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Il Foglio Rassegna Stampa
14.07.2011 La deriva islamista della Tunisia
Dopo la cacciata di Ben Ali il partito islamico Ennahda guadagna consensi

Testata: Il Foglio
Data: 14 luglio 2011
Pagina: 3
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «'Né Allah né padrone'. Un film risveglia l’islamismo in Tunisia»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 14/07/2011, a  pag. 3, l'articolo dal titolo "'Né Allah né padrone'. Un film risveglia l’islamismo in Tunisia".


Tunisia, la regista tunisina Nadia el Fani

Roma. La Tunisia, il primo paese a essere investito dalla “primavera araba” in medio oriente, si sta affacciando alla democrazia con oltre cinquanta nuovi partiti politici. Si vota a ottobre e ogni giorno monta il timore che Ennahda, il maggiore raggruppamento islamico, guidato dal leader a lungo in esilio Rashid Ghannouchi, possa sbancare la prossima tornata elettorale (al momento Ennahda è favorito nei sondaggi). A fronte di un annunciato programma per una “nuova Repubblica islamica”, Ennahda ha inglobato sei partiti, incluso quello dei più radicali salafiti. Si registrano crescenti segnali di una islamizzazione del paese. Mokhtar Trifi, a capo della Lega dei diritti umani, dichiara che le manifestazioni di islam radicale “sono in aumento in tutto il paese”. Domenica scorsa un migliaio di tunisini è infatti sceso in piazza nella capitale per chiedere una “Tunisia libera”, urlando “no all’estremismo religioso”. Motivi: le ragazze sono “invitate” ad abbandonare il modo di vestire all’occidentale e a rientrare nei canoni dei costumi musulmani; nelle principali piscine degli alberghi e lungo la costa si è visto il ritorno al costume da bagno a “tunica” per le donne e a violenze (finora verbali) contro quelle in bikini; la preghiera del venerdì, guidata da muezzin di nuova generazione (tutti di Ennahda, al posto di quelli controllati dell’ex regime di Ben Ali), è diventata un appuntamento decisivo per capire la forza islamista. Oggi più che mai si parla anche di un ritorno alla poligamia, così come alla condanna dell’alcol (anche nelle zone turistiche). A giugno, sotto la pressione islamista, è stata approvata una restrizione ai siti pornografici. I segnali di un’escalation violenta c’erano fin dall’inizio della rivolta. A metà febbraio ci fu la manifestazione davanti alla sinagoga di avenue de la Liberté a Tunisi, al grido di “ebrei, l’esercito di Maometto sta tornando”. Poi ci sono stati gli incendi ai bordelli, simbolo della storica tolleranza tunisina verso la prostituzione. Quindi l’uccisione di un prete salesiano, sgozzato nel garage di una scuola cattolica di Manouba. Adesso è un film, colpevole di raccontare la vita quotidiana di chi mangia e beve di nascosto durante il Ramadan, a infiammare lo scontro fra laici e islamisti. Si intitola “Ni Allah ni maître” (Né Allah né padrone), è stato girato dalla celebre regista Nadia El Fani, storica oppositrice di Ben Ali ieri e dei fondamentalisti oggi. El Fani sta ricevendo numerose minacce di morte in questi giorni. Stessa sorte per il più importante regista tunisino, Nouri Bouzid, che per strada è stato colpito alla testa da un islamista, che agitava una spranga al grido di “Allah akbar”. “Vogliono riportarci a 1.400 anni fa” El Fani ha appena vinto il “Prix international de la laïcité”, che ogni anno viene assegnato dall’associazione francese “Comité Laïcité République”. Con “Ni Allah ni maître”, El Fani vuole sostenere attivamente la libertà di coscienza in Tunisia. L’opera e la dichiarazione di ateismo della regista (“Io non credo in Allah”) le sono costate fatwe di morte da parte di imam fondamentalisti e persino