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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Nicole Krauss, La grande casa 27/06/2011

La grande casa                                        Nicole Krauss
Traduzione di Federica Oddera
Guanda                                                        Euro 18

Sono quattro le voci narranti che compongono il mosaico dai colori intensi del nuovo romanzo di Nicole Krauss, La grande casa.
Quattro voci unite in modo mirabile dal fil rouge della memoria e da un punto di riferimento comune: una scrivania con 19 cassetti di cui uno chiuso a chiave. Un mobile misterioso e ingombrante “…che risucchia tutta l’aria della stanza, un colosso foriero di cattivi presagi che opprimeva gli occupanti della camera in cui si trovava”, sul quale i protagonisti della storia scrivono racconti o romanzi e che diventa il simbolo di esistenze che si intrecciano, dei ricordi e delle sofferenze di chi l’ha perduta o ricevuta in dono.
L’autrice che abbiamo apprezzato ne “La storia dell’amore” condivide con il marito, il famoso scrittore Nathan Safran Foer, la maestria nel dare vita a situazioni e personaggi insoliti; segnalata dal The New Yorker, fra i venti scrittori americani under 40, Nicole Krauss si conferma con quest’ultima opera una scrittrice matura per
l’ abilità narrativa e la capacità di sondare i risvolti più riposti dell’animo umano.
Le sue origini ebraiche che si riverberano nelle storie che narra, lasciano una forte traccia soprattutto nell’ultimo romanzo. Il titolo stesso “La grande casa” è un evidente richiamo alla storia ebraica, a come gli ebrei sopravvissero alla diaspora. Dopo la distruzione del secondo tempio di Gerusalemme il rabbino Ben Zakkai trasforma “Gerusalemme in un’idea” fondando una scuola talmudica che viene ricordata con il nome di “Grande casa, una formula tratta dal libro dei Re. “…sono passati 2000 anni e ormai l’anima di ogni ebreo è costruita intorno all’edificio ridotto in cenere da quell’incendio, un edifico così ampio che ciascuno di noi può ricordare solo pochi dettagli ma se le memorie di tutti gli ebrei si ricongiungessero, la Casa risorgerebbe di nuovo…”
E’ un romanzo complesso e coinvolgente l’ultimo libro di Nicole Krauss che non si legge d’un fiato ma invita il lettore ad una rilettura più attenta per riassaporare le emozioni che suscita e le sensazioni di mistero che aleggiano nel racconto.
I quattro personaggi che si alternano nella narrazione sono uomini e donne soli, insicuri, inquieti pervasi da un senso di perdita e di morte, alcuni di essi scrittori in crisi creativa, che si muovono nel tempo e nello spazio attorno all’enorme scrivania di cui entrano in possesso e che poi perdono: un oggetto ingombrante che racchiude ricordi e intreccia memorie.
Nadia, la prima voce narrante, è una scrittrice che vive a New York e ha ricevuto in custodia dal poeta cileno Daniel Varsky prima del suo ritorno in Cile proprio quella scrivania sulla quale ha composto i primi romanzi e che per ventisette anni ha fatto parte dell’arredamento della sua modesta abitazione. Mentre Varsky trova la morte nelle prigioni del Cile una giovane donna di nome Leah Weisz, che afferma di essere la figlia del poeta, chiede di rientrare in possesso della scrivania per evidenti ragioni affettive. Nadia, figura inquieta ed enigmatica, privilegia la solitudine e percepisce come “un’invasione della sua sfera privata” persino la condivisione con altri di un brano musicale.
Per Nadia che ha finito per rinunciare a veri rapporti umani (l’ex marito la definisce “egoista, concentrata su di sé, immersa nel silenzio a difendere il proprio piccolo regno”), la scrittura assurge a punto focale nella sua esistenza mentre spiega ad un misterioso interlocutore cui si rivolge con l’appellativo “Vostro Onore” che “il potere della letteratura risiede nel grado di determinazione con cui la si produce”. Inoltre riflettendo sul ruolo dello scrittore ribadisce “la libertà di chi scrive, libertà di creare, alterare e correggere” perché “lo scrittore adempie a una più alta missione, a quella che solo in ambito religioso e artistico si definisce vocazione, e non può preoccuparsi troppo dei sentimenti di coloro da cui prende in prestito la vita”.
