Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 02/07/2011, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Terroristi torturati a morte: la Cia finisce sotto processo".
La Cia dovrà rispondere in tribunale della morte di due presunti terroristi al termine di interrogatori con «tecniche rafforzate» che possono comportare l’accusa di tortura nei confronti di chi li ha condotti nelle prigioni segrete in Afghanistan e Iraq.
La decisione è stata presa dal ministro della Giustizia, Eric Holder, al termine di oltre un anno di accertamenti su 101 casi che vedevano gli 007 di Langley sospettati di aver violato la legge americana, che proibisce la tortura. Il fatto che su 101 episodi solamente 2 siano stati trasformati in procedimenti giudiziari è stato commentato con favore da Leon Panetta che proprio ieri ha lasciato la direzione della Cia per assumere la guida del Pentagono -, perché «la maggior parte delle accuse sono oramai dietro di noi e questo capitolo della Storia dell’Agenzia può dirsi terminato».
Ciò non toglie tuttavia che, secondo i consiglieri legali di Langley, i due casi rimanenti potrebbero avere conseguenze molteplici, obbligando a testimoniare di fronte ai Gran Giurì numerosi agenti, con conseguenti rischi per la loro incolumità. Senza contare la possibilità del coinvolgimento dei superiori. Holder tuttavia vuole fare piena luce sulle due «morti sospette» che sollevano il sospetto di interrogatori con tortura da parte di agenti dell’Intelligence. Si tratta dell’afghano Gul Rahman, che nel 2002 morì in una cella della prigione segreta di «Salt Pit» in Afghanistan dopo essere stato spogliato e incatenato al pavimento durante un imprecisato numero di notti nelle quali la temperatura era scesa a livelli molto bassi, e dell’iracheno Manadel al Jamadi, deceduto ad Abu Ghraib nel 2003 e denominato «Iceman» (uomo di ghiaccio) perché in alcuni degli scatti che svelarono gli abusi sui detenuti appariva senza vita dentro un sacco riempito di ghiaccio.
Gli investigatori del Dipartimento di Giustizia hanno appurato che Jamadi venne catturato il 4 novembre del 2003 da un team di Navy Seals che stava dando la caccia a una cellula di terroristi responsabile di attacchi a Baghdad e dopo una serie di interrogatori preliminari venne trasferito nelle mani della Cia. Furono gli 007 a rinchiuderlo ad Abu Ghraib, dove venne incappucciato, vestito con una tuta arancione e incatenato a una finestra nella sala della doccia. Morì in questa posizione e gli agenti Usa lo misero sotto ghiaccio al fine di preservarne il corpo per l’autopsia. Alcuni soldati lo videro e scattarono le foto - a volte facendosi ritrarre in atteggiamenti euforici - scatenando un’ondata di indignazione internazionale quando gli scatti divennero di pubblico dominio. Per il Gran Giurì di Alexandria, in Virginia, titolare del caso, gli interrogatori di Jamadi vennero condotti da un alto funzionario della Cia affiancato da altri due colleghi e il Dipartimento di Giustizia si propone ora di chiamarli a deporre, anche al fine di appurare cosa portò al decesso del presunto terrorista. Per l’Unione americana delle libertà civili (Aclu) si tratta di una vittoria amara. «È difficile comprendere perché hanno deciso di continuare le indagini solo in 2 casi su 101», lamenta Jameel Jaffer, vicedirettore degli Affari legali dell’Aclu.
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