Legge contro il boicottaggio, negli Usa esiste da tempo Nessuno protesta, perchè dovrebbe essere diverso per Israele ?
Testata: Il Foglio Data: 15 luglio 2011 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio - Carlo Panella Titolo: «Leggi in pugno, la Knesset ha preso casa nelle colonie cisgiordane - Israele faccia attenzione, rischia di alienarsi anche i suoi amici»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/07/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Leggi in pugno, la Knesset ha preso casa nelle colonie cisgiordane ", l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Israele faccia attenzione, rischia di alienarsi anche i suoi amici".
Non comprendiamo l'attenzione nè il giudizio negativo dedicati dal Foglio alla legge contro il boicottaggio appena votata in Israele. Come fa notare Eli Hertz (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=260&id=40587) anche negli Stati Uniti è in vigore una legge analoga e nessuno si è mai sognato di metterla in discussione. Perchè per Israele il discorso deve essere diverso? Ecco i due articoli:
Redazione del Foglio - " Leggi in pugno, la Knesset ha preso casa nelle colonie cisgiordane "
Bibi Netanyahu
Roma. La Knesset, il Parlamento d’Israele, ha approvato la controversa legge contro chi boicotta lo stato ebraico e le colonie di Cisgiordania. Il “Boycott Bill” sanzionerà con ammende individui e gruppi che invitano a rescindere rapporti con Gerusalemme. La sinistra ebraica, le associazioni per i diritti umani e parte della diaspora americana parlano di “primo passo verso il fascismo”. E’ la misura politica più dura mai approvata dal premier Benjamin Netanyahu per proteggere la legittimità d’Israele e gli insediamenti ebraici al di là della Linea verde del 1949, dove vivono oggi trecentomila ebrei. Alcuni mesi fa Gerusalemme aveva elevato per la prima volta un istituto educativo in Cisgiordania a università. E l’8 luglio scorso Netanyahu ha confiscato per la prima volta da premier nuova terra al di là della Linea verde per ampliare un insediamento. Per capire come si è arrivati alla legge e alla trasformazione delle colonie in “mainstream” (ovvero parte del consenso nazionale), bisogna studiare l’organigramma del Parlamento e dell’esercito. Il presidente della Knesset, Reuven Rivlin, già candidato alla presidenza, si è appena schierato contro la divisione della terra e mai quanto oggi vi sono parlamentari e ministri che vivono nelle colonie. E non appartengono alla destra più oltranzista dell’Unione Nazionale. Sono i politici che guidano il paese. La legge sul boicottaggio è co-firmata da Dalia Itzik, esponente di punta del partito centrista Kadima. Shaul Mofaz, ex capo di stato maggiore e ministro della Difesa, in lizza per guidare Kadima, vive nella colonia di Elkana, di cui è stato uno dei fondatori. Zeev Elkin, autore della legge sul boicottaggio, vive nella colonia di Kfar Etzion. Otniel Schneller, anche lui di Kadima, vive a Ma’ale Mikhmas, altro insediamento in Samaria. Il ministro della Diplomazia, Yuli Edelstein, vive nella colonia di Neve Daniel, a sud di Betlemme. Molti deputati del partito Israel Beitenu, come David Rotem e Alex Miller, vivono nelle colonie di Efrat e Ariel (Rotem guiderà la commissione giustizia della Knesset). Molti figli e parenti dei ministri vivono negli insediamenti. Il nipote del ministro della Cultura, Limor Livnat, risiedeva nella colonia di Elon Moreh e ad aprile è stato ucciso presso la tomba di Giuseppe, luogo santo per l’ebraismo. Demograficamente nelle colonie si cresce il doppio rispetto al livello nazionale (3,8 figli per famiglia contro 1,7). Numerose, poi, le personalità note sul piano internazionale legate agli insediamenti. Nella colonia di Efrat vive Efraim Zuroff, il cacciatore di nazisti più famoso al mondo ed erede di Simon Wiesenthal. Il premio Nobel dell’economia, Robert Aumann, è uno storico sostenitore delle colonie e guida i “Professori per un Israele forte”. Haaretz, giornale della sinistra israeliana, si è domandato: “L’esercito israeliano è diventato un esercito di coloni?”. Sei colonnelli su sette della brigata Golani sono nazionalisti religiosi. Il 40 per cento degli ufficiali è rappresentato da religiosi (nei primi anni Novanta erano il due per cento). Metà dei nuovi cadetti appartiene alla destra religiosa. Così come metà dei soldati uccisi in “Piombo Fuso” a Gaza erano osservanti. Il nuovo vice capo di stato maggiore, Yair Naveh, è il primo di sempre a indossare la kippah. Anche metà dello staff di Netanyahu è religioso e la scorsa settimana è stato approvato l’inserimento di un rabbino per ogni reggimento dell’esercito. Recentemente persino l’ex giudice della Corte suprema Zvi Tal ha detto che nel caso di sgombero delle colonie (come a Gaza nel 2005) si rifiuterebbe di eseguire l’ordine. Anche Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri, ha indirizzo a Nokdim, ben al di là dei confini armistiziali. Israele è l’unico paese al mondo in cui un ministro vive in una roulotte con l’elettricità fornita da un generatore e che manda i figli a scuola con un bus dotato di vetri antiproiettili.
