Egitto, sulla via dell’esplosione ?
di Mordechai Kedar
da "Makor Rishon"
Center for the Study of the
Middle East and Islam (under formation) Bar
Ilan
University
(traduzione di Angelo Pezzana)
Mordechai Kedar Piazza Taharir
Sei mesi fa, il 25 gennaio, migliaia di egiziani si radunarono nella Piazza Taharir (liberazione, dall’occupazione inglese), nel centro del Cairo, chiedendo le dimissioni di Mubarak, che occupava la poltrona presidenziale da quasi trent’anni, dall’ottobre 1981. Chiedevano la fine della corruzione del regime ormai fossilizzato dei ‘Liberi Ufficiali’, che si erano impadroniti del potere nel luglio 1952, cinquantanove anni fa. Mubarak era uno di loro. Il suo governo,che non ha mai affrontato elezioni degne di questo nome, era formato da un vasto gruppo di burocrati, che controllavano ogni segmento della società e sfruttavano per fini personali ogni risorsa. Il popolo è rimasto povero, dimenticato, quaranta milioni di egiziani che vivono in quartieri degradati,senza infrastrutture, come acqua corrente, fognature, elettricità, comunicazioni, educazione e sanità.
La protesta contro Mubarak, che diventava ogni giorno più intensa, si esprimeva con cartelli che riporatavano tutti sempre la parola Irhal (vattene), diretta a Mubarak, sua moglie e i suoi figli, incluso Gamal, nominato già suo successore, e i ministri che l’hanno servito per lunghi anni. Mubarak aveva sempre contato sull’aiuto dell’esercito, per intervenire durante la rivolta, fino a sparare sui dimostranti, dato che ogni unità dell’esercito aveva l’incarico di riportare l’ordine nelle città o nei quartieri dove vi fossero attività anti-governative.L’esercito, invece, non rispose alle aspettative di Mubarak, non sparò sui dimostranti, fin tanto che non mettevano in pericolo la loro sicurezza. Malgrado ciò, centinaia di cittadini vennero uccisi dalla polizia e da agenti armati della Sicurezza di Stato e da agenti in borghese, quando venivano attaccate le stazioni di polizia per impadronirsi delle armi.
Quando le dimostrazioni si fecero più forti, fu lo stesso Ministro della Difesa, Tantawi, a chiedere in termini chiari, che Mubarak di dimettesse dall’incarico; i militari diventarono l’ ‘esercito del popolo’, non più l’ ‘esercito del Presidente’, conquistandosi così la fiducia dei manifestanti.
Rimosso Mubarak, il Consiglio Supremo delle Forze Armate si impadronì del potere, sospese la costituzione per sei mesi, approvando un governo temporaneo guidato da Essam Sharaf. Il successo della sommossa popolare con la cacciata di Mubarak
la" Sfinge" , ha eccitato l’intera popolazione, che ha iniziato a pulire le zone pubbliche vicino alle abitazioni, si è resa conto che il paese poteva appartenergli, che era di nuovo il loro paese dopo essersi liberato dal dittatore. I vicini di casa hanno ripreso ad interessarsi dei problemi comuni, perché hanno riscoperto una loro unità dopo essere riusciti a cacciare il tiranno. Fin dai primi giorni ci furono notizie che erano persino diminuite le violenze sessuali contro le donne che dimostravano in piazza Taharir, mentre prima della rivoluzione succedeva quotidianamente: l’atmosfera durante la sollevazione era caratterizzata da un senso di appartenenza, cooperazione e responsabilità. L’alba di una nuova era irruppe in Egitto in febbraio, diffuse speranze, grandi speranze, sulle rive del Nilo, di una primavera portatrice di successo e prosperità.
