Ho notato che molti hanno contestato la domanda di Ugo Volli, lanciata anche in un editoriale di Feltri, sul perchè tra i 500 giovani presenti al party laburista nessuno abbia provato a bloccare l'assalitore. Per quanto sembri cinico, mi duole riconoscere che nelle notti insonni di molti dei superstiti che hanno visto falciare compagni, amici, fidanzati rieccheggerà disperato proprio quel "Perchè non ho fatto niente?".
Non per nulla ai corsi di livello avanzato di autodifesa e difesa di terzi insegnano la prospettiva dell'intervento di fronte a situazioni di violenza, ovviamente con attenzione rispetto alla propria messa in sicurezza (affrontare una situazione con una modalità che non si è in grado di fronteggiare è un atteggiamento suicida) con la spiegazione assolutamente umana del "Non riuscirete più a dormire, sapendo di aver visto massacrare qualcuno senza aver fatto nulla".
Molti di questi ragazzi affronteranno questa domanda, ma soprattutto questo stato emotivo, in terapia con i loro psicologi, pensare la questione a livello sociale non è che una macroanalisi della stessa. Non è cinismo nè speculazione: in realtà è sopravvivenza.
Tutto vero ciò che scrive, ma è una facciata della medaglia. L'altra, quella che costa più fatica, sforzo intellettuale per affrontarla, è il riconoscere il fallimento di un sistema educativo che non tiene conto del fatto che il terrorismo islamico ha cambiato il mondo nel quale viviamo. Quei ragazzi erano convinti di vivere in un mondo che invece non esiste. Anche per questo sono morti.
IC redazione