lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.07.2011 Partire da premesse giuste per arrivare alla conclusione sbagliata
l'analisi capovolta di Ian Buruma sull'ingresso della Turchia in Europa

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 luglio 2011
Pagina: 32
Autore: Ian Buruma
Titolo: «La Turchia in Europa? Un bene. Ma per i populisti non s’ha da fare»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/07/2011, a pag. 32, l'articolo di Ian Buruma dal titolo " La Turchia in Europa? Un bene. Ma per i populisti non s’ha da fare ".


Ian Buruma

Buruma elenca le motivazioni per le quali la maggior parte dei cittadini europei non desiderano l'ingresso della Turchia in Europa : "la Turchia è troppo grande e i Paesi membri sarebbero invasi da immigrati in cerca di lavoro, non rispetta pienamente i diritti umani, opprime i curdi e non ha risolto il contenzioso con la Grecia su Cipro. La ragione principale, tuttavia, è sicuramente che la Turchia, Paese a maggioranza musulmana e guidato da un partito islamico, è considerata una realtà troppo diversa. ". A queste aggiungiamo il processo di islamizzazione messo in atto da Erdogan, la sua ostinazione a non voler riconoscere il genocidio degli armeni, il deterioramento dei rapporti con Israele, il riavvicinamento all'Iran, la mancanza di libertà di opinione e di stampa...
Nonostante tutti questi fattori importanti, Buruma sostiene che la Turchia dovrebbe entrare in Europa e scrive : "
non tutti i cittadini europei sono cristiani praticanti. E molti non sono affatto cristiani. Se una grande democrazia con una popolazione a maggioranza musulmana potrà entrare a far parte dell’Europa, sarà più facile accettare anche i musulmani francesi, britannici, olandesi o tedeschi come concittadini dell’Unione. ". Nessuno mette in dubbio che un cittadino islamico francese sia anche europeo. Non sono gli occidentali a rifiutare la presenza degli islamici. Ma è evidente che, per essere parte dell'Europa, bisogna accettarne i valori. La Turchia non ha nulla a che vedere con l'Europa, per i motivi che lo stesso Buruma ha elencato e per questo il suo ingresso è impossibile. A meno che non si desideri assistere alla completa trasformazione di Europa in Eurabia.
Ecco il pezzo:

