Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 12/06/2011, a pag. 29, l'articolo di Andrea Tornielli dal titolo " Pio XII e San Pietro alleati contro Hitler ".
Barbara Frale, Pio XII, Andrea Tornielli
Quello di Barbara Frale non è un saggio storico, ma un romanzo. Come ammette Tornielli nel finale della sua recensione, si tratta solo di ipotesi non documentate.
Pio XII restò in silenzio davanti al genocidio degli ebrei, non fece nulla per bloccare le partenze dei convogli dall'Italia verso i lager nazisti, vedeva nel nazismo un avversario del comunismo. Dopo la caduta del fascismo, Pio XII cercò di impedire che le leggi razziali venissero abrogate.
Ma nella paginata che la Stampa dedica al romanzo, Barbara Frale viene descritta come 'storica', il titolo recita 'Pio XII e San Pietro alleati contro Hitler', come se il romanzo potesse togliere ogni dubbio circa il comportamento di Pio XII nei confronti della Shoah.
Anche Repubblica ha dedicato una paginata intera al romanzo di Barbara Frale, non se ne comprende il motivo.
Ecco l'articolo:
Un Papa che appena eletto, nonostante la guerra, vuole a tutti i costi scoprire quanto si nasconde sotto la basilica di San Pietro. Una missione archeologica condotta nella massima riservatezza, sotto la regia di un monsignore tedesco amico personale del Pontefice, che sarebbe stato coinvolto anche in un’operazione di spionaggio contro Hitler e quindi sarebbe diventato uno dei protagonisti della rete di assistenza agli ebrei perseguitati. Si svolge nei sotterranei del Vaticano la rocambolesca storia raccontata da Barbara Frale nel libro Il principe e il pescatore (Mondadori, pp. 354, 20), un volume su Pio XII e sulla scoperta della tomba di Pietro, a giorni in libreria.
La studiosa, autrice di noti quanto discussi saggi sulla Sindone e sui Templari, questa volta abbandona l’abituale ambito di ricerca - i documenti medievali dell’Archivio Segreto Vaticano - per raccontare, anche con l’uso di diari e di memorie della sua famiglia, l’aiuto dato dalla Chiesa agli ebrei. Concentrandosi soprattutto su un frammento ancora poco conosciuto di storia vaticana: gli incontri clandestini per favorire un complotto contro Hitler avvenuti nei pressi della tomba di Pietro, e l’impiego di alcuni ebrei come operai nei lavori di scavo. I quali, grazie a quella divisa, sarebbero sfuggiti alle grinfie dei nazifascisti che davano loro la caccia.
Tutto si svolge negli anni della guerra, intorno a quegli scavi condotti con metodi che l’archeologa Margherita Guarducci ebbe a definire «incredibilmente primitivi» perché avevano provocato notevoli danni a uno dei siti più importanti della civiltà occidentale. Pio XII, che volle pagare di tasca sua quella missione archeologica, l’aveva affidata a una sua vecchia conoscenza, monsignor Ludwig Kaas. I lavori portarono alla luce una necropoli e avrebbero permesso di scoprire il luogo della sepoltura del pescatore di Galilea. Diversi anni dopo, grazie agli studi della Guarducci, si sarebbe arrivati anche all’individuazione delle ossa, che Costantino aveva voluto estrarre dalla nuda terra, avvolgendole in un drappo di porpora imperiale e sistemandole in un loculo che portava accanto il graffito «Petros enì», Pietro è qui.
Secondo la ricostruzione dell’autrice, negli anni della guerra, quando il Vaticano pullulava di spie, proprio le Grotte vaticane sarebbero state teatro di quelle che saranno chiamate in codice le «Conversazioni romane», cioè gli incontri tra l’avvocato tedesco Josef Müller, ambasciatore segreto degli alti ufficiali del Reich che volevano rovesciare Hitler, e gli amici del Papa.
Pio XII, questo era già noto da diversi documenti e testimonianze, correndo un rischio altissimo, accettò di fare personalmente da tramite e da garante, senza però coinvolgere la Segreteria di Stato e dunque la Santa Sede. Attraverso due prelati tedeschi di sua fiducia - il già citato monsignor Kaas e il gesuita Robert Leiber - con il nome in codice «Fischer» (in tedesco «pescatore»), favorì i contatti con gli inglesi.
Barbara Frale fa notare come il cantiere delle Grotte vaticane rimase aperto negli anni tremendi della guerra, compreso il periodo fra il 1942 e il 1944, quando Roma era dominata dai nazisti e poi bombardata dagli Alleati. Un luogo inaccessibile a tutti per ordine superiore, «forse l’unico luogo del Vaticano del tutto libero da orecchi indiscreti».
Lo storico Andrea Riccardi ha documentato che di 160 rifugiati nascosti in Vaticano, 120 si trovavano nella canonica di San Pietro, direttamente collegata alla basilica: 40 di loro erano ebrei, di cui 15 convertiti al cattolicesimo e gli altri rimasti nella religione giudaica. «Monsignor Kaas - scrive Frale - era il grande regista di tutto questo movimento». La studiosa ipotizza che alcuni ebrei, mescolandosi ad altri operai, abbiano lavorato in quei sotterranei. E riporta «a titolo di pura curiosità, non certo di discussione storica», una fotografia che ritrae alcuni di loro al lavoro nei sotterranei - sono in maniche di camicia, ma hanno «il capo curiosamente coperto» con piccoli cappelli - affermando che potrebbe trattarsi di israeliti. Ipotesi suggestiva ma, per ammissione della stessa autrice, non documentata. Qualche risposta forse arriverà dall’apertura degli Archivi sul pontificato di papa Pacelli.
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