Repressione dei dissidenti: la Siria a lezione dall'Iran soldati sparano sui manifestanti e proibiscono la diffusione di filmati
Testata: Il Foglio Data: 07 luglio 2011 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «L’ultima città libera»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/07/2011, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " L’ultima città libera ".
Maher e Bashar al Assad
Roma. L’agonia di Hama è iniziata la mattina di sabato scorso, quando lentamente, con ferrea precisione, le tenaglie del regime hanno iniziato a stringersi sulla città ribelle per punirla di essersi liberata per un intero mese e di avere celebrato la sua forza con un’immensa protesta tenutasi venerdì scorso, il primo luglio. Una grande manifestazione nella città, a inizio giugno, era stata contrastata dagli uomini della IV divisione di Maher el Assad con raffiche di mitra ad altezza d’uomo e avevano lasciato sul terreno 58 vittime in due ore. Ma non era bastato: la reazione della città, la gente che continuava a occupare le strade e la furia di una folla che aveva impiccato a un lampione un agente del Mukhabarat, il servizio segreto, avevano consigliato ai militari e agli shabbeeha, le squadracce di Nameer, cugino di Assad, di abbandonare la città. Per un mese Hama ha vissuto come “città libera” e si è preparata, con barricate nelle strade, a reggere l’immancabile ritorno delle milizie del regime. Venerdì scorso, Hama, terza città siriana con 700 mila abitanti, ha lanciato il guanto di sfida al regime con un corteo enorme – non certo le 500 mila persone riportate da al Arabiya – ma certo decine e decine di migliaia (Libération ne accredita 200 mila) hanno manifestato nel 15° Venerdì della collera nella città martire della Siria. Ogni manifestante poteva ricordare un padre, un fratello maggiore, un nonno, un parente ucciso nelle stesse strade, a cannonate di artiglieria pesante e a colpi di mortaio nel febbraio del 1982, da Rifat el Assad, fratello dell’allora presidente Hafez el Assad, padre di Bashar e Maher. Ma proprio per questo, la sfida di Hama, la forza della protesta di Hama, sono intollerabili per il regime di Damasco, perché sono la dimostrazione che neanche con lo sterminio di massa (nel 1982 si parlò di 5.000 morti) il Baath è riuscito a estirpare la radice della protesta. Ma i tempi sono cambiati, e sono cambiati anche i consiglieri. Nel 1982 erano gli alleati sovietici a spiegare ai generali siriani come radere al suolo Hama e seppellire i suoi abitanti. Oggi sono i pasdaran iraniani, che si sono fatti le ossa in decenni di repressione, a insegnare ai siriani come strangolare una rivolta al riparo dalle telecamere. Testimonianza di queste direttive è il filmato proveniente da Homs, da un ragazzo che riprende un soldato che alza il fucile e spara direttamente alla piccola telecamera puntata su di lui, uccidendolo. Il laccio è stato così steso attorno alla giugulare di Hama con metodo scientifico. Sabato mattina sono entrati in città trenta autobus militari con un migliaio di soldati che hanno iniziato a mettere checkpoint, mentre le pattuglie di notte hanno fatto sortite per arrestare i “ribelli” (più di 250 gli arresti). Domenica e lunedì sono entrati a Hama i blindati e il cerchio si è sempre più stretto, dalla periferia verso il centro città, verso piazza dell’Oronte. Tutte le strade d’uscita sono state bloccate, tranne quelle che portano a nord, verso Aleppo, per stringere la morsa del terrore e fare fuggire da Hama quanti più abitanti possibile, secondo lo schema applicato da settimane in tutti i villaggi a ridosso della frontiera turca, a partire da Tell Kalakh. Martedì e mercoledì milizie e Shabbeeha hanno iniziato ad avanzare a partire dai quartieri nord di Hama, attraversati dal fiume Oronte: spari ad altezza d’uomo, barricata espugnata dopo barricata, una trentina i morti, un centinaio i feriti. I profughi hanno iniziato a scappare verso Aleppo. Una strategia di “terra bruciata” così evidente che, per la prima volta, il dipartimento di stato americano ha intimato a Damasco di “ritirare le forze armate da Hama”. Si attende ora che il soffocamento di Hama continui, che il regime decida lo scontro finale. Continuano intanto le proteste – e i morti – nelle altre città siriane con la novità di un inizio di manifestazioni nel centro di Damasco. Sempre ieri, l’autorevole quotidiano turco Hürryet Daily News ha confermato lo stato di avanzamento del progetto della Turchia – annunciato due settimane fa dal presidente Abdullah Gül– di instaurare una zona cuscinetto umanitaria all’interno del territorio siriano (abitata da curdi), mirante a impedire un “corto circuito” con la rivolta curda, endemica nella parte turca della frontiera.
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