Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/06/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Islamabad sfida l’America e arresta i collaboratori della Cia ", a pag. 2, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Perché è stato ucciso Saleem, il reporter più informato del Pakistan ".
Ecco i due pezzi:
" Islamabad sfida l’America e arresta i collaboratori della Cia "
Cia Pakistan
New York. Dopo il raid di Abbottabad e il conseguente scambio di artiglieria diplomatica fra Stati Uniti e Pakistan, sembrava impossibile che il filo che tiene legata l’alleanza potesse assottigliarsi ulteriormente; invece i ben informati Eric Schmitt e Mark Mazzetti del New York Times – nessun reporter a Washington ha fonti più affidabili delle loro nell’intelligence – raccontano che i servizi segreti di Islamabad hanno fermato cinque pachistani che fornivano informazioni sensibili alla Cia. Uno degli informatori è un maggiore dell’esercito, colpevole di aver copiato e trasmesso agli americani i numeri di targa di alcune automobili che visitavano regolarmente il compound dove Osama bin Laden se ne stava tranquillamente asserragliato. Secondo l’elementare logica del “chi sta con chi”, gli ufficiali pachistani avrebbero dovuto dare una medaglia ai cinque informatori che hanno permesso di uccidere il capo di al Qaida (organizzazione che il Pakistan è formalmente impegnato a distruggere), non imprigionarli, ma l’intelligence di Islamabad è nota per non concedere nulla agli assunti più elementari in fatto di alleanze e lealtà con gli Stati Uniti. Così gli ufficiali della Casa Bianca hanno raccontato, con la cautela ovvia dell’anonimato, tutto il risentimento per la trovata punitiva dell’Isi, l’ultimo della serie di colpi bassi menati dopo l’operazione dei Navy Seal. Con una battuta riportata de relato, il numero due della Cia, Michael Morell, dice che il voto da uno a dieci che assegna al Pakistan nella collaborazione per le operazioni di antiterrorismo è “tre”. A fronte delle bordate dietro le quinte, il commento della Cia a microfoni accesi ha un accento lunare: “E’ una partnership cruciale, e continueremo a lavorare insieme per combattere al Qaida e altri gruppi terroristici che minacciano entrambi i paesi”. Venerdì scorso il capo della Cia, Leon Panetta, ha incontrato a Islamabad il potente capo dell’esercito, Ashfaq Pervez Kayani, e il numero uno dell’Isi, il generale Ahmed Shuja Pasha. Panetta, che si è presentato di fatto con la doppia etichetta di capo dell’intelligence e di prossimo segretario della Difesa, ha naturalmente sottolineato l’importanza della cooperazione fra i paesi nel contrastare il terrorismo e nelle dichiarazioni ufficiali non affiorano le ombre che invece sono state riportate dagli osservatori dietro le quinte. L’ufficiale del governo americano voleva innanzitutto mettere una pezza sugli strappi diplomatici, ma anche rilanciare un’azione congiunta per stanare altri cinque pezzi grossi di al Qaida che secondo i report d’intelligence si nascondono in Pakistan. Su questo entrambi i generali hanno glissato. Del resto, la visita di Panetta era stata preceduta da un aperitivo amaro: il giorno prima il Pakistan ha cacciato dal paese novanta dei 135 addestratori americani stanziati. Non erano generici addestratori di polizia, ma gli uomini che dovevano preparare i Frontier Corps, le prime linee contro i terroristi nelle aree tribali. Freddezze simili erano state distribuite anche durante le visite di John Kerry e Hillary Clinton. Ieri il segretario della Difesa, Bob Gates, ha detto durante le interrogazioni del Senato sul budget del Pentagono che “per la maggior parte i governi si mentono a vicenda”, si spiano, si arrestano: “E’ il mondo in cui viviamo”. I cinque arresti punitivi – che Gates non ha voluto confermare – sono dunque l’espressione della durezza della realtà, alla quale Washington sta iniziando a rispondere con un livello di durezza crescente. Una commissione della Camera ha stabilito che il 75 per cento dei fondi stanziati per il Pakistan (1,1 miliardi di dollari in aiuti civili, più quasi altrettanti in spesa militare) non saranno concessi prima di una doppia verifica sulla loro destinazione e il Congresso potrà chiudere il rubinetto se fosse provato il sospetto che quei soldi finiscono per finanziare il nemico per interposta slealtà degli ufficiali pachistani.
Pio Pompa - " Perché è stato ucciso Saleem, il reporter più informato del Pakistan "
Syed Saleem Shahzad, Pio Pompa
La commissione d’inchiesta, annunciata dal governo di Islamabad, sull’uccisione del giornalista pachistano Syed Saleem Shahzad – redattore di Asia Times, corrispondente di Aki e collaboratore della Stampa e dell’agenzia Asianews – sarebbe destinata a impantanarsi fin da subito. Al massimo si ripercorrerà un copione collaudato, perseguendo vittime sacrificali del tutto estranee alla vicenda. E’ meglio che non emergano dettagli riguardo a quello che l’inviato di Asia Times aveva scoperto nel corso delle sue indagini. Così viene riferito al Foglio da alcune fonti del Belucistan – ex ufficiali dell’esercito pachistano le cui famiglie sono state trucidate dalle bande talebane, oggi impegnate contro al Qaida e le sue reti di connivenze e complicità all’interno dei servizi segreti di Islamabad (Isi) e di altri apparati di sicurezza, compresi quelli preposti alla difesa dei siti nucleari. Secondo le informazioni in loro possesso, Saleem sarebbe stato torturato e ucciso da agenti dell’Isi, organici ad al Qaida, per essere venuto a conoscenza di fatti che, se rivelati, sarebbero stati di grave imbarazzo per il Pakistan. Un pericolo da scongiurare, soprattutto dopo la morte di Osama bin Laden, che ha contribuito a sfaldare le reticenze sulla presenza qaidista nei gangli dell’esercito e dell’intelligence pachistani. L’inviato di Asia Times – un giornale on line di Hong Kong, in inglese e cinese, completamente gratuito – avrebbe acquisito testimonianze e documenti che proverebbero come elementi di vertice dei servizi pachistani fossero stati messi al corrente, con ampio anticipo, del piano jihadista di un clamoroso attacco alle Torri gemelle, l’11 settembre 2001. Come dimostrano i suoi articoli – e il suo libro, uscito poco prima della sua morte, “Inside al Qaeda and the Taliban - Beyond Bin Laden and the 9/11” – Syed Saleem Shahzad aveva ottime fonti, anche all’interno dell’intelligence militare pachistana. Aveva avuto contatti anche con uno dei cinque informatori, arrestati ieri in Pakistan, che avrebbero aiutato la Cia a individuare il rifugio segreto di Osama bin Laden, ad Abbottabad. Grazie ai suoi informatori, sarebbe entrato in possesso di prove circostanziate, con relativo organigramma, che permetterebbero di dimostrare l’esistenza di una struttura dell’Isi dedicata esclusivamente a fornire rifugio e assistenza a Osama bin Laden e agli altri capi di al Qaida. La struttura scoperta da Saleem sarebbe ora impegnata nella gestione della rete terroristica dopo l’uccisione di Bin Laden. L’obiettivo della nuova strategia è rilanciare al Qaida dando vita a un network che combini elementi operativi in ambito politico, militare e di intelligence. I capisaldi della nuova stagione jihadista sarebbero nelle centinaia di campus universitari – soprattutto americani e britannici – in cui le cellule islamiste sono ben radicate.
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