Ogni storia racchiusa in questo libro è una piccola chiave che apre un nuovo “cassetto” del romanzo, ma quella di Lotte Berg un’ ebrea arrivata a Londra dalla Germania nazista come accompagnatrice di un kindertransport - uno di quei treni che all’epoca cercavano di sottrarre i bambini ebrei alla furia dei nazisti e darli in adozioni a famiglie disposte ad accoglierli - racchiude in sé qualcosa di particolarmente struggente.
E’ il marito Arthur Bender, professore universitario a Oxford, a raccontarci con parole tenere e dolcissime di un rapporto difficile e sofferto con una donna molto amata che nasconde un inquietante segreto del passato di cui il marito verrà a conoscenza solo al termine della sua vita.
Anche Lotte è una scrittrice e su quella scrivania che un giorno decide di donare a Daniel Varsky, suscitando la gelosia del coniuge, crea storie bizzarre e originali trasformando “l’urlo soffocato in cupi e drammatici racconti”.
Nel dolcissimo legame che unisce Lotte e Arthur si ode l’eco dell’amore che ha segnato la lunga vita dello scrittore Harry Bernstein, recentemente scomparso all’età di 101 anni, con l’adorata moglie Ruby: un sentimento assai raro per intensità e forza che lo scrittore ci ha raccontato con grande delicatezza nel suo ultimo romanzo “Il giardino dorato”.
La famiglia e i difficili rapporti che si instaurano fra genitori e figli è il filo conduttore di un altro filone narrativo con al centro la figura di Aaron, un padre israeliano autoritario che ha sempre ostacolato le aspirazioni letterarie del figlio Dovik.
Giudice in pensione da alcuni anni Aaron, che è rimasto solo dopo la morte della moglie, ripercorre la sua vita ricostruendo il complesso rapporto con il figlio, un ragazzo introverso e infelice, senza nascondersi gli errori commessi ma con l’amara consapevolezza di non avere più tempo per rimediare. E’ un racconto duro nel quale emerge in modo drammatico tutta la sofferenza di un giovane israeliano che si confronta con la realtà terribile della guerra che spesso non uccide solo fisicamente, ma disgrega anche l’anima di chi viene messo dinanzi ad una scelta troppo ardua per qualsiasi essere umano: salvarsi lasciando morire il proprio compagno o perire entrambi?
L’ultimo spezzone narrativo della prima parte del romanzo (la seconda completa e interseca la prima), è la voce di Izzy, una giovane americana, studentessa a Oxford che si innamora di Yoav Weisz, rampollo di un padre potente e ingombrante della cui autorità è vittima insieme alla sorella Leah. I fratelli che abitano insieme nella prestigiosa dimora di Belsize Park condividono un rapporto solo in apparenza controverso e nel quale si inserisce la giovane studentessa che si è specializzata in letteratura inglese perché ama profondamente i libri.
Come per gli altri protagonisti, catturati dalla magia letteraria, anche per Izzy i libri occupano un posto importante e “la lettura è l’attività al centro della mia vita da quando riuscivo a ricordare, quella che in passato costituiva un baluardo contro la disperazione”….
Solo in apparenza sullo sfondo è George Weisz, padre di Leah e Yoav, un mercante d’arte che vive fra Gerusalemme e altre città europee recuperando mobili e oggetti di valore affettivo per restituirli ai sopravvissuti di famiglie colpite dai nazisti; in tal modo possono ritrovare i ricordi e le suggestioni di un tempo perduto ricomponendo le loro amate stanze della gioventù. E fra questi cimeli c’è naturalmente l’imponente scrivania con 19 cassetti che arredava lo studio del padre nella Budapest del 1944.
E’ un romanzo sofisticato e dall’intreccio misterioso quello di Nicole Krauss, un puzzle dove le storie principali celano racconti secondari, ricchi di spunti, di riflessioni letterarie, di metafore e suggestioni, come se aprendo un nuovo cassetto della scrivania spuntasse un’altra vicenda che si interseca mirabilmente con quella principale.
Filo conduttore de “La casa grande” è la memoria, “un mezzo primario per creare un sé coerente”: un’opera che richiede impegno e attenzione nel lettore, che si consiglia di centellinare e assaporare lentamente per cogliere in profondità le diverse sfumatura della psicologia dei personaggi e individuare la chiave di interpretazione che apre uno squarcio sul mistero dell’esistenza.

Giorgia Greco


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