stato rischia di diventare lo stato più fallito del pianeta.

Per inviare al Foglio la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT