La mia guerra non è finita Marco Patucchi e Harry Shindler
Dalai Editore Euro 17,50
Semplicemente, la guerra è un evento che segna in modo indelebile ogni esistenza. Non è possibile dimenticarla, non fosse altro perché è quella che ad appena vent’anni ti fa varcare col fucile in mano la linea d’ombra della vita. Harry Shindler, che oggi di anni ne ha 90 e vive in Italia a San Benedetto del Tronto, quel fucile lo ha portato con sé nello sbarco alleato a Anzio dell’inverno del 1944 con i suoi commilitoni della Royal Army britannica. Ma non ha mai dimenticato il fronte né i compagni d’avventura e ha dedicato la vita a restituire storia, o anche solo un’identità, ai molti soldati britannici caduti in Italia nella guerra al nazismo.
Harry Shindler costruisce giorno per giorno la sua Spoon River personale e dall’incontro con Marco Patucchi, giornalista della Repubblica, è nato un libro pubblicato da Dalai Editore (La mia guerra non è finita), a metà strada tra la memorialistica e l’investigazione sul campo, alla ricerca di nomi e volti scomparsi nel fragore delle bombe. Shindler è un uomo con una scrivania, un telefono, una macchina per scrivere meccanica e un mucchio di cartelline sulla scrivania. Ed è l’uomo a cui si rivolgono figli o nipoti, fratelli o commilitoni dei soldati inghiottiti dalla guerra in Italia pregandolo di aiutarli a scoprire le verità che gli archivi ufficiali non sono più in grado di ricostruire. Riempie, o almeno ci prova, i buchi della storia, come il destino di un bombardiere britannico decollato da Foggia per lanciare rifornimenti ai partigiani in Liguria e sparito in una notte dell’autunno ’44. A bordo c’era anche il soldato australiano Bob Millar. E’ stata sua figlia, che nel 1944 era una bimba, a chiedere l’aiuto di Shindler per tentare di chiarire la sorte del padre, ancora oggi sconosciuta. Dalle indagini di Shindler e Patucchi è stata invece chiarita l’identità (Gabor Adler, alias John Armstrong) del misterioso agente segreto inglese fucilato dai nazisti in fuga da Roma nel giugno 1944, in località La Storta, sulla via Cassia, con altri 13 prigionieri, tra cui il sindacalista Bruno Buozzi.
E’ su questi casi, una specie di Chi l’ha visto? della Seconda guerra mondiale, che un’amicizia si è saldata tra Marco Patucchi che, cinquantenne, la guerra l’ha studiata a scuola, e l’anziano soldato, che ricorda così il primo giorno di guerra: “Sulla nave, bastava il silenzio angoscioso di centinaia di soldati per intuire che la nostra gioventù stava finendo”. Shindler, con il suo network di contatti, e Patucchi, con le capacità di ricerca di giornalista, lavorano ai margini della grande storiografia della guerra, ma affondando le mani nella quotidianità degli uomini che l’hanno combattuta, che ha spesso fatto la storia più delle bombe e dei cannoni.
Luigi Irdi
Il Venerdì di Repubblica