Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/07/2011, a pag. 16, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Islamabad dietro la morte del giornalista Saleem ".
Syed Saleem Shahzad
Il governo pachistano ha sottoscritto tacitamente l'esecuzione di Syed Saleem Shahzad. L’atto di accusa proviene dall'ammiraglio Mike Mullen, il capo di Stato maggiore delle Forze armate degli Stati Uniti, secondo cui Islamabad avrebbe «permesso» a sicari non identificati di rapire, torturare ed uccidere il giornalista pachistano.
«Nulla smentisce il fatto che il governo fosse a conoscenza di quanto stava accadendo», spiega Mullen, il primo alto funzionario dell'amministrazione americana a denunciare pubblicamente il presunto coinvolgimento di Islamabad nell'uccisione di Shahzad. L'ammiraglio spiega tuttavia di non poter dare conferme sulla «pista Isi» che riconduce l'assassinio del giornalista all'Inter-Services Intelligence, il controverso servizio segreto pachistano. È certo però che Shahzad, giornalista investigativo e collaboratore di diverse testate asiatiche ed europee, tra cui «La Stampa», era un personaggio scomodo per alcuni ambienti di Islamabad. A creare fastidi erano le sue scottanti inchieste, in particolare quelle inerenti le relazioni tra al-Qaeda e frange più o meno deviate dei servizi segreti pachistani. Per questo ad alcuni, nelle stanze del potere, avrebbe fatto comodo la sua eliminazione.
Il corpo senza vita di Shahzad, 40 anni, è stato trovato il 31 maggio scorso dopo che si erano perse le sue tracce da due giorni. L'autopsia ha rilevato evidenti segni di tortura sul cadavere, opera, secondo alcuni funzionari dell'Intelligence Usa sentiti dal «New York Times», di agenti o sicari mandati dall'Isi. I servizi segreti di Islamabad smentiscono seccamente ogni coinvolgimento. Ma lo spettro del complotto rimane. «È una vicenda a cui tutti devono prestare molta attenzione, i pachistani per primi - prosegue il capo di Stato maggiore Usa. - Questo episodio dimostra che si sta andando nella direzione sbagliata». Mullen si riferisce in particolare alle relazioni tra Usa e Pakistan indebolite dal blitz del 2 maggio scorso ad Abbottabad, durante il quale i Navy Seals hanno ucciso Osama bin Laden. Di quell'operazione Islamabad non era stata avvertita perché Washington voleva evitare fughe di notizie, come accaduto in passato. Del resto più volte gli Usa avevano denunciato l’inerzia e l’ambiguità dei vertici pachistani nella lotta contro i taleban e alQaeda. Il mancato avviso del blitz ha irritato molto Islamabad, così come le parole pronunciate da Mullen giovedì in un incontro con la stampa. «Estremamente irresponsabili, non ci aiutano certo nelle indagini che stiamo conducendo», ha replicato il governo di Islamabad tramite una nota del ministro dell’Informazione Firdous Ashiq Awan.
È inconfutabile però che il Pakistan è una realtà per molti versi ad alto rischio, specie per i giornalisti: nel 2010 è stato il Paese con il più alto numero di reporter uccisi. Sono almeno otto - secondo il Committee to Protect Journalists - i colleghi di Saleem ammazzati lo scorso anno, sei dei quali in attentati suicida.
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