Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Afghanistan,exit strategy: Mike Mullen critica Obama L'articolo di Guido Olimpio
Testata: Corriere della Sera Data: 24 giugno 2011 Pagina: 21 Autore: Guido Olimpio Titolo: «I generali contestano il ritiro dall'Afghanistan»
Con il titolo " I generali contestano il ritiro dall'Afghanistan", Guido Olimpio sul CORRIERE della SERA di oggi, 24/06/2011, racconta la reazione militare americana all'exit strategy di Obama.
Mike Mullen
WASHINGTON— I generali obbediscono ma non gradiscono. Il capo di Stato maggiore — uscente — ammiraglio Mike Mullen ha manifestato i suoi dubbi sul ritiro di 33 mila soldati dall’Afghanistan. Parlando davanti al Comitato difesa del Congresso, l’alto ufficiale lo ha detto chiaro e tondo: «Le decisioni prese sono più brusche e comportano maggiori rischi rispetto a quelli ai quali mi ero preparato» . E di rinforzo è arrivata la dichiarazione del segretario della Difesa, Robert Gates, anche lui a fine incarico: «Il comandante delle truppe in Afghanistan, David Petraeus, avrebbe voluto più tempo per consolidare i risultati sul terreno» . Concetto ribadito più tardi dallo stesso generale che, pur affermando di sostenere il ritiro, ha parlato di «calendario aggressivo» . Ma Petraeus è vicino a cambiare poltrona. A breve passerà alla guida della Cia. Uno spostamento che è una promozione ma anche un modo per affidare la gestione del ritiro a qualcuno più in sintonia con Barack Obama. Nel suo intervento Mullen ha sottolineato che solo il presidente, alla fine, può decidere quali rischi possono essere presi. E dunque ha piegato il capo ma ha lanciato l’avvertimento. Un segnale raccolto da quei repubblicani che accusano Obama di aver badato più alla rielezione nel 2012 che alle esigenze strategiche. Lo stesso Gates ha parlato di considerazioni di politica interna. In effetti, gli umori dell’opinione pubblica sono evidenti: il sostegno alla guerra è sempre più basso, meglio pensare all’economia. E la stessa atmosfera è palpabile nella comunità alleata. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha sostenuto che la Francia deciderà un ritiro proporzionato— attualmente ha un contingente di 4 mila uomini — in coordinamento con gli Usa. Soddisfatti i tedeschi, anche loro pronti a ridurre gli effettivi. Più cauti i britannici. Londra prevede la fine delle operazioni di combattimento nel 2015 ma per ora non «taglia» i reparti. Il dissenso dei generali è legato al timore di perdere forze durante il periodo estivo, quando di solito i talebani aumentano le azioni. Ed è possibile che in concomitanza con la partenza delle truppe, gli insorti lancino attacchi su larga scala per dire: «Vedete, li abbiamo costretti a partire» . Uno scenario che sta emergendo anche in Iraq. Pur consapevole dei pericoli, la Casa Bianca — dove si è fatto sentire tutto il peso del vicepresidente Biden — ha elaborato la «strategia del fronte orientale» . Il contingente dovrà concentrare i suoi sforzi a Est, nelle aree di confine con il Pakistan. È in questo settore che agiscono le formazioni più temute ed è lungo una serie di «corridoi» che si infiltrano i qaedisti. Ma guardare a Est ha una seconda implicazione. Di lungo termine. Obama, l’intelligence e il Pentagono ritengono che la vera minaccia sia quanto avviene nelle regioni tribali pachistane. Qui hanno i loro rifugi i capi di Al Qaeda, qui si addestrano militanti stranieri, qui si mescolano terroristi e 007 locali. Una realtà che potrebbe anche sopravvivere ad un eventuale accordo con i talebani del mullah Omar. Washington non nasconde i suoi sospetti nei confronti di Islamabad. Con estrema franchezza, il segretario di Stato Hillary Clinton ha difeso la scelta di trattare e poi ha lanciato un duro richiamo a quello che dovrebbe essere un alleato: «Il Pakistan deve cambiare rotta se vuole continuare ad avere lo stesso livello di aiuti»
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