Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/07/2011, a pag. 32, l'articolo di Ian Buruma dal titolo " La Turchia in Europa? Un bene. Ma per i populisti non s’ha da fare ".


Ian Buruma
Buruma elenca le motivazioni per le quali la maggior parte dei cittadini europei non desiderano l'ingresso della Turchia in Europa : "la Turchia è troppo grande e i Paesi membri sarebbero invasi da immigrati in cerca di lavoro, non rispetta pienamente i diritti umani, opprime i curdi e non ha risolto il contenzioso con la Grecia su Cipro. La ragione principale, tuttavia, è sicuramente che la Turchia, Paese a maggioranza musulmana e guidato da un partito islamico, è considerata una realtà troppo diversa. ". A queste aggiungiamo il processo di islamizzazione messo in atto da Erdogan, la sua ostinazione a non voler riconoscere il genocidio degli armeni, il deterioramento dei rapporti con Israele, il riavvicinamento all'Iran, la mancanza di libertà di opinione e di stampa...
Nonostante tutti questi fattori importanti, Buruma sostiene che la Turchia dovrebbe entrare in Europa e scrive : " non tutti i cittadini europei sono cristiani praticanti. E molti non sono affatto cristiani. Se una grande democrazia con una popolazione a maggioranza musulmana potrà entrare a far parte dell’Europa, sarà più facile accettare anche i musulmani francesi, britannici, olandesi o tedeschi come concittadini dell’Unione. ". Nessuno mette in dubbio che un cittadino islamico francese sia anche europeo. Non sono gli occidentali a rifiutare la presenza degli islamici. Ma è evidente che, per essere parte dell'Europa, bisogna accettarne i valori. La Turchia non ha nulla a che vedere con l'Europa, per i motivi che lo stesso Buruma ha elencato e per questo il suo ingresso è impossibile. A meno che non si desideri assistere alla completa trasformazione di Europa in Eurabia.
Ecco il pezzo:
L a maggior parte dei cittadini europei (oltre il 60%in Francia e Germania, per esempio) è convinta che la Turchia non debba entrare a far parte dell’Unione. Questa ostilità è dovuta a una serie di ragioni, alcune valide e altre fondate su pregiudizi: la Turchia è troppo grande e i Paesi membri sarebbero invasi da immigrati in cerca di lavoro, non rispetta pienamente i diritti umani, opprime i curdi e non ha risolto il contenzioso con la Grecia su Cipro. La ragione principale, tuttavia, è sicuramente che la Turchia, Paese a maggioranza musulmana e guidato da un partito islamico, è considerata una realtà troppo diversa. Nelle parole dell’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, uno dei padri della Costituzione europea, «la Turchia non è un Paese europeo» . Tutto ciò è difficile da accettare per i membri dell’élite turca laica e occidentalizzata, che da decenni, se non di più, cercano di dimostrare la loro buona fede all’Europa. Come mi ha detto tempo fa un conoscente di origini turche e ottima formazione che lavora presso un’organizzazione internazionale: «Giochiamo a pallone insieme, cantiamo in televisione insieme e facciamo affari insieme. Abbiamo fatto passi avanti sul piano dei diritti umani, abbiamo reso la nostra politica più democratica, facciamo tutto quello che ci chiedono, eppure non ci vogliono!» . È vero, ha aggiunto una sua connazionale che aveva orecchiato la conversazione, spiegando in un ottimo inglese che ha lavorato per diverse Ong per la difesa dei diritti umani e negli anni Ottanta è stata in carcere per la sua attività di opposizione al regime militare: «Odio l’Europa, non mi sento europea, e poi chi ne ha bisogno?» . Ottima domanda. Mentre la crisi greca sta dilaniando l’eurozona, l’economia turca è in fase di espansione. Certo, L «Europa» è stata per molti anni un simbolo non solo di benessere, ma anche di politica liberale, società aperte e diritti umani. E la società turca ha tratto enormi benefici dal tentativo — ancora imperfetto e incompleto— di adeguarsi agli standard europei. I cittadini europei, tuttavia, sono sempre più delusi dell’Unione. Lungi dall’essere un modello di democrazia, l’Unione Europea è vista come un mandarinato arrogante e lontano dal popolo che emette norme e disposizioni con autoritario e paternalistico disinteresse verso i