Riportiamo da AVVENIRE del 14/07/2011, a pag. 32, l'articolo di Noè Ghidoni dal titolo "Gerusalemme, fermiamo l'esodo dei cristiani ".
La comunità cristiana che vive a Gerusalemme Est è costretta a fuggire per causa degli arabi. Sovente è vietato alla comunità cristiana di frequentare i luoghi santi che si trovano in Cisgiordania; però, Noé Ghidoni scrive: "(...) costruzione di nuove case per le giovani coppie di Gerusalemme che potranno rimanere nella città senza essere costrette ad abbandonarla per emigrare, spesso all'estero, a causa delle restrizioni imposte dall'autorità governativa dopo l'occupazione del 1967. " Secondo Noé Ghidoni i cristiani sono costretti a emigrare per colpa di Israele e non per colpa degli arabi. Ricordiamo a Noé Ghidoni che a costringere i cristiani ad abbandonare le proprie case sono proprio i palestinesi così come è sancito pure nello statuto dell'ANP dove la Palestina deve essere libera dai cristiani e dagli ebrei. Inoltre in Israele tutti i cittadini godono degli stessi diritti, senza distinzioni di sesso e religione. Ghidoni, invece di preoccuparsi della inesistente emorragia di cristiani da Israele, si preoccupi da quella reale da tutti i Paesi islamici.
Ghidoni scrive: "Parole dure riguardo ai danni provocati dal muro di 700 chilometri che isola la popolazione palestinese, rendendo difficile un futuro di convivenza dopo che un'intera generazione è nata, cresciuta e vissuta sperimentando violenza, occupazione, separazione, odio, in un conflitto che dura da 64 anni. "Un muro di 700 chilometri ? Basterebbe questa bufala per togliere qualunque credibilità all'articolo, perchè prima di scrivere Ghidoni non si informa ?
La violenza perpetrata dai palestinesi ai danni dei cristiani non è per colpa della barriera, né di Israele. Se lo Stato ebraico ha dovuto erigere la barriera è stato a causa del terrorismo palestinese. La barriera protegge tutti i cittadini israeliani dagli attentati, cristiani compresi.
Ecco l'articolo:
Fa decisi passi avanti il progetto «Una casa per le giovani coppie di Gerusalemme» in programma per ricordare adeguatamente, con un segno significativo e concreto, il prossimo 40 anniversario di fondazione del Mcl nel 2012. C'è stato il passaggio, non solo formale ma partecipato e articolato, nel Consiglio nazionale dello scorso giugno e l'incontro a Firenze con il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal che, nella sala della sede provinciale del Mcl, ha ricevuto dal presidente Carlo Costalli una prima tranche del contributo destinato alla costruzione di case a Beit Safafa, un piccolo quartiere arabo nella periferia sud-est di Gerusalemme, a metà strada tra Patt e Gilo, verso la periferia di Betlemme. In verità quello per le case non è il primo intervento del Mcl in Terra Santa. Infatti da tempo vengono sostenute le opere del Patriarcato: negli ultimi anni si è finanziata la costruzione di quell'enorme opera costituita dall'Università di Madaba in Giordania, territorio che appartiene al Patriarcato insieme con Israele, Palestina e Cipro. dal Papa che ne benedì la prima pietra nel 2009, aprirà i battenti nel prossimo ottobre con le sue sette facoltà ed il campus che potrà, a regime, ospitare 8000 studenti e 500 tra docenti e operatori. Ciò che ha indirizzato il Mcl a sostenere quest'opera educativo-formativa è stata la prospettiva di formare una classe dirigente illuminata che apprendesse la tolleranza, l'apertura di spirito e l'impegno per il bene comune provenendo non solo dalla Giordania ma anche dalla regione del Golfo, dal Maghreb e dall'Africa. L'intenzione del Mcl è di concentrarsi ora sul progetto di costruzione di nuove case per le giovani coppie di Gerusalemme che potranno rimanere nella città senza essere costrette ad abbandonarla per emigrare, spesso all'estero, a causa delle restrizioni imposte dall'autorità governativa dopo l'occupazione del 1967. Dopo un'accesa disputa legale, il Patriarcato ha avviato un progetto, anche in questo caso molto rilevante, che comporta una previsione di spesa di 16/17 milioni di dollari. È la costruzione di queste case che il Mcl ha deliberato essere l'impegno-simbolo per il 40° anniversario. A tale progetto ha fatto ampio riferimento il patriarca Twal nel corso degli incontri fiorentini tra i quali anche quello con l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori. Insiste Twal su Gerusalemme quale «Chiesa del Calvario» provata dalla diaspora (cui si vuole far fronte con le nuove case), dalla difficoltà di muoversi, di lavorare, di studiare, dall'impossibilità per i cristiani arabi di accedere ai luoghi santi. Parole dure riguardo ai danni provocati dal muro di 700 chilometri che isola la popolazione palestinese, rendendo difficile un futuro di convivenza dopo che un'intera generazione è nata, cresciuta e vissuta sperimentando violenza, occupazione, separazione, odio, in un conflitto che dura da 64 anni. Secondo il patriarca, l'occupazione non fa bene né all'occupante né all'occupato: l'uno ha costantemente paura di prendere misure contro la smilitarizzazione, l'altro anziché vivere di collaborazione, riconciliazione e amore, vive di rifiuto, odio e resistenza che può arrivare alla totale disperazione. Significativa e drammatica la risposta al quesito di uno dei presenti (tra i quali il presidente dell'Ucoi, Izzedin Elzii fiorentino di origine palestinese) quando afferma che Israele ha più preoccupazioni e paura della pace che dell'attuale conflitto. Ma Twal indica Gerusalemme anche come «Chiesa della Risurrezione, della speranza, della gioia» che un piccolo gregge di cristiani (il 2% della popolazione) tiene viva nella sua dimensione profetica. Certo, con l'aiuto di quanti vogliano sostenere la sopravvivenza di quella che si indica come Chiesa madre, Chiesa delle radici di ciascuno di noi.
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