lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
01.07.2011 La guerra al terrorismo in Yemen e Somalia
due analisi del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 01 luglio 2011
Pagina: 1
Autore: Redazione del Foglio
Titolo: «Obama fa la guerra in Somalia - Blitz e droni. Così è cambiato il controterrorismo di Obama»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/07/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Obama fa la guerra in Somalia  ", a pag. 3, l'articolo dal titolo " Blitz e droni. Così è cambiato il controterrorismo di Obama ".
Ecco i pezzi:

" Obama fa la guerra in Somalia "

Roma. Ieri un ufficiale militare americano che ha partecipato all’operazione ha confermato al Washington Post che il 24 giugno un drone ha lanciato missili contro una base terrorista in Somalia. La notizia era già apparsa sui media somali la settimana scorsa, ed era arrivata fino a un blog specializzato, il Long War Journal, che però parlava di un lungo bombardamento con elicotteri e con numerosi bersagli. Il drone ha bombardato gli Shabaab, il movimento filo al Qaida che controlla metà della Somalia e assedia il governo nella capitale Mogadiscio, e assieme a loro c’era un numero imprecisato di “combattenti stranieri”, i volontari che arrivano da altri stati, compresi Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada. C’è ancora confusione sul risultato dell’attacco americano – un testimone oculare parla di quaranta morti – e sul bersaglio esatto – alcune fonti parlano di un convoglio di “gente importante” che marciava sulla strada che segue la linea della costa, altre di una base nell’area di Qandal, appena fuori dal porto di Kismayo, nel sud del paese. L’America aveva sporadicamente attaccato la Somalia negli anni scorsi. Il 6 aprile ha ucciso un comandante di Shabaab a Dobley, sul confine con il Kenya. Nel settembre 2009 ha trovato, con un raid molto simile a quello che ha eliminato Osama bin Laden in Pakistan, un capo arabo di al Qaida nascosto a Barawe. Nel marzo e nel maggio 2008 ha bombardato i capi somali di al Qaida. Questa volta però è differente, l’Amministrazione Obama sta aprendo un intero, nuovo fronte di operazioni. Prima è arrivato lo scoop del New York Times che ha raccontato come gli americani stanno intensificando gli attacchi con i droni sul vicinissimo Yemen, dove il governo centrale in questo momento è assente – il presidente ferito in un attentato è in Arabia Saudita, le strade sono piene di rivoltosi e al Qaida nel sud ha conquistato il controllo di due città. Poi, due settimane fa, è uscita la notizia della costruzione di una base americana per i droni “vicina allo Yemen”, e quindi anche vicina alla Somalia: è il segno certo che Washington pensa che le operazioni sul nuovo fronte saranno durature. Infine è arrivata la notizia dell’arrivo di droni americani in Uganda e in Burundi, i due paesi che in questo momento guidano le operazioni militari dell’Unione africana nella capitale somala, Mogadiscio. Dopo Afghanistan, Iraq, Pakistan, Libia e Yemen, la Somalia è il sesto paese – nota il Washington Post – dove il presidente Barack Obama sta autorizzando bombardamenti con i droni. Come in Pakistan, anche in Yemen la campagna di attacchi è divisa a metà tra il Jsoc – il comando delle forze speciali del Pentagono – e la Cia, ma è l’intelligence ad assumersene la responsabilità finale in modo che possano essere etichettati come missioni “covert” e che quindi non debbano essere notificati dall’Amministrazione al Congresso – al contrario per esempio delle operazioni in Libia che tanti grattacapi legali stanno dando al presidente Obama. E’ verosimile che anche in Somalia – separata dallo Yemen da un sottile braccio di mare – le cose vadano nello stesso modo. Il prossimo direttore della Cia, il generale David Petraeus, arriva dritto dalle operazioni speciali del Pentagono per dare la caccia ed eliminare i capi di al Qaida, e sembra il raccordo naturale tra i due mondi. Yemen e Somalia fanno parte materialmente dello stesso settore, come l’Afpak, formato da Afghanistan e Pakistan. Dieci giorni fa almeno 70 combattenti somali sono arrivati in Yemen per aiutare il gruppo locale di al Qaida. Assieme, i due gruppi sono quelli che ospitano i leader più attivi, come Anwar al Awlaki, il successore carismatico di Osama, e attraggono il maggior numero di volontari che hanno preziosi passaporti di paesi occidentali e che per questa ragione possono scivolare meglio tra le maglie della sicurezza internazionale.

