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Una favola. O quasi 04/07/2011

Il campione di basket Kareem Abdul Jabbar rinuncia alla presentazione del suo film al Jerusalem Film Festival per protesta contro le violenze commesse dai soldati israeliani durante le celebrazioni palestinesi della Nakba. Jabbar in questa occasione avrebbe dovuto anche incontrare il rabbino capo Israel Meir Lau, al quale lo lega una tenera storia di famiglia
Una favola. O quasi.

In effetti, se tutto fosse rimasto come un paio di mesi fa, sarebbe stata una quasi una favola: il rabbino che incontra il figlio del soldato afro-americano che nel 1945 lo condusse fuori del campo di Buchewald. Il rabbino sarebbe stato Israel Meir Lau; il figlio del soldato americano, sarebbe stato uno delle leggende viventi dello sport mondiale,  uno dei più grandi giocatori di basket che la storia ricordi, Kareem Abdul Jabbar.
Ma, si sa, le favole sono favole e la realtà è un’altra cosa.

Il rabbino Lau e Kareem dovevano incontrarsi in Israele in questi giorni, al Jerusalem Film Festival (7-16 luglio) nel corso della presentazione del film-documentario prodotto da Jabbar,  ”On the shoulder of the Giants“. Il film documenta e racconta delle politiche razziste e segregazioniste applicate dai bianchi nei confronti dei giocatori di basket di colore nell’America degli anni ’30, ed è candidato al premio “Spirit of Freedom” di questa 28ª edizione del Jerusalem Film Festival.

Kareem però alla fine ha declinato l’invito congiunto del Ministero degli Esteri israeliano e del Consolato di New York: non visiterà Israele e non incontrerà il rabbino. Le violenze commesse contro i palestinesi durante i giorni della Nakba lo scorso maggio, lo hanno indotto – così si apprende dalle fonti – a rinunciare al viaggio e alla presentazione del film.

Il padre di Kareem, Ferdinand Lewis Alcindor, nel 1945 portò fuori dal campo di Buchenwald, un bimbo di 8 anni, Israel Meir Lau, e mostrandolo ad alcuni abitanti della città di Weimar, pare abbia detto: “guardate questo bimbo, non ha nemmeno 8 anni. Lui è stato il vostro nemico, quello che minacciava il Terzo Reich. Avete fatto una guerra contro di lui e ucciso milioni di persone come lui”.

Uno dei desideri di Ferdinand L. Alcindor era che suo figlio, Ferdinand L. Alcindor Jr. – oggi, dopo la conversione all’islam,  Kareem Abdul Jabbar – un giorno visitasse Israele e incontrasse il bambino che aveva tratto fuori da Buchenwald.
Il desiderio di quel soldato afro-americano sembrava quasi realizzato – visto che ad aprile Kareem aveva accettato di recarsi in Israele e incontrare il rabbino Lau. Le cronache di questi giorni ci dicono invece che non sarà così, che non ci sarà nessun incontro.

La decisione di Jabbar ha incontrato il favore di numerose organizzazioni per la difesa dei diritti dei palestinesi, che hanno aderito e firmato la lettera pubblicata sul sito US Campaign to end the Israeli occupation. Con essa gli aderenti alla campagna per il boicottaggio di Israele, ringraziano l’ex campione dei Los Angeles Lakers per la rinuncia a presentare il suo film in un paese che costringe i palestinesi a vivere in una condizione di discriminazione e segregazione; accusano Israele di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dal problema palestinese, cercando di ricostruirsi un’immagine come paese-faro della cultura e del progresso tecnologico.

Da un campione, dello sport e dei diritti umani, come Kareem Abdul Jabbar, ci si sarebbe attesi forse una presa di distanza anche da quest’altro genere di discriminazione.


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