Cari amici, vi piace Pirandello ? Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A.B.Yehoshua
Cari amici, vi piace Pirandello? Come autore teatrale, voglio dire. Sì? Anch'io trovo che, al di là del dialogo faticoso e delle storie convenzionali, vi sia un fondo inquietante in quella sua interrogazione sul soggetto e l'identità. Sappiate però che era iscritto al Partito Nazionale Fascista e convinto ammiratore di Mussolini. Non vi piace? Magari preferite Pinter, che io trovo stucchevole e noioso. Ma costui era uno di quegli ebrei che si odiano, sempre pronto a parlar male di Israele. E però molti, anche nel mondo ebraico, amano il suo lavoro. Vi piace Cézanne? Sappiate che era schierato contro Drayfus. Perché vi racconto queste cose? Perché in generale non c'è rapporto fra il valore di un artista e le sue opinioni politiche. In generale bisognerebbe guardare le opere come se dietro non ci fosse un uomo con le sue debolezze e ascoltare le opinioni dell'uomo come se non avesse prodotto dei capolavori. Dico in generale perché ci sono dei limiti. Quando l'opera stessa è violenta e perfino criminale, o quando la compromissione col male è così intima da non permettere la distinzione, è impossibile ignorare il legame. Sto parlando per esempio di Céline, di cui giustamente la comunità ebraica francese ha sollecitato il governo a non celebrare l'anniversario, e anche per certi versi di Wagner, di Heidegger, di Schmitt, di Pound. Non dico che bisogna condannarne la memoria e farne a meno, ma maneggiarla con molta attenzione e continue avvertenze.
Tutta questa è una premessa, a un problema che spesso mi imbarazza. Ho ammirazione per i romanzi di A.B.Yehoshua, ma trovo disastrosi i suoi interventi politici. L'ultimo è stato pubblicato ieri (in Italia sulla "Stampa", lo trovate nella rassegna di Informazione Corretta). Suggerisce con la massima tranquillità una soluzione per come risolvere il dibattito sul riconoscimento di Israele come stato ebraico, che i palestinesi rifiutano, insieme alla clausola di chiusura della vertenza una volta raggiunta la pace, che i palestinesi rifiutano perché considerano ogni accordo con Israele solo il primo passo sulla strada della "liberazione" completa della "Palestina", "dal fiume al mare". Israele chiede di essere riconosciuto come "stato ebraico" (dai palestinesi, non dagli egiziani o dagli australiani, perché solo con questo riconoscimento si potrà essere sicuri che accetteranno davvero la convivenza con gli ebrei, con quello che Israele è davvero, ciò per cui è nato), e i palestinesi rifiutano? Semplice, dice il grande scrittore. Basta rinunciare alla clausola dello stato ebraico e chiedere ai palestinesi di riconoscere Israele come stato del popolo israeliano, o stato israeliano. Ma che vuol dire questo? E' una semplice tautologia, uno scrittore dovrebbe ben capirlo. Israele è uno stato israeliano come Utopia è uno stato utopico, o la Ruritania delle operette è uno stato ruritano, o l'abolita comunità degli stati indipendenti che sostituì l'Urss era comunitaria. L'impegno in una dichiarazione del genere è zero.
Allora diciamolo. Quello di Yehoshua è un assist ai palestinesi, che possono dire: vedete, anche nel vostro campo ci sono dissensi, i vostri più illustri intellettuali non sono interessati alle vostre fisime. E' una delegittimazione in campo internazionale, insomma uno sgambetto a Israele. Conclusione (un po' sgradevole): del politico Yehosua non ho nessuna stima. Trovo i suoi articoli sbagliati e dannosi. Invece i suoi romanzi mi piacciono, attendo con gioia la traduzione del prossimo, già pubblicato in ebraico. Sono incoerente io? Non credo. Tra vita e arte, purtroppo o fortunatamente, non c'è molto accordo.