" Blitz e droni. Così è cambiato il controterrorismo di Obama "

New York. Mentre un drone americano sganciava bombe sulla Somalia, a Washington il capo dell’antiterrorismo della Casa Bianca, John Brennan, spiegava i pilastri della nuova dottrina per “smantellare, distruggere e sconfiggere” al Qaida, secondo l’espressione standard degli ufficiali di Barack Obama. Il principio da cui discende il documento sulla “strategia nazionale di antiterrorismo” è quello ripetuto come un ritornello dal presidente: l’America non è in guerra con il terrorismo (non si può essere in guerra con una tattica) né tanto meno con l’islam, ma con al Qaida e i suoi affiliati. Il principale scopo degli sforzi americani è fare in modo che “la base” non sia in grado di colpire ancora il suolo americano: “Questa è la prima strategia che mette l’accento innanzitutto sul territorio nazionale”, ha detto Brennan. Nell’impostazione antiterroristica non ci sono tracce di guerra al terrore, freedom agenda, asse del male, noi contro loro e altri dettati di respiro globale: Brennan e i suoi hanno lavorato di zoom, mettendo a fuoco una strategia che “non è disegnata per combattere direttamente ogni singola organizzazione terroristica in ogni angolo del mondo”, ma si limita a perseguire il “demise”, la morte di al Qaida. Il metodo è quello che tante soddisfazioni ha dato ad Abbottabad: intelligence militarizzata che raccoglie informazioni sul campo, droni che ripuliscono le zone infestate senza troppi danni collaterali, incursioni killand- capture quando la situazione lo richiede. Una strategia che vive all’intersezione fra il Pentagono e la Cia, dipartimenti che non a caso il presidente Obama ha gestito con un meccanismo di cross-pollination che ha portato l’ex direttore dell’agenzia alla Difesa e l’uniforme più rispettata di Washington, David Petraeus, a Langley. Non potendo citare il ruolo strategico dei droni – sono strumenti di operazioni clandestine della Cia e nove volte su dieci colpiscono un paese con cui l’America non è in guerra, nessuno alla Casa Bianca è autorizzato ad ammetterne l’esistenza – Brennan ha parlato di “unique assets”, valori imprescindibili nella strategia, perché volano ovunque senza chiedere il permesso e senza rischi per le truppe. Quello presentato da Brennan è il lato strategico e operativo della dottrina sponsorizzata dal vicepresidente, Joe Biden, durante il dibattito sul surge di truppe in Afghanistan nel 2009, gli stessi uomini che Obama inizia oggi a ritirare. La chiamava “Counterterrorism Plus”, antiterrorismo potenziato, una campagna di operazioni chirurgiche filosoficamente opposta alla dottrina della “counterinsurgency” di Petraeus: condividere il territorio, difendere la popolazione, prendersi dei rischi per conquistare cuori e menti di chi non ha superato la soglia del fanatismo. Dopo aver tracciato a centrocampo la linea strategica, il grande gruppo della sicurezza nazionale di Washington si è diviso in due squadre; quella di Biden e Brennan è in vantaggio di tre gol: il primo lo ha segnato con la cattura di Bin Laden, il secondo con il “drawdown” dall’Afghanistan (più consistente di quanto suggerito dagli strateghi avversari) e il terzo è lo stesso documento strategico sull’antiterrorismo. Davanti a una commissione del Senato il generale John Allen – fedelissimo di Petraeus e suo successore a capo delle forze in Afghanistan – e il viceammiraglio William McRaven, architetto del raid di Abbottabad, hanno spiegato con le dovute cautele linguistiche i principi della nuova dottrina militare. Spencer Ackerman, analista di Wired, sintetizza: “Meno tè, più terroristi ammazzati”. Ovvero: meno lavoro di penetrazione sul campo, di convivenza, più bombe notturne per allungare la lista dei terroristi uccisi. E Peter Mansoor, compagno di squadra di Petraeus dai tempi dell’Iraq, dice che “la campagna di counterinsurgency in Afghanistan è finita”.

Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT