Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/06/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Ecco i nomi dei talebani con cui l’occidente prova a trattare".
Afghanistan
Con chi parlare?
Sabato l’annuncio del presidente afghano, Hamid Karzai, domenica la conferma del segretario americano alla Difesa, Robert Gates. Gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna) non si limitano a sostenere il dialogo tra Kabul e i talebani, ma conducono trattative autonome con esponenti degli studenti coranici, negoziati non sempre coordinati col governo afghano. “Direi che i contatti sono assolutamente preliminari a questo stadio”, ha precisato Gates. Le indiscrezioni provenienti da ambienti militari e diplomatici, però, sembrano indicare qualcosa di più, considerato che Londra e Washington hanno chiesto due settimane fa alle Nazioni Unite di rimuovere 18 nomi dalla lista nera che comprende quasi quattrocento persone legate ai talebani e ad al Qaida, inclusi uomini non proprio secondari nella gerarchia talebana. Tra questi, secondo quanto riportato dal Guardian, vi sarebbero Mohammed Qalamuddin, ex capo della polizia religiosa del regime talebano, e Arsala Rahmani, ex ministro dell’Istruzione, attualmente indicato come intermediario tra il governo di Kabul e il network talebano degli Haqqani. La lista degli esponenti talebani da sottrarre alle misure restrittive previste dall’Onu potrebbe includere fino a una cinquantina di persone la cui maggiore libertà di movimento potrebbe consentire di aprire una diplomazia talebana per negoziare direttamente con Kabul e gli anglo-americani. Turkmenistan, Turchia e Qatar si sono resi disponibili a ospitare la sede della rappresentanza talebana mentre il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso sostegno ai negoziati, istituendo due liste separate per i miliziani colpiti dalle sanzioni dell’Onu: una per i terroristi di al Qaida (253), l’altra per i talebani (138). La riforma della “blacklist” è stata apprezzata anche dal vicepresidente dell’Alto Consiglio per la pace afghano, Mawlawi Ataullah Ludin, secondo il quale “gli Stati Uniti hanno avuto in questi mesi più contatti con i talebani di quanti ne abbiano le autorità dell’Afghanistan”. Creato dal presidente Karzai nell’ottobre 2010 per trattare con i talebani, il Consiglio per la pace è un organismo che raccoglie esponenti dei vari gruppi etnici afghani, ex rappresentanti dei talebani, ex signori della guerra e membri dell’Alleanza del nord. Finora soltanto 1.700 miliziani talebani hanno aderito al programma di riconciliazione nazionale varato da Kabul.
Il futuro del settore della Folgore
I negoziati diretti potrebbero influire anche sui tempi del ritiro dei primi soldati statunitensi dall’Afghanistan – la partenza dei soldati stranieri è una delle condizioni richieste dai talebani per iniziare a trattare. Ufficialmente la questione riguarderebbe soltanto le scelte politiche del presidente americano Barack Obama (e delle leadership europee), per il quale il calendario del rimpatrio delle truppe non può che essere legato alle elezioni presidenziali del novembre 2012. Un annuncio della Casa Bianca in proposito sarebbe però “imminente”, come ha dichiarato a Kabul il portavoce delle forze Nato (Isaf), il generale tedesco Josef Blotz, aggiungendo di prevedere un pronunciamento entro un paio di giorni. Anche Parigi potrebbe annunciare presto l’inizio del ritiro dei quattromila militari francesi schierati tra Kabul, Surobi e la provincia di Kapisa. “I ministri degli Esteri e della Difesa ci hanno detto – riferisce il generale Philippe Ponties al Monde – che l’obiettivo di un parziale ritiro durante la seconda metà del 2011 è un opzione di studio aperta”. A favore, invece, del mantenimento del livello attuale di forze alleate – intorno ai 150 mila effettivi– vi sono il segretario alla Difesa Robert Gates, il generale David Petraeus (entrambi, però, a fine mandato) e i vertici militari britannici, che temono che un ritiro affrettato possa compromettere i successi conseguiti sul campo negli ultimi dodici mesi. Non è previsto, invece, alcun ritiro statunitense dal settore occidentale dell’Afghanistan, posto sotto il comando del generale italiano Carmine Masiello, alla testa dei paracadutisti della Folgore. Degli ottomila soldati alleati a disposizione del Regional Command West, ben quattromila sono italiani. Sono schierati insieme a circa duemila americani – le task force “Comanche”, “Ryder” e “Ghost” –, composte da un battaglione di paracadutisti dell’82esima divisione e da un battaglione di fanti della Decima divisione da montagna. In tutto, contano su una cinquantina di elicotteri. Le unità sono prossime all’avvicendamento dopo il turno di missione – che per gli americani dura un anno, contro i sei mesi dei contingenti europei – ma senza subire riduzioni d’organico. Lo conferma al Foglio il generale Carmine Masiello: dal comando di Herat dichiara che “dalle indicazioni che ho ricevuto, non è prevista nessuna riduzione delle truppe statunitensi. Anzi, alcune capacità verranno migliorate”. Del resto, nell’ovest è schierato meno del due per cento dei circa centodiecimila militari statunitensi presenti in tutto l’Afghanistan.
I migliori amici dei fondamentalisti
Continuano i colpi bassi tra Cia e Isi (l’intelligence militare di Islamabad), ai ferri corti dopo l’arresto da parte delle forze di sicurezza pachistane – e la successiva scomparsa – degli informatori che avevano cooperato con le forze speciali americane nel blitz in cui è stato ucciso il leader jihadista Osama bin Laden. L’ultima conferma del sostegno che l’Isi garantisce ai talebani afghani è giunta grazie a una trappola dell’intelligence americana. Per la seconda volta nel giro di un mese, la Cia ha segnalato alle forze pachistane la posizione di due fabbriche clandestine di Ied, le mine stradali che in Afghanistan sono responsabili del 60 per cento delle perdite tra le forze alleate. Sorvegliando la zona con i droni Predator e Reaper, la Cia ha notato che, poco dopo aver segnalato le fabbriche agli agenti segreti di Islamabad, i miliziani provvedevano a trasferire il materiale esplosivo altrove. Una volta “ripuliti”, i siti venivano ispezionati dalle truppe pachistane, che ovviamente non trovavano nulla. Secondo il New York Times, resta soltanto da chiarire se la fuga di notizie sia dovuta alla presenza di infiltrati filo talebani tra le file dell’intelligence pachistana o se ci sia un canale diretto per lo scambio d’informazioni tra i miliziani e l’Isi – in barba agli oltre dodici miliardi di dollari di aiuti con cui la Casa Bianca ha foraggiato l’esercito di Islamabad, a partire dal 2002.
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