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Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati 07/04/2025

 Brigitte Gabriel: I palestinesi hanno distrutto tutti i paesi in cui sono andati
Video a cura di Giorgio Pavoncello

Duro atto di accusa di Brigitte Gabriel, libanese, contro l'OLP e le organizzazioni terroristiche che gestiscono i profughi palestinesi. Ovunque siano andati, hanno distrutto i paesi ospiti, come un cancro che agisce in tutto il Medio Oriente.

 



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Ugo Volli
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Profugo anch'io 13/07/2011

Profugo anch'io

Cari amici,
vi devo confessare un dubbio. Non so bene se diventare austriaco, ungherese croato, o ucraino o polacco. Dovete sapere che mio bisnonno, circa 130 fa, lasciò uno sthetl, un villaggio abitato prevalentemente da ebrei nelle montagne della Galizia, che allora era Austria-Ungheria. Se ne andò per ragioni economiche, suppongo, ma i pogrom ebbero la loro parte. Si fermò a Vienna, poi si sposò a Fiume e finalmente approdò a Trieste, immagino sempre spinto dal bisogno di sicurezza economica e sociale. La famiglia di mia madre, invece, venne a Trieste alla vigilia della Shoà da una città della Polonia orientale e poi si trasferì in Israele. Dopo la guerra mia madre tornò in Italia, ritrovò mio padre ed eccomi qua. Anche se sono italiano e contento di esserlo, credo di aver diritti di essere annoverato fra i profughi polacchi e magari anche fra quelli dei successivi stati che furono padroni della Galizia (oggi è Ucraina). Non pensate che io abbia diritto a queste cittadinanze? Dite che è passato troppo tempo? Be', perché io no e i "palestinesi" sì?

Oggi vi sono ufficialmente 4,8 milioni di "profughi" palestinesi (http://it.wikipedia.org/wiki/Palestina), anche se 63 anni fa se ne andarono dal territorio israeliano circa 600-700 mila arabi (e 800 mila ebrei furono costretti a emigrare dai paesi arabi). Come sono diventati così tanti? E' semplice, ci sono due ragioni: la prima è che i generosi paesi arabi non hanno mai voluto integrare i fratelli palestinesi nella loro cittadinanza, ma li hanno in tutti i modi discriminati e rinchiusi; secondo, c'è un'agenzia dell'Onu che li assiste e ottiene contributi in proporzione al loro numero. L'agenzia si chiama UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), è distinta dalla normale agenzia per i rifugiati (UNHCR) perché si occupa solo dei palestinesi e dal loro status di profughi dipendono l'entità del suo staff e tutti i consueti privilegi burocratici che sono attribuiti ai funzionari in missione. L' UNRWA è stata largamente complice dei giochi sporchi del terrorismo, ha molti membri attivi delle milizie di Hamas a busta paga (http://www.aish.com/jw/mo/48945166.html), ha appoggiato in molti modi la "resistenza" dei terroristi (http://www.jewishpolicycenter.org/53/how-unrwa-supports-hamas), ha dichiarato durante l'operazione "Piombo fuso" che era stata colpita una sua scuola, che peraltro era stata trasformata in un centro di coordinamento di Hamas (http://idfspokesperson.com/2009/01/06/hamas-operatives-killed-in-unrwa-school-6-jan-2009/), mentre poi venne fuori che l'edificio non era stato toccato dai bombardamenti (http://en.wikipedia.org/wiki/Al-Fakhura_school_incident), ecc. Soprattutto dipende così tanto dai suoi assistiti, che non può neppure cambiare il suo nome. Di recente l'Unrwa ha cercato di diventare UNPR (“UN agency for Palestinian refugees”) che è più chiaro e preciso. Ma Hamas ha deciso che ogni cambiamento anche solo di nome era svantaggioso, ha organizzato un paio di manifestazioni mediamente violente di fronte al quartier generale di Gaza, e il piano è rientrato (http://www.secondoprotocollo.org/?p=3274).

In realtà è evidente che c'è una dipendenza reciproca e un reciproco vantaggio. Basta rivendicare un cugino che afferma di essere emigrato da Israele nel '48 o dopo per diventare profugo. E non importa se i "profughi" non sono andati all'estero, ma si sono fermati in "Palestina" (dove peraltro le località edificate per ospitarli, che sono regolari quartieri e città "palestinesi" sono chiamate "campi profughi"). Naturalmente costoro hanno la "cittadinanza palestinese", non sono apolidi, ma cittadini dell'Autorità Palestinese. Come se io, essendo venuto ad abitare da Trieste a Milano una quarantina d'anni fa, volessi definirmi "profugo italiano"...) Togliendo dall'elenco i "profughi palestinesi in Palestina" e i "profughi palestinesi in Giordania" (che, ricordiamolo, è una parte del mandato palestinese assegnato dai trattati internazionali dopo la Prima Guerra Mondiale alla Gran Bretagna perché ne facesse la "Jewish home", il "focolare ebraico" della dichiarazione Balfour ed è in maggioranza abitato da palestinesi, con una regina palestinese, deputati palestinesi ecc.), risulta che almeno l'ottanta per cento dei "profughi" ha tanto diritto a dirsi tali quanto io a dirmi profugo  austriaco, ungherese croato, o ucraino o polacco o... italiano (http://elderofziyon.blogspot.com/2011/06/80-of-palarab-refugees-have-citizenship.html).

Ma a me nessuno assegna un "diritto del ritorno" assistito in Galizia o in Polonia (e nemmeno a Trieste, se è per quello, se voglio tornarci devo trovarmi una casa...). Che vi devo dire, il mondo è fatto così, ci sono quelli che hanno tutte le ragioni (politiche e mediatiche) e quelli che non ne hanno. Che volete, penso che resterò italiano... O magari prima o poi farò anch'io il mio rientro in Israele (pardon, "Palestina occupata"). Alla faccia dell'UNRWA.

Ugo Volli


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