Sei mesi sono però passati, e la situazione in Egitto invece di migliorare è peggiorata. I disoccupati, che erano il 25% sotto Mubarak, sono aumentati drammaticamente, persino più del 50%, cioè uno su due salariati non ha un lavoro stabile. L’aumento della disoccupazione deriva principalmente dalla caduta dell’industria del turismo. Sono mancati quei milioni di turisti che arrivavano ogni anno, procurando buone entrate per hotel, ristoranti e lavoratori nei night club; per taxi e autisti di autobus, per i produttori di souvenir, per chi organizzava le gite sul Nilo, vigili del traffico e operatori dello spettacolo, agricoltori che servivano hotel e ristoranti frequentati dai turisti. Dallo scoppio della rivolta sono scomparsi e quei milioni di egiziani che direttamente o indirettamente beneficiavano della loro presenza è da sei mesi che sono senza entrate. Poiché i disoccupati consumano meno cibo, vestiario e servizi vari, anche altri settori hanno patito l’effetto domino del crollo del turismo. Solo alcuni fra le decine di migliaia di egiziani che stanno finendo gli studi accademici troverà lavoro, sia nel settore privato che pubblico, al livello degli studi compiuti. Da questo punto di vista, il favoritismo era, ed è ancora, la regola comune.
Le speranze che il nuovo governo avrebbe eliminato la corruzione nel settore pubblico sono andate in frantumi.I poliziotti sospettati di aver sparato contro i dimostratnti in gennaio e febbraio non sono stati sospesi, interrogati e denunciati per i loro crimini. Persino Mubarak, ritenuto responsabile per le sparatorie contro i dimostranti, è in attesa del processo in un hotel a Sharm al-Sheikh invece che in prigione. Ministri e altri apparati del nuovo governo hanno fatto parte della classe dirigente corrotta di Mubarak per molti anni. I tribunali militari continuano a processare i civili per attentato alla sicurezza dello stato, sfidando le richieste dei dimostranti che ritengono nulle le garanzie di un processo equo in un tribunale militare.
La domanda che gli egiziani si pongono prima di ogni altra è se i cambiamenti costituzionali devono precedere le elezioni, oppure deve essere responsabilità del parlamento che deve ancora essere eletto. Il Consiglio Supremo delle forze Armate ha risolto la questione decidendo che si dovranno tenere prima le elezioni. Che però vengono sempre posticipate, adesso sembra che si terranno in novembre. Le dozzine di nuovi partiti non avranno comunque il tempo di organizzarsi, e questo sarà un vantaggio per i partiti già esistenti, inclusi i fratelli Musulmani. Che però hanno subito molte divisioni, dando origine a cinque nuovi partiti, per cui non è chiaro se si presenteranno separatamente. Sembra che gli Usa premano sul governo perché le elezioni siano parzialmente democratiche, per impedire che i Fratelli Musulmani ne ricavino troppa influenza. Questo ricorda alla gente il regime di Mubarak e quanto poco sia cambiato.
Il Consiglio Supremo delle Forze Armate sta giocando un ruolo critico importante. Da un lato, l’esercito ha tenuto un approccio favorevole verso i giovani rivoluzionari, spodestando Mubarak. Dall’altro, sui militari grava il peso della guida del paese durante la transizione: restituire alla gente la fiducia nella burocrazia corrotta, che è rimasta largamente la stessa, rendere stabile l’economia e condurre elezioni democratiche , nelle quali il Presidente e i due rami del Parlamento – l’Assemblea del Popolo e il Consiglio della Shura – possano insieme scegliere il governo. Il popolo, e soprattutto i giovani rivoluzionari, hanno capito queste difficoltà e hanno in genere accettato le decisioni del Consiglio Supremo delle Forze Armate negli ultimi mesi.
Ma nell’ultimo mese c’è stato un punto di non ritorno: l’esercito sempre più agisce come una forza di governo e meno come un alleato della popolazione che vuole raggiungere i suoi scopi. La gente ha sempre meno fiducia nel Consiglio delle Forze Armate e innalza cartelli nella piazza Tahrir che dicono “ Basta con il Consiglio delle Forze Armate “, “ Consiglio delle Forze Armate: il tuo credito è finito”, “La rivoluzione continua”, “ Stop ai processi militari per i civili “. Negli ultimi ‘venerdì di rabbia e di allarme’ si capiva benissimo verso chi rabbia e allarme erano diretti.
