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Libero Rassegna Stampa
23.06.2011 Arabia saudita: come la società wahabita opprime le donne
L'analisi di Souad Sbai

Testata: Libero
Data: 23 giugno 2011
Pagina: 19
Autore: Souad Sbai
Titolo: «Chi combatte per le donne dell'Arabia Saudita ?»

Su LIBERO di oggi, 23/06/2011, a pag.19, con il titolo "Chi combatte per le donne dell'Arabia Saudita ?", Souad Sbai racconta la reale oppressione delle donne in quella società wahabita.
Ecco l'articolo:


Souad Sbai

La protesta delle donne saudite per la patente è solo una goccia nelmare. Ma sebbenelasperanzasi sia rifatta viva, l’amarez za non accenna a diminuire. Perché tutti, ciecamente e opportunisticamente, hanno visto solo la protesta per la patente e nessuno ha osato ascoltare l’urlo di sofferenza e di diritti negati che c’è dietro a questa legittima richiesta, proprio in un momento cruciale per il destino del mondo arabo. Le tv e i giornali non si sono sprecati granché nel dare e approfondire questa notizia. Solo Ies Radio, che va ringraziata dal profondo, ha deciso di dedicare uno speciale a questa vicenda. Una società wahabita, maschilista, misogina e oscurantista quella saudita, in cui una fatwa del 1991 vieta alle donne di guidare: scusate l’impertinenza,ma unafatwa basata su cosa? Non mi risulta che al tempo del profeta ci fossero automobili. Oppure ho letto una storia diversa? Rimango letteralmente senza parole quando mi trovo dinnanzi al senso che qualcuno ha dato a questa protesta; nessuno ha il coraggio di dire che le donne saudite hanno il diritto di essere donne titolari di tutti quei diritti fondamentali da sempre negati. Che hanno il diritto vivere secondo la naturale propensione di ognuna di loro. L’illusione di chi pensa che in Arabia Saudita ci siano solo persone ricche che possono permettersi un’autista è la peggiore bugia che si possa raccontare, quando si vuole mistificare una realtà. Ma del resto, ci siamo abituati; Ben Alì è stato abbattuto senza ricordare nemmeno un attimo che in Tunisia le donne potevano addirittura assumere ruoli governativi. In Afghanistan, “l’occidentale” Karzai, messo lì per sconfiggere i talebani, ha sotto di sé un Paese ancor più alla deriva, che viene descritto nelle statistiche internazionali come “il peggior Paese per le donne”, obbligate a girare in strada accompagnate e sepolte vive in bare di stoffa; eppure sta ancora lì, a godere di un beneficio che gli dovrebbe esser strappato via dalle mani come un cespuglio d’erba malata. E poi la Libia, per la quale qualcuno denuncia gli stupri come arma di guerra: scusate se ci permettiamo, maconoscendo il popolo libico, per credere ad un’accusa del genere, vogliamo le prove. Come tutta l’opinione pubblica mondiale, che ha ormai metabolizzato e compreso la balla dei diecimila morti di Gheddafi L’assurdo pretesto per iniziare questa ignobile guerra, infanticida e neocolonialista. Ma altrove questo non ha lo stesso significato? Le quasi 450.000 donne stuprate ogni anno in Congo, le cui povere figlie perché generate da uno stupro diverranno ufficialmente streghe da eliminare senza tanti scrupoli, non fanno notizia? Oppure non hanno sotto i piedi l’oro nero che tanto fa gola? Dove sono le organizzazioni internazionali per i diritti del fanciulloe i falsi paladini dei diritti umani e delle donne? E le femministe a comando? Niente, tutti spariti. Ormai alla balla dell’intervento umanitario non ci crediamo più; se davvero si volessero mettere al bando tutte quelle società che annullano e sfregiano la dignità e il corpo delle donne, il mondo sarebbe un immensocampodi battaglia.Mal’opportuni - smodi qualcuno non ha limiti enemmeno il sangue delle donne che ci hanno rimesso e continuano a rimetterci la vita merita un fugace sguardo. Le donne saudite sono un simbolo, non solo della volontà di guidare un’auto, ma anche e soprattutto del diritto alla vita e alla dignità, ad un futuro da guardare finalmente con occhi liberi.

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