Dal FOGLIO di oggi, 19/07/2011, a pag.3, un accurato reportage dalla capitale siriana, dal titolo " Quartiere per quartiere, così la rivolta serpeggia verso gli Assad "
Damasco. Il regime ha finora potuto contare sulla pace relativa di Aleppo e Damasco. Ma da tre settimane le proteste si stanno avvicinando al cuore della capitale, superando le differenze di fede e di censo che proteggono quartiere per quartiere il cuore del regime. L’obiettivo finale – dice la nostra fonte in città – è occupare piazza Umawiyyin e farne la nuova piazza Tahrir.
La città vecchia (1) è il cuore della capitale e la forza di sostegno politico ed economico al regime. Da cinque anni il governo ha scommesso sul turismo, settore più che raddoppiato nell’ultimo quinquennio. Le vecchie strade e i vecchi suq sono stati rimessi a nuovo (con i soldi della Comunità europea) a beneficio del turista. Oramai gli hotel sono vuoti e i turisti sono pochi e controllati a vista dagli uomini del Mukhabarat, mascherati da insegnanti di lingua inglese, che con la delicatezza di una prima conversazione si informano sui motivi del viaggio. La città vecchia resta “una bolla di sapone se si escludono alcuni episodi a marzo quando pochi manifestanti, sull’onda della primavera araba, hanno manifestato vicino alla centralissima moschea degli Umayyad”. Intanto gli studenti ricchi e la borghesia dei commercianti, cristiani e sunniti, continua ad abitare la zona come se nulla fosse, sotto l’attenta protezione degli Assad con cui è stipulato un patto non scritto per cui la fedeltà al regime è ricambiata con privilegi economici.
Midan (2). Come la città vecchia è un quartiere turistico, famoso per i negozi di dolci e spezie. Fino a sei mesi fa i locali si accalcavano per mangiare il kanafa (un dolce siriano fatto con mandorle e miele) o ammirare le pile di baklava elegantemente accatastate in vetrina. Midan è stata turbolenta fin dalle prime ore anche se l’origine dei manifestanti rimane un mistero: le famiglie residenti sono la media e alta borghesia della capitale. Un’attivista curda racconta che “molti dei manifestanti vengono da fuori per mobilitare il quartiere. Secondo altri invece le manifestazioni sono causate da sentimenti di ostilità religiosa contro gli alawiti, che escludono i sunniti ricchi da molte delle cariche governative più alte a cui avrebbero diritto”. La verità non si è ancora scoperta ma domenica scorsa sui social network sono apparsi i filmati di una grossa protesta, in cui centinaia di persone hanno cominciato a chiedere in massa le dimissioni di Assad. E’ qui che il mercoledì prima scrittori e attori siriani si sono radunati per esprimere il loro dissenso al regime e finire in manette poche ore dopo. Yarmouk (3), a sud di Midan, è la zona palestinese di Damasco. Nei primi mesi delle manifestazioni il quartiere è stato una tomba. Poi il 5 giugno scorso, il giorno della commemorazione della Naksa, la sconfitta del ’67, gli Assad con il Pflp e il Pflp- Gc, due organizzazioni militanti palestinesi con sede a Damasco, per provocare Israele e distogliere l’attenzione dalla repressione interna hanno portato un migliaio di palestinesi di Yarmouk al confine con Israele costringendo i soldati israeliani a sparare. Durante i funerali si è levata la prima protesta palestinese contro il regime da decenni, repressa però duramente dall’esercito che ha lasciato mezzi e uomini nell’area per evitare disordini futuri. Ancora più a sud c’è Sahnaya (4). Molti a Damasco non la considerano neanche più parte della città: “Al Shams (arabo per sole, il nome con cui i siriani si riferiscono a Damasco) non è lei dopo Yarmouk”. Sahnaya è parte dei sobborghi costruiti durante il boom degli anni 90. Non sembra di essere più nel cuore del medio oriente: villette a schiera, curate, imbiancate di fresco e con il giardino davanti, si perdono lungo le strade. I viali sono ampi e decorati da alberi. Come i cristiani del centro, la comunità di Sahnaya, anche se meno facoltosa, rimane fedele agli Assad che continua ad assicurare loro protezione. I drusi si sono comportati in modo più ambiguo: gli attivisti dicono che la comunità era pronta a rivoltarsi già dalle prime settimane, ma dopo l’intervento di Walid Jumblatt, il leader della comunità drusa libanese (che ora fa parte del governo di Hezbollah), si sono convinti a mantenere la calma.