L a maggior parte dei cittadini europei (oltre il 60%in Francia e Germania, per esempio) è convinta che la Turchia non debba entrare a far parte dell’Unione. Questa ostilità è dovuta a una serie di ragioni, alcune valide e altre fondate su pregiudizi: la Turchia è troppo grande e i Paesi membri sarebbero invasi da immigrati in cerca di lavoro, non rispetta pienamente i diritti umani, opprime i curdi e non ha risolto il contenzioso con la Grecia su Cipro. La ragione principale, tuttavia, è sicuramente che la Turchia, Paese a maggioranza musulmana e guidato da un partito islamico, è considerata una realtà troppo diversa. Nelle parole dell’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, uno dei padri della Costituzione europea, «la Turchia non è un Paese europeo» . Tutto ciò è difficile da accettare per i membri dell’élite turca laica e occidentalizzata, che da decenni, se non di più, cercano di dimostrare la loro buona fede all’Europa. Come mi ha detto tempo fa un conoscente di origini turche e ottima formazione che lavora presso un’organizzazione internazionale: «Giochiamo a pallone insieme, cantiamo in televisione insieme e facciamo affari insieme. Abbiamo fatto passi avanti sul piano dei diritti umani, abbiamo reso la nostra politica più democratica, facciamo tutto quello che ci chiedono, eppure non ci vogliono!» . È vero, ha aggiunto una sua connazionale che aveva orecchiato la conversazione, spiegando in un ottimo inglese che ha lavorato per diverse Ong per la difesa dei diritti umani e negli anni Ottanta è stata in carcere per la sua attività di opposizione al regime militare: «Odio l’Europa, non mi sento europea, e poi chi ne ha bisogno?» . Ottima domanda. Mentre la crisi greca sta dilaniando l’eurozona, l’economia turca è in fase di espansione. Certo, L «Europa» è stata per molti anni un simbolo non solo di benessere, ma anche di politica liberale, società aperte e diritti umani. E la società turca ha tratto enormi benefici dal tentativo — ancora imperfetto e incompleto— di adeguarsi agli standard europei. I cittadini europei, tuttavia, sono sempre più delusi dell’Unione. Lungi dall’essere un modello di democrazia, l’Unione Europea è vista come un mandarinato arrogante e lontano dal popolo che emette norme e disposizioni con autoritario e paternalistico disinteresse verso i comuni cittadini. E molti dei suoi nuovi Stati membri— come la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria — non sono proprio dei modelli di democrazia pluralistica e liberale. Così, se neppure gli europei credono nella loro Unione, perché la Turchia dovrebbe aspirare a farne parte? In realtà, la donna che ha detto di odiare l’Europa vorrebbe eccome che la Turchia aderisse all’Unione. Il suo era lo sfogo di un’amante respinta. I membri dell'élite laica e filoeuropea che è stata al potere quasi ininterrottamente dal 1923, anno in cui Kemal Atatürk fondò la Repubblica turca, si trovano ora in difficoltà su due fronti. Da un lato l’ingresso nell’Unione Europea è ostacolato, dall’altro la loro posizione di privilegio è minacciata da una nuova élite, più provinciale e religiosa e meno liberale, ma non necessariamente meno democratica. Una congrega incarnata dal popolarissimo primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Per i turchi occidentalizzati, l’adesione all’Unione Europea rappresenta un’ancora di salvezza dalle correnti del populismo islamico di cui Erdogan è il principale rappresentante. E devono essere sostenuti, perché gli islamisti di Erdogan saranno anche democratici, ma i laici sono nel complesso più liberali. La vecchia élite di privilegiati, tuttavia, non è l’unico gruppo in Turchia che ha da guadagnare dall’ingresso nell’Unione Europea. Le minoranze stanno bene negli imperi, soprattutto se benevoli. Come i catalani o gli scozzesi, i curdi sono a favore dell’ingresso in Europa, perché quest’ultima può proteggerli dalla maggioranza del loro stesso Paese. Gli europei sono spaventati, e non senza ragione, dalla vastità delle dimensioni della Turchia e della sua popolazione. La loro paura, tuttavia, è probabilmente esagerata. Ora che l’economia turca è in espansione, i suoi abitanti più poveri avranno ben poche ragioni di cercare lavoro in altri Paesi, e tanto meno di «invaderli» . Dalla prospettiva dei turchi di mentalità occidentale, l’orgoglio dell’ingresso nell’Unione Europea è probabilmente meno importante del dolore di un eventuale rifiuto. Ma lo stesso vale per gli europei. Se la repubblica più democratica, moderna e occidentalizzata del mondo islamico dovesse guastarsi per colpa di un risentimento verso l’Europa, per l’Occidente — anzi, per il resto del mondo— non sarebbe affatto una cosa positiva. La Turchia è in grado di guidare altri Paesi musulmani verso un sistema più liberale e democratico. Inoltre, con la concreta prospettiva di adesione all’Unione Europea la Turchia riuscirebbe più facilmente a disinnescare le tensioni presenti e future tra l’Europa e il Medio Oriente. Senza la Turchia, l’impegno dell’Unione Europea in Medio Oriente sarebbe ancora visto come una manifestazione dell’imperialismo occidentale. La prospettiva dell’adesione servirebbe anche a sfatare il vecchio mito dell’Europa come simbolo della cristianità. Le religioni cristiane hanno sicuramente contribuito a plasmare la civiltà europea. Ma non tutti i cittadini europei sono cristiani praticanti. E molti non sono affatto cristiani. Se una grande democrazia con una popolazione a maggioranza musulmana potrà entrare a far parte dell’Europa, sarà più facile accettare anche i musulmani francesi, britannici, olandesi o tedeschi come concittadini dell’Unione. Tutti coloro che sono convinti che l’Unione Europea debba ispirarsi agli interessi comuni e alle istituzioni liberali avranno tutto da guadagnare da tale adesione. Coloro che invece aspirano a un’identità europea basata sulla cultura e sulla fede vi si opporranno. Purtroppo, in un momento di crisi economica, avanzata del nazionalismo e populismo isolazionistico come questo, le possibilità che un Paese musulmano diventi membro dell’Unione Europea sono a dir poco esigue. E non è un processo che può essere imposto con la forza. Insistere contro la volontà della maggioranza dei cittadini europei servirebbe solo a evocare quel paternalismo antidemocratico che ha già reso tanti europei ostili all’Unione. Ma la maggioranza non sempre ha ragione. E i tempi possono cambiare. L’importante è non dover rimpiangere che siano cambiati troppo lentamente.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT