Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/07/2011, a pag. 16, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "Né fuga né repressione: la 'terza via' del Marocco ''Perchè il Marocco non è l'Egitto nè la Tunisia ". Ecco il pezzo, preceduto dal commento di Angelo Pezzana , dal titolo "Perchè il Marocco non è l'Egitto nè la Tunisia ".
INFORMAZIONE CORRETTA - Angelo Pezzana: " Perchè il Marocco non è l'Egitto nè la Tunisia "
Angelo Pezzana, Mohamed VI
Rabat- Nell’euforia che ha investito i paesi musulmani, la cosidetta ‘’ primavera araba’’ , l’unico paese a non esserne rimasto coivolto e’ stato il Marocco. Diversamante da Egitto e Tunisia, governati da rais che dovevano la loro legittimità da putsch militari o da nomine per cooptazione, l’elemento di stabilità in Marocco si chiama monarchia. Il giovane re Mohammed VI è il diretto discendente di Maometto, e in quanto tale, come i suoi antenati, governa con la benedizione dell’islam, un fattore di grande rilievo in una società che non ha mai conosciuto la divisione fra stato e religione.
Eppure anche il Marocco ha conosciuto , a suo modo, una parvenza di primavera araba, il movimento ‘20 febbraio’, totalmente diverso pero’ da quelli che hanno portato alla cacciata dei leader al potere. A nessuno è venuto in mente di chiedere le dimissioni del re, meno che mai la sua messa sotto accusa come è avvenuto in tutte le altre rivolte. Mubarak, Ben Ali, Assad e altrisono stati ritenuti i responsabili diretti del mancato progredire delle loro società. Non Mohammed VI, al quale i marocchini, anche le opposizioni, richiedevano la trasformazione della monarchia da assoluta in costituzionale.
Nel discorso reale del 9 marzo, Mohammad VI aveva lasciato capire la volontà di arrivare ad una riforma del sistema, nella linea della modernizzazione che l’insieme della società chiedeva . Fu questa saggia decisione a tenere fuori il Marocco dalle rivolte mediorientali .
La monarchia avrebbe rinuciato al proprio carattere sacrale, Mohammed VI re, quindi, per volontà dei cittadini, cosi’ come il primo ministro avrebbe assunto la carica non più perchè scelto dal sovrano, ma perchè eletto dal corpo elettorale, spettando al re soltanto la nomina . La minoranza amazig, il giusto nome che indica i berberi, il 40% della popolazione, avrebbe finalmente avuto i diritti che le spettano, tra i quali il riconoscimento della lingua alla pari con quella araba, le donne l'uguaglianza dei pari diritti nel mondo del lavoro ecc.
Riforme che hanno creato fiducia e condivisione, nell’attesa del referendum . Ma il testo sottoposto agli elettori il 2 luglio non ha rispecchiato in pieno le promesse del 9 marzo, al punto da indurre tutte le opposizioni a chiederne con forza il boicottaggio. ‘’Mamsaoutinch, mamsaoutinch, non voteremo, non voteremo’’ era lo slogan più diffuso, anche se in pochi, soprattutto fra gli oppositori, ci credeva veramente.
I risultati l’hanno confermato. La società marocchina non ha dato fiducia a chi pretendeva tutto e subito, resa edotta forse dai pericoli che incombono oggi su quei paesi che hanno scelto una scorciatoia che annuncia l’arrivo di regimi, se possibile, ancoraa più oppressivi dei precedenti.
Il referendum è stato vissuto dagli elettori come una scelta tra chi stava dalla parte del re e chi gli era contrario. Come era largamente prevedibile , hanno vinto i primi. Mohammed VI non è ancora il re costituzionale all’ europea, ma, nell’attesa, ha dimostrato di saper tenere la barra diritta dalla parte dell’Occidente, essendol’ alleanza con gli Usa è uno dei fattori del continuo progresso del paese. E mentre Egitto e Tunisia rimettono in discussione il rapporto con Israele, Mohammed VI dichiara che l’unità del paese si basa sulle diverse identità dei propri cittadini, arabi, amazig, hassani, africani sub sahariani, andalu , ebrei e mediterranei.
Il Marocco attende ora le riforme. Più saranno sollecite, prima il paese prenderà le distanze da quello che sembra essere il destino ineluttabile delle società arabe.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Né fuga né repressione: la 'terza via' del Marocco "
Antonio Ferrari, Marocco
Quella che arriva dal Marocco è una lezione importante ed è il segnale che anche nel mondo arabo, squassato dalle proteste e dalle rivolte, una «terza via» è possibile. Tra dittatori che puntano sulla repressione più feroce, consegnandosi all’inevitabile sconfitta, e leader tirannici incapaci di avviare le sostanziali riforme e costretti all’esilio anticipato (a casa per l’egiziano Mubarak, all’estero per il tunisino Ben Ali), c’è chi ha deciso di sacrificare parte dei propri poteri ed è stato premiato. Il re del Marocco Mohammed VI è il limpido esempio che dimostra la praticabilità della «terza via» . Il referendum sulle riforme è stato approvato con il 98,5 per cento di «sì» , ma la vera notizia è un’altra: ha votato il 72 per cento dell’elettorato, mentre nelle ultime elezioni legislative ci si era fermati a quota 51. Significa che i giovani, nonostante il suggerimento di boicottare il referendum da parte del comitato che avviò le manifestazioni della «primavera marocchina» , hanno scelto di accogliere (almeno per ora) le incisive riforme del giovane sovrano. Tante novità, ma tre davvero essenziali: premier espressione del partito di maggioranza, quindi non imposto dal re; ministri scelti dal capo del governo, e soprattutto la modifica costituzionale che recide un dogma. In sostanza, il sovrano non è più «sacro» , ma soltanto «inviolabile» . Non è un dettaglio di poco conto, perché la riforma cancella quel ruolo divino che esaltava l’orgoglio dei monarchi ma di fatto soffocava le domande di democrazia del popolo. È davvero un passaggio decisivo, e presto ne vedremo le conseguenti proiezioni nella quotidianità. Il coraggio di Mohammed VI, che dal giorno dell’incoronazione si era fatto un punto d’onore di apparire il meno possibile, è indubbio. Più che spaventato dall’impatto delle rivolte nei paesi arabi fratelli, il re ha agito in fretta perché quel piano di riforme sottoposto a referendum era allo studio da tempo, quindi prima dell’inizio della «primavera araba» . Certo, la meschina fine del presidente tunisino Ben Ali, il ruvido pensionamento di Hosni Mubarak, il violento declino del libico Gheddafi, le feroci repressioni nella Siria di Bashar El Assad, e in misura lievemente minore nello Yemen di Saleh, sono stati la spinta a procedere con rapidità. Cercando di salvare l’immagine di quella parte del mondo arabo che può davvero convertirsi alla democrazia. Quanto è accaduto con la fuga in Turchia (paese musulmano ma non arabo) di migliaia e migliaia di siriani terrorizzati ha riacceso l’orgoglio degli arabi moderati e lungimiranti, che non amano l’idea di lasciare ad Ankara il primato della democrazia nell’intero Islam. Ecco perché in questo momento l’occhio distingue tre situazioni e tre diversi destini: i tiranni violenti e incapaci di ascoltare le voci dei loro popoli, voci che ormai nessuno può soffocare; gli sconfitti dall’età, dall’attaccamento morboso al potere, dal nepotismo e dalla cecità politica; e infine coloro che hanno scelto di ascoltare e di cambiare. Tra costoro, oltre al re del Marocco, si può comprendere re Abdallah di Giordania e forse anche una parte di quel potere saudita che comincia a rendersi conto della necessità di un vero rinnovamento. Che probabilmente avverrà quando la nuova generazione avrà sostituito quella che ha guidato e continua a guidare il regno. Nel nome della «terza via» si dovrebbe comprendere anche l’unica «quasi democrazia» del mondo arabo. Quel Libano che ha sempre cercato la via delle riforme, ma che è sempre stato costretto a subire pressioni insopportabili. Anche adesso che il tribunale internazionale voluto dall’Onu ha inviato a Beirut i nomi dei quattro funzionari dell’Hezbollah accusati della strage del 14 febbraio 2005, e quindi dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafic Hariri. Il clima in Libano è diventato così mefitico e pericoloso che il figlio di Hariri, Saad, anch’egli ex primo ministro della repubblica dei cedri e a tutt’oggi leader delle forze filo occidentali, ha deciso di rifugiarsi in Francia. Che per i leader libanesi è vera «terra d’asilo» .
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