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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.06.2011 Bashar al Assad pronto a tutto per schiacciare la rivolta
Cronaca di Davide Frattini, intervista ad Haitham Al Maleh di Cecilia Zecchinelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 giugno 2011
Pagina: 20
Autore: Davide Frattini - Cecilia Zecchinell
Titolo: «Assad: linea dura contro i sabotatori - A 80 anni lotto ancora su Facebook e Skype. Dalla prigione alla clandestinità»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/06/2011, a pag. 20, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Assad: linea dura contro i sabotatori ", a pag. 21, l'intervista al dissidente siriano Haitham Al Maleh di Cecilia Zecchinelli dal titolo " A 80 anni lotto ancora su Facebook e Skype. Dalla prigione alla clandestinità ".
Ecco i due articoli:

Davide Frattini - " Assad: linea dura contro i sabotatori "


Bashar al Assad

Il terzo discorso in tre mesi di rivolta dura settanta minuti, con sei bandiere siriane alle spalle e davanti i notabili dell’università di Damasco, dove Bashar Assad ha studiato medicina. La lezione del chirurgo oculista diventato presidente recupera i termini medici: è tutta colpa dei «germi— proclama— che hanno infettato il Paese. «Germi» e «sabotatori» che starebbero sfruttando le «legittime aspirazioni» del popolo. A quelle richieste — dice — può rispondere solo lui, con le riforme che ancora una volta promette. «Siamo noi a dover risolvere il problema. Modificheremo la legge sui partiti politici e quella elettorale per poi dare inizio al dialogo nazionale. Ma non discuteremo nel caos con chi è armato e uccide» . Entro settembre— è l’unica data a venire annunciata — il nuovo sistema dovrebbe essere pronto e permettere il voto aperto a formazioni diverse dal Baath, che domina da quarant’anni (la Costituzione lo definisce il «partito guida della società e dello Stato» ). Se sarà necessario, le elezioni parlamentari di agosto verranno rinviate in attesa delle proposte di legge. Gli oppositori respingono le poche aperture del leader: «Non ha presentato le tappe che dovrebbero garantire la transizione dalla dittatura alla democrazia» , commenta Hassan Abdul-Azim all’agenzia Associated Press. Alla fine del discorso, cortei si sarebbero formati a Latakia, la città portuale sulla costa, e alla periferia di Damasco. I manifestanti avrebbero gridato «Bugiardo, bugiardo» . «L’intervento di Assad è costruito sulle promesse e nessuno in strada si fida più del governo» , replica Louay Hussein, tra i capi dei dissidenti, al New York Times. E’ dal 2005 che il governo discute della riforma del sistema elettorale. Troppo tardi e troppo poco anche per gli americani («a questo punto vogliamo fatti e non parole» , commenta una portavoce del Dipartimento di Stato) e per gli europei che preparano nuove sanzioni contro il regime. «Assad ha pronunciato le stesse frasi usate da Muammar Gheddafi» , dice Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano. «E’ stato il discorso di una persona incapace di imparare» , accusa il tedesco Guido Westerwelle. Pure la Turchia, alleata e vicina delusa, critica il leader che con la repressione ha spinto dentro i suoi confini quasi undicimila profughi. «Non è abbastanza — dice il presidente Abullah Gul —. La Siria deve aprirsi a un sistema libero, con più partiti» . Agli esuli dall’altra parte della frontiera si è rivolto Assad: «Vi fanno credere che lo Stato si vendicherà di voi, non è vero. Tornate a casa» . L’esercito ha trasportato ieri un gruppo di giornalisti locali nelle campagne attorno a Jisr al-Shugur, la città da dove sono fuggiti la maggior parte dei siriani accolti nei campi allestiti da Ankara. Gli ufficiali hanno mostrato una fossa comune con ventinove corpi, poliziotti e soldati uccisi dagli insorti, secondo il regime. Opera dei «sabotatori» nelle parole del presidente: «Un piccolo gruppo di estremisti che vogliono la distruzione in nome delle riforme e diffondono il caos in nome della libertà. E’ un complotto, ma ne usciremo rafforzati. Daremo la caccia a questi fondamentalisti» . La ribellione ha colpito dentro al circolo che attornia la famiglia al potere. Rami Makhlouf, cugino di Bashar, sarebbe stato costretto a lasciare l’impero imprenditoriale costruito attraverso la proprietà di Syriatel, il più grande operatore di telefonia mobile del Paese. Rami ha promesso di devolvere i miliardi di dollari accumulati in beneficenza e strutture che creino posti di lavoro. Soprannominato Mister Five, per quel cinque per cento in mazzette che esigerebbe ad ogni affare, durante le manifestazioni è stato il più bersagliato dagli slogan dei dimostranti. «Il regime combatterà fino alla fine. Se affondiamo, non lo faremo da soli» , aveva detto al New York Times. Per ora, il regime avrebbe scelto di sacrificarlo per restare ancora un po’ a galla.