Carlo Panella - " Israele faccia attenzione, rischia di alienarsi anche i suoi amici"
Carlo Panella
Roma. Abraham Foxman, presidente dell’Anti Defamation League, non è certo annoverabile tra i componenti “liberal” della comunità ebraica americana, e di solito non commenta la legislazione israeliana, eppure non ha esitato a sconfessare il premier di Gerusalemme, Benjamin Netanyahu, che aveva appena affermato che la legge antiboicottaggio “non guasta minimamente l’immagine di Israele”. Foxman pensa invece che sia proprio questo il risultato della legge, approvata dalla Knesset, che punisce con sanzioni penali chi in Israele chiami al boicottaggio delle merci prodotte negli insediamenti, e sostiene che “rende un cattivo servizio alla società israeliana; spero che la Corte suprema la riveda in tempi rapidi”. Anche Morton Klein, presidente della Organizzazione sionista d’America (Zoa), in sintonia con la destra israeliana, si è schierato contro la legge, preoccupato dalle ricadute d’immagine su Israele: “Nessuno più di me è infastidito dalle campagne di boicottaggio, ma da qui a trasformarle in azioni illegali ce ne corre”. A definitiva smentita della strana convinzione di Netanyahu, Catherine Ashton, capo della diplomazia europea, ha dichiarato: “L’Ue, in nome dei valori fondamentali della libertà di espressione e di parola che custodisce e condivide con Israele, è preoccupata per l’effetto che tale normativa può avere sulla libertà dei cittadini e delle organizzazioni israeliane di esprimere opinioni politiche non violente”. Il governo Netanyahu conferma una mancanza di sensibilità nei confronti di quella stessa opinione pubblica internazionale che guarda a Israele con simpatia e, non per la prima volta, assume una posizione oltranzista, che isola Israele. Questo proprio nel momento in cui Israele, invece, avrebbe bisogno del massimo della pressione dell’opinione pubblica sui governi dei paesi democratici per contrastare una mossa della Anp che indebolirà Israele sul piano diplomatico. E’ quasi certo infatti che la prossima Assemblea dell’Onu accetterà a maggioranza di due terzi la proposta – avanzata dalla Lega araba, notizia di ieri – di trasformare la membership della Palestina da Autorità nazionale a stato. E’ una mossa intelligente che vale soltanto in sede Onu, che non comporta la proclamazione unilaterale dello stato di Palestina (che viola gli accordi di Oslo) e che pone Israele in una posizione di debolezza nella trattativa con i palestinesi, proprio sul tema dei confini del 1967 (che verrebbero così “congelati” dall’Onu), modificati dagli insediamenti. Tutti gli sforzi di Israele dovrebbero dunque essere tesi a contrastarla, soprattutto convincendo il blocco dei paesi democratici a votare contro, al fianco degli Stati Uniti decisi a porre il veto (ma è in discussione che la risoluzione vada ratificata dal Consiglio. Il veto parrebbe comunque debole a fronte del voto favorevole dei due terzi dell’Assemblea: ecco perché è politicamente necessaria una spaccatura in sede Onu tra i paesi democratici e gli altri, con il rafforzamento del “blocco filo Israele” nel mondo. Noncurante dell’isolamento internazionale e convinto dell’autosufficienza di Israele, Netanyahu ha invece deciso di favorire le ragioni di politica interna (il 52 per cento degli israeliani è favorevole) rispetto a una visione di medio-lungo periodo. E’ indubbio il ruolo odioso delle campagne di boicottaggio dei prodotti degli insediamenti, ma è altrettanto indubbio che la difesa della legittimità degli insediamenti (ma solo di quelli indispensabili alla sicurezza) impone che vengano messe in campo le armi della politica e del convincimento, anche dell’opinione pubblica democratica internazionale, non norme che colpiscono col carcere un reato d’opinione.
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