Ma’damiyya e Daraya (5) sono i sobborghi più turbolenti della capitale. Per qualche settimana i manifestanti sono riusciti a barricare le strade e a respingere con successo le forze di sicurezza del regime. Poi, è intervenuto l’esercito. Sono arrivati carri armatie mezzi pesanti che hanno circondato la zona: per giorni nessuno poteva entrare o uscire in modo che nella città vecchia si potesse continuare a far finta di nulla. A Ma’damiyya c’è pure un motivo di risentimento personale verso il regime: un decennio fa i terreni degli abitanti sono stati espropriati dall’esercito per adibirli a residenze della Guardia presidenziale.
Mezzeh Jabal e Sitta wa Thamanin (6). E’ il quartiere della minoranza alawita, la stessa della famiglia Assad. La fedeltà al regime è assoluta: molte famiglie sono alle dirette o indirette dipendenze del regime. E’ qui che risiedono gli impiegati del Mukhabarat, presenza che ha impaurito i residenti e prevenuto qualsiasi protesta per paura di ritorsioni violente. La tensione rimane però altissima: il venerdì fuori dalle moschee tutti si guardano intorno, sembrano aver paura che succeda qualcosa, che i manifestanti abbiano trovato la sicurezza per scendere in piazza anche qui e che il malcontento di Sitta wa Thamanin, area limitrofa e di estrazione fortemente popolare, trasbordi. Thamanin è tra i quartieri più disperati di Damasco, costruito dai siriani più poveri, abusivamente e con mezzi di fortuna. La maggioranza degli abitanti è sunnita, ma l’appartenenza religiosa non è il motivo principale dello scontento, la causa principale è economica, deriva dall’intensa frustrazione con il regime che da anni ignora le richieste dei sunniti poveri. Con cadenza regolare le ruspe del governo entrano a Thamanin e radono al suolo abitazioni ed edifici, poi per mesi il problema è dimenticato, le case sono ricostruite e le ruspe ricominciano a demolire e sfrattare. Gli Assad conoscono bene i problemi del quartiere e la paura degli alawiti di Mezzeh Jabal: appena i primi disordini sono scoppiati l’area è stata isolata e resa impenetrabile da un cordone di check-point.
Dummar (7) è un quartiere misto, siriano e palestinese. Tra le case fatiscenti e le strade poco curate però, si nascondono molti compound di ricchi personaggi vicini al regime. Se gli abitanti non puntassero le dita nella direzione delle case non si noterebbero nemmeno, protetti da alti muri, filo spinato e guardie private. Storicamente la classe più povera che abita a Dummar ha motivi di risentimento personale contro il regime dati da decenni di esclusione economica e di disagio. Nessuno però ha mai protestato perché lì ha sede la Quarta divisione dell’esercito guidata dal temuto e violento fratello di Bashar, Maher el Assad. Un’attivista racconta al Foglio di un tentativo di protesta a fine maggio: quattro persone, al termine della preghiera del venerdì hanno tentato di incitare i compagni di preghiera alla protesta gridando “huria huria”. In risposta hanno soltanto ottenuto sguardi di spavento assoluto. Tutti avevano in mente gli uomini della Quarta divisione appostati a pochi chilometri.
Rukn al Din (8). E’ la zona curda della città. Storicamente i servizi di sicurezza hanno sempre avuto la mano leggera con i curdi. La calma curda è necessaria ad Assad, oltre che per motivi di politica interna, per onorare un impegno non scritto con la Turchia: fino al 1998 la Siria era la base degli attacchi curdi al governo di Ankara; poi, dopo il riallineamento di Ankara e Damasco, gli Assad hanno disarmato i curdi, a cui in cambio è stato concesso un livello di autonomia anche se non in modo formale.
Qaboun (9) è un quartiere sunnita. Dall’inizio delle manifestazioni le proteste sono state costanti e non soltanto limitate a venerdì. Sono ormai diversi mesi che nelle strade, di notte e di giorno, si sentono spari saltuari. Fonti del Foglio parlano di un’atmosfera surreale, come a Hama “Qaboun è stato a tratti un quartiere libero”. Venerdì scorso, tra le quindicimila e le ventimila persone sono scese per le strade, i militari hanno risposto con violenza uccidendo sei persone e ferendone quindici. Durante la marcia i manifestanti hanno cantato “nessun dialogo con il regime”, “il popolo vuole che il regime cada” e “nessun dialogo con Bashar”. Un video su YouTube che mostra una guardia di sicurezza, vestita di verde e con il volto coperto, che insegue, sparando, i manifestanti ha fatto il giro del Web. La guardia fuori controllo è sia simbolo della frustrazione del regime, che sembra aver perso una tattica, sia dei manifestanti di Damasco, che oramai sfidano più apertamente gli Assad, sempre più vicini a ciò che potrebbe essere la loro piazza Tahrir, vicino alla città vecchia.
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