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La Stampa Rassegna Stampa
18.06.2011 Il Marocco riesce a evitare le rivolte grazie alle riforme di Mohamed VI
Cronaca di Francesca Paci, intervista a Fassi Fihri di Ludina Barzini

Testata: La Stampa
Data: 18 giugno 2011
Pagina: 14
Autore: Francesca Paci - Ludina Barzini
Titolo: «Il re del Marocco sceglie la via della democrazia - Un passo già deciso, la piazza egiziana ha affrettato i tempi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 18/06/2011, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Il re del Marocco sceglie la via della democrazia ", a pag. 15, l'intervista di Ludina Barzini a Fassi Fihri, ministro degli Esteri marocchino, dal titolo " Un passo già deciso, la piazza egiziana ha affrettato i tempi ".
Ecco i due pezzi:

Francesca Paci - " Il re del Marocco sceglie la via della democrazia "


Mohamed VI

Con una mossa lampo ma pensata per mesi, Mohammed VI gioca d’anticipo sul vento ribelle che soffia da Egitto e Tunisia e prova a dare scacco alla Storia. Abito scuro di taglio occidentale, occhiali dalla montatura spessa, il volto tondo lucido, il re parla alla nazione in attesa davanti alla tv. «La nostra via è la democrazia» afferma deciso. Vale a dire che il Marocco volta pagina: apertura ai partiti; ridimensionamento del ruolo del monarca che diventa rappresentante dello Stato (ma mantiene il controllo sulla sicurezza e l’esercito); avvio di riforme sostanziali a cominciare dall’esecutivo nelle mani del premier insieme alla possibilità di sciogliere le Camere e dal potere giudiziario proclamato indipendente; una quota di donne nel Consiglio superiore della magistratura; il berbero, parlato da gran parte della popolazione, promosso lingua ufficiale accanto all’arabo. Insomma, quanto di più simile a una monarchia parlamentare sul modello britannico con una Costituzione, appena approvata dall’assemblea dei ministri, che stacca di gran lunga qualsiasi altro paese arabo.

Il più atteso discorso del sovrano 47 enne succeduto al padre Hassan II nel 1999, è in realtà l’epilogo di quello iniziato il 9 marzo, quando, incalzato dal neonato «Movimento 20 Febbraio», il re promise la svolta che avrebbe evitato al Paese la deriva libica e l’esilio alla famiglia reale. Basta mezz’ora per menzionare tutto: uomini, donne, islam, ambiente, diritti umani. Un gol molto studiato.

Pur essendo rimasto finora ai margini della primavera araba, il Marocco ne ha respirato a fondo il profumo. Con un età media di 26 anni, un tasso di disoccupazione del 9,8% nonostante la crescita superiore al 3%, l’alfabetizzazione ferma al 53% e un quinto della popolazione sotto della soglia di povertà, il paese condivide più di un problema con i turbolenti vicini. Certo, nessuno ignora gli sforzi riformisti del governo, primo fra tutti il varo del nuovo avanguardista diritto di famiglia nel 2004 e la Equity and Reconciliation Commission, incaricata di fare luce sulle torture degli anni più bui. Ma The Times They Are a-Changin, come cantava Bob Dylan. E complici le nuove tecnologie, poderose in un mercato da 25 milioni di cellulari su 32 milioni di abitanti, le rivelazioni di Wikileaks sul gruppo finanziario Omnium Nord-African che oltre a una forte quota reale avrebbe l’appannaggio quasi esclusivo dei maggiori progetti edilizi nazionali hanno indignato l’opinione pubblica assai più dell’inchiesta del 2005 della rivista TelQuel sull’aggravio del sovrano per i contribuenti pari a 270 milioni di dollari l’anno. Così il 20 febbraio 37 mila persone sono scese in piazza in diverse città rivendicando «Freedom and Democracy Now», libertà, democrazia ma anche la fine della corruzione e dei limiti alla libertà di stampa.

Mohammed VI, laureato in legge, maritato all’informatica ed emancipata Salma Bennani, ha ascoltato e ha capito che i ribelli non volevano la sua testa ma la sua disponibilità ad aprire un nuova era e che serrare le fila dietro la minaccia di al Qaeda non sarebbe servito.

«Il Marocco chiede un’evoluzione, se non verrà ascoltato chiederà la rivoluzione» scriveva nelle scorse settimane la rivista Foreign Policy. Il consigliere di Corte Mohammad Mutasim, che a ridosso dell’intervento reale «recitava» davanti alle telecamere la Costituzione «ritoccata», era lì ieri sera a voler esibire «l’exceptionnalité Marocaine», un modello diverso dall’anacronistica Tunisia di Ben Ali ma anche dall’Arabia Saudita, dove il re preferisce elargire 93 miliardi di dollari in sussidi anziché concedere la patente alle donne. «È una giorno storico, Mohammed VI si è dimostrato più intelligente di Assad o Gheddafi e non ha ucciso la sua gente: oggi inizia la monarchia costituzionale e se non è ancora come quella spagnola abbiamo fatto il 70% della strada» esulta Mohammed Ziane, ex ministro dei diritti dell'uomo, fondatore del Partito liberale marocchino e figura di spicco del movimento riformista. A conferma dei migliori auspici cita l’estrema prova, il ridimensionamento religioso del monarca che invece di «sacro» sarà definito dalla dicitura «l’integrità della persona del re non può essere violata».