Cecilia Zecchinelli - " A 80 anni lotto ancora su Facebook e Skype. Dalla prigione alla clandestinità "


Haitham Al Maleh

Haitham Al Maleh ha 80 anni, da due mesi è in clandestinità in Siria, minacciato apertamente di morte. Ma come il suo Paese non si arrende. «Nonostante la repressione durissima, continuano ad aumentare le proteste, le defezioni tra i militari e le pressioni internazionali. Il regime alla fine non reggerà, penso che presto ci sarà un resa dei conti al suo interno» , dice al Corriere dalla latitanza. Avvocato, ex giudice, fondatore dell’Associazione per i diritti umani siriana, vincitore di premi internazionali e riferimento per la vecchia e nuova generazione di oppositori, è dal 1951 che Al Maleh paga con anni di carcere la sua lotta per la democrazia: prima contro i regimi nati dai colpi di Stato post indipendenza, poi contro gli Assad, il padre Hafez e ora il figlio Bashar. L’ultimo arresto rischiava di essere ancor più lungo dei sei anni tra il 1980 e il 1986, quando uscì di cella ridotto a uno scheletro. Nell’ottobre 2009 fu condannato a 15 anni per «diffusione di notizie false volte a indebolire la Nazione e oltraggio al Presidente» . Quest’ultimo l’ha graziato per questioni d’età in marzo, una settimana prima dell’esplodere della rivolta. «Ma da quasi due mesi vivo nascosto e con un altro nome, so che è stato dato ordine di eliminarmi. La mia casa è accerchiata dalla polizia segreta, i vicini mi hanno avvertito che gente mai vista prima mi attende in strada parlando apertamente di uccidermi. Aspetto il momento per andare all’estero e continuare la lotta per il mio Paese, intanto lavoro qui con estrema attenzione, non uso più i telefoni» , precisa in una mail fattaci pervenire tramite il figlio. Come riesce a lavorare in clandestinità? E perché l’opposizione rifiuta le «aperture» di Assad? «Sbaglia chi crede in un cambiamento possibile di Assad: è solo maquillage, un tentativo di superare la crisi. Bashar ha ricevuto in eredità il Paese e vi esercita un potere assoluto tramite la Quarta Brigata, la Guardia Repubblicana, la sua cricca di corrotti, la polizia segreta e la sicurezza che scrutano ogni mossa, contatto e parola, diretti o al telefono. Incontrarsi fisicamente è ormai impossibile ma ci siamo organizzati per dribblare i controlli con Internet, Facebook e Skype, con schede telefoniche di prestanomi. Funziona, anche se pure il regime usa Internet e falsifica pagine Facebook» . L’opposizione in esilio ha tenuto riunioni in Turchia e Belgio, prepara dossier su Assad e i suoi. Avete contatti? «Sì, siamo in contatto e fornisco loro documenti e prove dei crimini contro l’umanità del regime per deferirlo alle corti internazionali. Abbiamo concordato che l’opposizione in esilio formi comitati per cercare il sostegno internazionale e raccogliere fondi: abbiamo 10 mila prigionieri politici, molti sono in clandestinità, loro e le loro famiglie vanno aiutati» . La comunità internazionale è stata molto cauta nell’appoggiare la rivoluzione, l’opposizione siriana si sente abbandonata? «È vero, ha ritardato molto nel dare il suo appoggio, ma ultimamente la Ue, gli Usa, gli organismi internazionali hanno iniziato a muoversi, formato commissioni d’inchiesta, credo che induriranno le sanzioni e questo ci aiuterà. La recente condanna espressa dal governo turco è poi cruciale, per la vicinanza e i solidi vincoli economici che lo legano al regime. L’aumento dei nostri profughi costringe Ankara a fare più pressioni. Ma è l’Onu che ha la responsabilità di proteggere il nostro popolo e deferire al Tribunale penale internazionale gli uomini simbolo della dittatura, può farlo e deve farlo» . Assad insiste: o lui o lo scontro confessionale. Esiste davvero il rischio di una guerra tra alauiti e sunniti? «Assad vuole dividere il Paese ma lo slogan delle proteste è "Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno". Anche i Fratelli Musulmani oggi sono parte dell’azione democratica. E la gente in piazza è unita, senza distinzioni di fede o etnie. Il regime non riuscirà a dividerci, il suo tentativo è già fallito» .

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