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L’antisemitismo norvegese si rivela per quello che è
All’inizio del mese, un rapporto del Comune di Oslo ha scoperto che il 33% degli studenti ebrei della città aveva subito attacchi e violenze da parte di studenti delle scuole superiori almeno due o tre volte al mese. Il gruppo al secondo posto per aggressioni subite erano i buddisti, con il 10%, genericamente ‘altri’ il 7%, mentre i musulmani erano il 5.3%. Oltre a questi dati, il rapporto ha rivelato che il 51% degli studenti delle superiori ritiene negativa la parola ‘ebreo’, e il 60% l’ha sentita usare in questa accezione. Lo scopo del seminario era quello di migliorare all’estero l’immagine della Norvegia, verso Israele e gli ebrei. Anche perché su alcuni giornali stranieri erano usciti articoli che ne mettevano in luce gli aspetti negativi. Poco prima di questa visita, un intervento di un esponente cella comunità ebraica, Martin Bood, sul quotidiano Aftenposten, divenne argomento di discussione. L’articolo sosteneva quanto fosse troppo ottimistica la promozione della Norvegia come “ un buon posto per gli ebrei” fatta propria dalla comunità ebraica, e come anti-israelismo e anti-semitismo in Norvegia fossero ormai una cosa sola. Bood era anche intervenuto a una riunione della Lega contro la Diffamazione Il seminario con gli invitati americani segnò un punto di rottura con le precedenti politiche norvegesi. La difesa abituale contro le critiche straniere era costituita da cinque elementi, primo fra tutti il fatto che l’informazione fino a un paio di anni fa era fatta in lingua norvegese, il che rappresentava un grande ostacolo. Secondo, i media norvegesi riprendono raramente le critiche straniere al loro paese. Un caso esemplare di questo silenzio fu la lettera scritta nel 2010 dall’allora senatore americano Sam Brownback a Wegger Strommen, ambasciatore norvegese a Washington. In quella lettera il senatore protestava contro l’antisemitismo e l’anti-israelismo in Norvegia. Venne poi una lettera dal Centro Simon Wiesenthal che ricordava le iniziative estremamente negative del Primo Ministro Jens Stoltenberg e dei Ministri Stoere e Halvorsen. Vi era menzionata anche la vice-Ministro dell’Ambiente Fiskaa, che aveva dichiarato che prima di entrare in Parlamento si era augurata che fossero le stesse Nazioni Unite a lanciare missili contro Israele. La classe dirigente norvegese reagì come se le lettere dei senatori americani che criticavano la Norvegia rivestissero poco o nessun interesse. Soltanto due piccoli giornali norvegesi ripresero la notizia. Quando a Stoere fu chiesto della lettera di Brownback, fece finta di niente, come se un senatore americano fosse un americano qualunque. Un terzo modo di difendersi è mentire su avvenimenti fastidiosi. Ecco un esempio: Nel gennaio 2009. Trine Lilleng, una giovane diplomatica nella ambasciata norvegese in Arabia Saudita, inviò, tramite l’ambasciata, delle e-mail contenenti immagini dell’operazione Cast Lead a Gaza, accostandole ad altre sulla Shoah. Il mese successivo, Lilleng disse al quotidiano israeliano Maariv che era stata richiamata in patria. Alcuni mesi dopo, un giornalista di Haartez telefonò all’ambasciata norvegese di Riad chiedendo di parlare con lei. Il centralinista rispose che il Console Lilleng era via, e di richiamare mezz’ora dopo. Poteva essere anche stato promosso, ma Haaretz cercò il Ministero degli Esteri norvegese, dove gli venne confermato che effettivamente Stoere aveva confermato che Lilleng non era più a Riad, ma il capo ufficio stampa che accompagnava il Ministro lo corresse su questo punto. Ma nessuna correzione venne trovata sul nastro della registrazione fatta della telefonata con Maariv. Il quarto elemento di difesa consiste nella demonizzazione dei critici stranieri. Dalla mia personale esperienza, potrei riempire un intero editoriale con esempi, senza ricorrere al mio archivio di e-mail ricevute da odiatori. Ma se nessuno di questi quattro dovesse funzionare , il quinto e ultimo elemento spiega bene la situazione. Dirigenti delle Comunità ebraiche norvegesi reagiscono pubblicamente contro chi critica, minimizzando l’antisemitismo più che evidente. Manfred Gerstenfeld è Presidente del Consiglio di Amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta |
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