Questi sviluppi sono stati rappresentati dal comportamento di uno dei capi del Consiglio delle Forze Armate, il generale Moshen Fangary. Dall’inizio della rivoluzione il 25 gennaio, aveva sostenuto il diritto dei cittadini a manifestare pacificamente le loro opinioni, per cui era ben visto dalla massa. Due settimane fa, il 12 luglio, è apparso sui media locali e internazionali, con un tono intimidatorio e minaccioso, e ha letto un documento redatto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, mentre alzava l’indice come sfida: “ … Il Consiglio non rinuncerà al suo ruolo durante questo periodo critico nella storia dell’ Egitto… La libertà di espressione è garantita per tutti, ma solo entro i limiti della legge. Le elezioni saranno il primo passo, dopo di chè verrà approvata la costituzione. I tribunali speciali (cioè militari) non saranno aboliti. L’esercito non tollererà proteste violente o interruzioni delle attività economiche. Non sarà legale la diffusione di disinformazioni che possano portare alla disunione del popolo, alla disobbedienza e al disfacimento della nazione. Si darà precedenza all’interesse pubblico rispetto a quello individuale. Il Consiglio non permetterà a nessuno di impadronirsi del potere e prenderà le misure necessarie contro chi sfiderà la patria.
Milioni di egiziani hanno ascoltato con grande preoccupazione questo discorso, che ha fatto capire a tutti, attraverso la roboante voce del popolare generale Fangary, che il periodo degli abbracci e dei fiori era finito, che l’esercito sarebbe stato al potere per ben più di sei mesi, forse per un periodo molto più lungo. Il generale Fangary, con il suo indice minaccioso e la voce roboante, ha fatto intendere ciò che non sarebbe più stato possibile e che non avrebbe più permesso che l’atmosfera alla Woodcock di Taharir si evolvesse in una protesta anti-esercito.
L’Egitto è entrato nel pieno di una calda estate; l’atmosfera, come la temperatura, sono in crescita. Fra pochi giorni, all’inizio di agosto, comincia il mese di Ramadan, durante il quale i musulmani seguono le regole di Allah. Durante il giorno, lo stomaco è privo di cibo, ma l’anima è piena di pensieri; considerata la pessima situazione nella quale il paese si trova, è sufficiente anche solo un piccolo scontro tra esercito e dimostranti per dare fuoco alle polveri nelle strade egiziane. Quando non ci sono i soldi per comprare il cibo per le trenta cene del Ramadan, o per comprare regali per la famiglia, gli egiziani punteranno il dito accusatorio contro il regime, oggi sotto la guida del Consiglio Supremo delle Forze Aramate.
Nelle prossime settimane o mesi,
la Primavera Araba potrà trasformarsi nella Estate Egiziana, calda, surriscaldata, violenta e aggressiva, nella quale la gioventù di Taharir capirà di aver cambiato un gruppo di ufficiali con un altro, che invece di Mubarak, hanno Tantawi o Fangary, tutti e due della stessa stoffa. Se scoppierà un conflitto, che il cielo non voglia, sarà fra la gioventù rivoluzionaria e l’esercito, che, questa volta, sparerà senza esitare contro di loro.
L’esercito potrà, nel frattempo, gettare qualche osso ai dimostranti, per esempio un processo show a Mubarak, moglie e figli, e la gente potrà persino vederli trascinati in catene nella piazza Taharir; ma questa soddisfazione momentanea non calmerà le strade. Gli si potrà offrire, quale altro stratagemma per spegnere le fiamme, l’ambasciata di Israele e l’accordo di pace con lo Stato ebraico. Se si verificheranno scontri di questo livello fra l’esercito e la popolazione, molti egiziani potranno cercare rifugio in Israele attraverso il Sinai, dato che il confine è aperto. Israele deve prepararsi ad una prospettiva come questa, per non essere colta di sorpresa quando migliaia di egiziani arriveranno ogni giorno, in fuga dalla crudeltà del loro esercito.
Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora a Informazione Corretta