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La Stampa Rassegna Stampa
11.07.2011 I violini della Memoria
Elena Loewenthal racconta la storia del liutaio Amnon Weinstein, che ristruttura strumenti appartenuti a vittime della Shoah

Testata: La Stampa
Data: 11 luglio 2011
Pagina: 35
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «L’uomo che suona i violini della memoria»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/07/2011, a pag. 35, l'articolo di Elena Loewenthal dal titolo " L’uomo che suona i violini della memoria ".


Amnon Weinstein, Elena Loewenthal

Auschwitz è stato un insulto all’umanità. L’ha resa vittima come mai era successo sino ad allora. Eppure, fra tutte le immagini agghiaccianti di un’umanità offesa, torturata, uccisa e ammassata in ossari a cielo aperto, ve n’è una dal soggetto affatto diverso, ma più eloquente che mai. Parla di morte, e di una morte terribile: è una fila di violini, appesi in ordine accurato. Troppo. Ogni violino ha un numero: è l’inventario ancora provvisorio di quel museo alla razza estinta che Hitler voleva dedicare agli ebrei dopo averli cancellati dalla faccia della terra. La sede destinata era la judenfrei Praga.

Ma la storia è andata diversamente. Hitler non c’è più e il museo non è mai stato inaugurato, come fra il resto attestano la voce, le mani e il cuore di Amnon Weinstein, che il pubblico di Genova incontrerà mercoledì 13 luglio nel contesto della Settimana dei Diritti. Lui è un liutaio di fama internazionale, non per niente l’arte l’ha studiata a Cremona con Pietro Sgarabotto, Giuseppe Ornati e Ferdinando Garimberti, e poi anche a Parigi. Ma, come ripete spesso, questo mestiere può farlo solo grazie alla lungimiranza di un padre sionista che, nonostante il veto del nonno di Amnon, nel 1938 lasciò l’Europa, nella fattispecie Vilnius, per venire in Terra Promessa. «Un giorno mia sorella ha fatto l’inventario dei nostri parenti uccisi dai nazisti: circa 380. Questo mausoleo di suono, prodotto dai miei amati violini, è anche il mausoleo della mia famiglia, dove solo mia madre e mio padre sono sopravvissuti. Il mio lavoro e le mie ricerche sono le lapidi sulle tombe dei nonni che non ho mai conosciuto».

Da circa vent’anni, infatti, Amnon Weinstein si dedica non tanto ai violini del futuro, quelli ancora da fabbricare con il miscuglio di pazienza certosina e magia che conoscono solo i liutai, quanto ai violini della Shoah. «Praticamente in ogni casa ebraica - spiega - c’era qualcuno che suonava questo strumento; come ha detto una volta uno scrittore ebreo, conta i violini sul muro e saprai di quanti uomini è composta la famiglia». Del resto, una vecchia battuta rivela il perché della popolarità dell’archetto fra i figli d’Israele e alla domanda: come mai tanti ebrei suonano il violino? Risponde puntuale con un’altra domanda: hai mai provato a fuggire a gambe levate con un pianoforte in spalla?

Strumento errante, dunque, il violino ha accompagnato i destini di tanti, verso lo sterminio. A volte, ha suonato nel fango gelido dei campi di concentramento, per appagare le orecchie delicate degli ufficiali delle SS, che volevano buona musica in quel loro inferno. «I tedeschi confiscarono agli ebrei migliaia di violini, viole, violoncelli. Alcuni erano strumenti di pregio, il meglio della qualità italiana». Molti, quelli meno pregiati, più «casalinghi», portavano una o più stelle di Davide incise nel legno.

Di questi strumenti perduti nella Shoah va in cerca Amnon Weinstein, per ridare a loro, e a noi, la musica che non hanno più suonato da tanto tempo. Anche se nessuno potrà più restituire loro le mani di un tempo, diventate cenere. «Per me e mio figlio è una missione. In termini di memoria. Bisogna capire che quanto è successo durante la Shoah non deve più accadere. E poi, oggigiorno molti dicono che non è mai accaduto. Ho visto qualcuno tirare fuori un metro e dichiarare che era impossibile uccidere così tante persone alla volta in una camera a gas così piccola!».

I violini della speranza, così si chiama il progetto del liutaio israeliano perché, come dice ancora lui, «dove c’è musica c’è speranza», hanno fatto spesso una lunga strada. Lui è andato a cercarli in mercati sperduti dell’Europa orientale, nei depositi dell’esercito americano, in cantine di enti pubblici. Uno era sepolto ad Auschwitz, insieme a delle matasse di filo spinato... «I tedeschi non si sbagliavano, ingannando gli ebrei in marcia verso la camera a gas con il suono dei violini: sapevano che questo popolo non concepisce l’idea che la morte vada di pari passo con la musica». Ne ha ricuperati decine e decine: dalla Polonia, Ucraina, Russia, Lituania, verso occidente. «Non riesco a immaginare che storie ci racconterebbero questi violini, se potessero parlare». La sua è una vera missione: non si tratta soltanto di reperire uno oggetto, uno strumento musicale. «Vado in cerca di documenti, fotografie - e non finisce mai. Anzi, questa missione mi cattura sempre più».

Ma quand’anche la ricerca abbia avuto successo e si disponga di una cronistoria precisa dello strumento, non bisogna mai dimenticare che un violino è sempre un pezzo unico, un’opera d’arte inimitabile. Ogni violino ha una sua identità, un suono e una consistenza tutta particolare. E allora, ricostruito il passato, spiega Amnon Weinstein, io sono solo a metà dell’opera: più di ogni altra cosa loro devono trovare qualcuno che li suoni. Bisogna sentirne il tono, che racconta una storia, una qualità». Ed è per questo che Amnon Weinstein porta in giro per il mondo, e in questi giorni a Genova, non solo questa storia triste e bellissima, non solo la sua simpatia poliglotta (parla anche l’italiano, oltre a tante altre lingue), ma anche i suoi strumenti, che affida alle mani di grandi violinisti e alle orecchie del pubblico. Perché la vittoria sul silenzio, una vittoria triste e carica di memorie, di assenze, di strazio, di quella nostalgia inguaribile che un violino ti spiega meglio di qualunque altra cosa al mondo, la vittoria sul silenzio si ottiene solo con la voce. Restituendo a questi strumenti, ma soprattutto a chi li ha suonati prima di venire cancellato dalla faccia della terra, la voce che per tanti anni e dolore hanno perduto.

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