Testata: Libero Data: 12 giugno 2011 Pagina: 19 Autore: Mario Dergani Titolo: «Basta un clic su facebook per diventare amico della jihad»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 12/06/2011, a pag. 19, l'articolo di Mario Dergani dal titolo "Basta un clic su facebook per diventare amico della jihad".
Facebook, Osama bin Laden
Unirsi alla jihad è semplice. Basta cliccare “mi piace” sulla pagina Facebook della Al-Kataib Media Foundation. Non è proprio la prima scelta in tema di guerra santa: si tratta degli Shabaab somali. Magari il percorso di adesione ad Al Qaeda potrà rivelarsi un po’ più complicato. Però, una volta stabilito il contatto con un gruppo, si può sempre tentare il salto al livello superiore. Fra i 415 membri dell’Ansar Al mujahideen network, che ha il proprio gruppo sul social network più famoso del mondo, ci si scambiano informazioni, pareri, indirizzi con gente che si trova in Malaysia oppure a Roma, così come nei fantomatici Emirati Islamici del Bangladesh. Si può stringere amicizia virutale, nella prospettiva di affiliarsi. Serve sempre qualcuno che faccia da basista, procuri documenti, denaro, rifugio. Così, per una tattica prudenziale, non si inseriscono troppi dati personali e la foto del profilo spesso corrisponde al volto di Osama bin Laden o riproduce semplicemente la bandiera dei talebani. Negli ultimi mesi, riferisce il think tank statunitense Investigative Project on Terrorism, nonostante l’eli - minazione di numerosi uomini ai vertici della galassia del terrorismo islamico, «i fondatori di Al Qaeda sono rimasti gli idoli del movimento e i loro filmati e le loro pubblicazioni costituiscono tuttora la base delle loro pagine su Facebook». Ciò non toglie che «la linfa vitale dei movimenti rimangono gli attivisti dei web forum e dei social network, come produttori e consumatori della rete mediatica che alimenta il pensiero jihadista». Accanto alle figure storiche, quindi emergono personaggi di spicco che si affiancano alle sigle più note, come i terroristi palestinesi di Hamas, ormai già sbarcati in forze anche su Twitter e Youtube. In teoria, incitare alla violenza o all’odio razziale è proibito e comunque rischia di condurre alla cancellazione di account e gruppi, ma le organizzazioni jihadiste e le loro divisioni “stampa e propaganda” si sono specializzate nell’aggirare l’ostacolo delle restrizioni. Basta inserire un link che rimanda a un sito web dove si possono poi visionare e scaricare i filmati in cui sono riprese le azioni di guerriglia o i proclami contro gli infedeli e il gioco è fatto. Finché nessuno protesta e segnala le violazioni, comunque, si può agire indisturbati. Alcuni, meno noti sulla scena internazionale, come gli Shabaab somali, la Jaish-e-Muhammad o la Lashkare- Tayyba pakistane si possono permettere per un tempo indefinito di glorificare le campagne di attentati suicidi e chiamare a raccolta i musulmani. Se ne sono serviti anche i manifestanti pacifici della “primavera araba”, come moltiplicatore di potenza delle rivolte contro le dittature del Medio Oriente. Allo stesso modo, secondo una ricerca svolta dal Congresso statunitense nel marzo scorso, gli strumenti tecnologici possono «favorire elementi operativi e consentire loro di organizzarsi e di agire rapidamente». E non andrebbe sottovalutato il rischio che «possano radicalizzare simpatizzanti in Occidente e anche fornire un mezzo di comunicazione fra questi “lupi solitari” e reti terroristiche più estese e organizzate ». È il virus più pericoloso che si è diffuso finora tramite Internet. E viaggia a una velocità di contagio molto maggiore dell’allarme lanciato dagli specialisti dell’antiterrorismo.
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