un procedimento giudiziario statale per “blasfemia”. Tra gli ultimi episodi contro le sue opere ha fatto particolare clamore, il 26 giugno scorso, l’attacco al cinema Africart di Tunisi, una delle sale più famose della capitale e di tutto il paese. Integralisti islamici hanno fatto irruzione nel cinema (alcuni a volto coperto), dove era in programma il film di El Fani e quello di un altro regista siriano. Fuori dal cinema urlavano “la Tunisia è uno stato islamico” e slogan contro “l’ateismo”. Una ventina di militanti, al grido di “Allah è grande”, ha sfondato le porte del cinema, distrutto i vetri e minacciato gli spettatori che avevano scelto un titolo “apostata”, davanti a un pubblico terrorizzato di fronte alle porte sbarrate. Il direttore della sala è stato anche minacciato di morte. Ennahda, il più grande partito islamico tunisino – illegale sotto Ben Ali negli anni Novanta e tornato in auge a febbraio – ha condannato gli attacchi ma, secondo le associazioni a difesa della laicità, usa un “linguaggio doppio”. La Tunisia è stata sempre considerata come il paese arabo più “laico” del Maghreb, al punto che il fondatore, Habib Bourguiba, si permetteva di bere succo d’arancia in pubblico durante il Ramadan. Per questo le aggressioni e le minacce a intellettuali e artisti stanno facendo cadere nel panico il paese. Su Facebook in trentamila finora hanno dato il proprio sostegno a una pagina in cui si mostra la foto di Osama bin Laden e si rappresenta la regista El Fani come il diavolo, promettendole l’Inferno e “un proiettile in testa”. Le telefonate anonime di insulti e di minacce si moltiplicano anche nella casa parigina di El Fani. In passato la regista si era battuta per abolire l’articolo della Costituzione tunisina che pone l’islam come religione di stato. “Gli islamisti cercheranno di riportarci alla vita di 1.400 anni fa”, dice l’artista. “Abbiamo sconfitto il dittatore, cacciato il padrone, ora non vogliamo Allah”. Un collettivo di artisti si è recato nel sud della Tunisia per visitare un campo di profughi libici scappati dalla guerra. Volevano portare loro un po’ di musica. Ma un gruppo di islamici gli ha impedito di entrare e ha affermato che ogni attività non avrebbe potuto prevedere “né suoni né immagini” (vietati nell’ideologia fondamentalista). Sempre nel sud del paese un festival culturale è stato vietato e gli spettacoli musicali sono stati banditi. Intanto si apprende che il film di El Fani ha cambiato titolo, per abbassare i toni: “Laïcité, inch’Allah”, ovvero l’ironico “Laicità, se Allah lo vuole”. Secondo la blogger “A Tunisian Girl”, l’attacco al cinema dove si proiettava il film è l’inizio di una campagna islamista. “Quando ho criticato l’islam radicale, sono stata chiamata ‘infedele’ e minacciata di morte”, afferma la blogger. “Cittadini sono attaccati nel nome dell’islam”. Sotto attacco è finita Raja Ben Salama, una delle voci della cultura tunisina più forti nella richiesta di laicità. Già qualche anno fa sul sito del movimento Ennahda apparve un articolo in cui si invitava a “rapire l’eretico infedele Afif Lakhdar da Parigi e impiccarlo in pubblico, assieme all’eretica Raja Ben Salama, per impartire una lezione ai loro seguaci e simpatizzanti”. Anche Taïeb Zahar, columnist di Réalités, ha paura: “Chi li fermerà dall’attaccare alberghi, night club e la gente nei ristoranti?”. A un raduno di Ennahda, un oratore ha invitato a “sparare con un kalashnikov” al regista Bouzid. In coro, il pubblico ha replicato: “Allah akbar”. Nei giorni scorsi è nato il collettivo Lam Echamel, per riunire 80 gruppi dei diritti civili e “opporsi alle forze dell’antimodernità”.

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