Sarà sufficiente a disinnescare la rivolta? I commenti a caldo su Twitter sembrano positivi, ma ai ragazzi del 20 febbraio non è piaciuto essere stati esclusi dal dibattito pubblico sulla nuova Costituzione che sarà sottoposta a referendum a luglio. Siamo alle battute finali, la partita però è ancora aperta.

Ludina Barzini - " Un passo già deciso, la piazza egiziana ha affrettato i tempi"


Fassi Fihri

Le contestazioni della primavera araba, il «Movimento del 20 Febbraio», non hanno risparmiato il Marocco che ormai si avvia verso una riforma costituzionale. Taib Fassi Fihri 53 anni, diplomatico di carriera e da 4 anni ministro degli Esteri, è oggi un interlocutore importante anche sul fronte delle riforme.

Perché le manifestazioni del «Movimento 20 Febbraio» si sono svolte quasi in contemporanea in tutti i Paesi arabi? Cosa ha scatenato la scintilla?

«C’è una questione di legittimità e c’è frustrazione in Tunisia, Egitto, Siria, Libia e Yemen perché qui i presidenti sono eletti e rieletti e i figli ritenuti gli eredi designati. In quei Paesi la gente chiede un rinnovamento e la repressione è violenta. Poi ci sono i Paesi del Golfo, la Giordania e il Marocco. Stiamo prendendo in esame la proposta delle nazioni del Golfo di creare un’alleanza. In Marocco la revisione della Costituzione era già prevista, ma sarebbe una menzogna dire che ciò che è successo nel mondo arabo non ha avuto un’influenza. Il re ha anticipato la revisione costituzionale dicendo che era il momento di passare a una fase più audace dell'organizzazione politica.

Quali sono i rapporti con gli altri Paesi arabi, quelli dove si combatte e si lotta ancora e quelli in transizione verso sistemi democratici?

«Il Marocco ha deciso di accompagnare la transizione in Tunisia e in Egitto stabilendo aiuti e un dialogo stretto con le loro forze politiche: è imperativo che queste transizioni riescano. Siamo legittimati a farlo perché abbiamo una società civile forte, dei partiti politici da sempre, e perché abbiamo iniziato da tempo a pensare alle necessarie riforme economiche, politiche, sindacali e del sistema elettorale. In questi Paesi c’è bisogno di tempo perché si formi una nuova classe politica e dei partiti. Forse lo slittamento delle elezioni in Tunisia al 23 ottobre invece di luglio è saggia e lo è anche il suggerimento di Amr Moussa, candidato alla presidenza in Egitto di rimandare le legislative a dopo le presidenziali di novembre per avere il tempo di formare dei partiti. C’è il timore che altrimenti siano i gruppi islamici, gli unici organizzati oggi in Egitto (e con consensi al 30%) a vincere incoraggiati dai militari. Anche in Tunisia gli islamisti sono organizzati e sono l'unico partito di opposizione esistente. È perciò importante che altri partiti abbiano la possibilità di costituirsi, prepararsi, affermarsi e radicarsi. L'Algeria invece ha le frontiere chiuse con noi, rifiuta la politica del vicinato e non collabora a trovare una soluzione negoziale per il Sahara occidentale».

Quali sono i cambiamenti più rivelanti i della Carta?

«Un esecutivo, come oggi eletto, ma con più poteri decisionali: il primo ministro sarà espressione del partito che vince le elezioni. Separazione dei poteri con il Parlamento con competenze che passano da 12 a 50. Ci sarà un consiglio dei ministri presieduto dal re che resterà per i grandi temi strategici e non per la gestione quotidiana della vita sociale e politica. Lui rimane il capo religioso dei musulmani e degli ebrei il “commandeur des croyants”. Nella nuova Carta il potere giudiziario è indipendente e i giudici non saranno più scelti dal ministero della Giustizia. I diritti dell'uomo saranno elencati insieme alla parità uomo-donna. Quindi sarà riconosciuto il berbero come lingua ufficiale dello Stato. È una decisione forte perché sarà necessario cambiare molte cose dal momento che il Paese avrà due lingue partendo dal principio che la “berberità” è una delle componenti della nostra società che ha origini multiple: arabo musulmano, ebraico, africana subshariana, il 25% della popolazione parla berbero e non arabo. Era necessario uno choc per accelerare l’organizzazione sul piano istituzionale».

Il terrorismo che ha colpito Marrakech cosa significa?

«Al Qaeda esiste nel Sud dell' Algeria, nel Mali, nella Mauritania e ci sono anche alcuni marocchini attivi. I movimenti islamici non vogliono la Costituzione. La bomba diceva due cose: impedire l'evoluzione democratica e colpire le aperture. La risposta della società è stata forte: non si tocca il Paese».

Come vede le possibilità di una pace fra israeliani e palestinesi?

«La pace è possibile. Noi sosteniamo la soluzione dei «due Stati». Abbiamo una comunità di 700.000 ebrei che si considerano marocchini in Israele. Tutti sanno che l’accordo fra israeliani e palestinesi non potrà che essere possibile sulla base delle frontiere del 1967, che gli scambi e i negoziati sono in uno stato avanzato, e che 120.000 coloni devono tornare indietro. Siamo in disaccordo con Netanyahu quando parla di Gerusalemme, la città non può essere solo parte dello Stato di Israele. Noi siamo per la formula “una città due capitali”, quella a Est della Palestina».

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