comuni cittadini. E molti dei suoi nuovi Stati membri— come la Romania, la Bulgaria e l’Ungheria — non sono proprio dei modelli di democrazia pluralistica e liberale. Così, se neppure gli europei credono nella loro Unione, perché la Turchia dovrebbe aspirare a farne parte? In realtà, la donna che ha detto di odiare l’Europa vorrebbe eccome che la Turchia aderisse all’Unione. Il suo era lo sfogo di un’amante respinta. I membri dell'élite laica e filoeuropea che è stata al potere quasi ininterrottamente dal 1923, anno in cui Kemal Atatürk fondò la Repubblica turca, si trovano ora in difficoltà su due fronti. Da un lato l’ingresso nell’Unione Europea è ostacolato, dall’altro la loro posizione di privilegio è minacciata da una nuova élite, più provinciale e religiosa e meno liberale, ma non necessariamente meno democratica. Una congrega incarnata dal popolarissimo primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Per i turchi occidentalizzati, l’adesione all’Unione Europea rappresenta un’ancora di salvezza dalle correnti del populismo islamico di cui Erdogan è il principale rappresentante. E devono essere sostenuti, perché gli islamisti di Erdogan saranno anche democratici, ma i laici sono nel complesso più liberali. La vecchia élite di privilegiati, tuttavia, non è l’unico gruppo in Turchia che ha da guadagnare dall’ingresso nell’Unione Europea. Le minoranze stanno bene negli imperi, soprattutto se benevoli. Come i catalani o gli scozzesi, i curdi sono a favore dell’ingresso in Europa, perché quest’ultima può proteggerli dalla maggioranza del loro stesso Paese. Gli europei sono spaventati, e non senza ragione, dalla vastità delle dimensioni della Turchia e della sua popolazione. La loro paura, tuttavia, è probabilmente esagerata. Ora che l’economia turca è in espansione, i suoi abitanti più poveri avranno ben poche ragioni di cercare lavoro in altri Paesi, e tanto meno di «invaderli» . Dalla prospettiva dei turchi di mentalità occidentale, l’orgoglio dell’ingresso nell’Unione Europea è probabilmente meno importante del dolore di un eventuale rifiuto. Ma lo stesso vale per gli europei. Se la repubblica più democratica, moderna e occidentalizzata del mondo islamico dovesse guastarsi per colpa di un risentimento verso l’Europa, per l’Occidente — anzi, per il resto del mondo— non sarebbe affatto una cosa positiva. La Turchia è in grado di guidare altri Paesi musulmani verso un sistema più liberale e democratico. Inoltre, con la concreta prospettiva di adesione all’Unione Europea la Turchia riuscirebbe più facilmente a disinnescare le tensioni presenti e future tra l’Europa e il Medio Oriente. Senza la Turchia, l’impegno dell’Unione Europea in Medio Oriente sarebbe ancora visto come una manifestazione dell’imperialismo occidentale. La prospettiva dell’adesione servirebbe anche a sfatare il vecchio mito dell’Europa come simbolo della cristianità. Le religioni cristiane hanno sicuramente contribuito a plasmare la civiltà europea. Ma non tutti i cittadini europei sono cristiani praticanti. E molti non sono affatto cristiani. Se una grande democrazia con una popolazione a maggioranza musulmana potrà entrare a far parte dell’Europa, sarà più facile accettare anche i musulmani francesi, britannici, olandesi o tedeschi come concittadini dell’Unione. Tutti coloro che sono convinti che l’Unione Europea debba ispirarsi agli interessi comuni e alle istituzioni liberali avranno tutto da guadagnare da tale adesione. Coloro che invece aspirano a un’identità europea basata sulla cultura e sulla fede vi si opporranno. Purtroppo, in un momento di crisi economica, avanzata del nazionalismo e populismo isolazionistico come questo, le possibilità che un Paese musulmano diventi membro dell’Unione Europea sono a dir poco esigue. E non è un processo che può essere imposto con la forza. Insistere contro la volontà della maggioranza dei cittadini europei servirebbe solo a evocare quel paternalismo antidemocratico che ha già reso tanti europei ostili all’Unione. Ma la maggioranza non sempre ha ragione. E i tempi possono cambiare. L’importante è non dover rimpiangere che siano cambiati troppo lentamente.
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