Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/06/2011, a pag. 57, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo "Le donne musulmane in piazza con il velo".
Sergio Romano
Sergio Romano scrive : " Per molti aspetti la condizione della donna nell’Islam è il più eloquente segnale del ritardo sociale e culturale che affligge il mondo musulmano. Paralizzati dal loro tradizionalismo religioso, i Paesi arabi hanno lungamente trascurato una parte considerevole del loro capitale umano. ". Un'analisi corretta della situazione della donna nei Paesi islamici. Non si può scrivere altrettanto della conclusione del pezzo. Romano, infatti, chiude la sua risposta con un'utopia : " I progressi degli scorsi anni sono stati lenti e graduali. Quelli dei prossimi saranno molto più rapidi e decisivi ". Romano scrive questa frase riferendosi al ruolo attivo delle donne nelle manifestazioni in Egitto, Yemen, Tunisia,...evidentemente era distratto quando i quotidiani hanno riportatole cronache di quanto successo dopo in Egitto, per esempio. Appena Mubarak è scappato e l'esercito (d'acordo coi Fratelli Musulmani) ha preso in mano la situazione, per le donne non c'è stato più spazio. Imprigionate, torturate, costrette a subire test di verginità. Questi sarebbero i cambiamenti rapidi e decisivi per il futuro delle donne nei Paesi islamici?
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:
Per quale motivo quando in televisione si vedono musulmani prostrati in preghiera sono soltanto uomini?
Cesare Scotti
cesare.scotti@libero.it
Caro Scotti,
Qualche giorno fa, al Cairo, ho visitato due fra le più importanti moschee del mondo islamico. La prima, quella di Al Azhar, è la «parrocchia» del Grande Iman, la maggiore autorità spirituale dell’Islam sunnita, e fu costruita nel 970 d. C. La seconda, quella di Ibn Tulun, è un luogo di straordinaria bellezza e grande fascino religioso, costruito un secolo prima. Nella grande navata di Al Azhar, in mezzo a una foresta di colonne, vi erano ragazzi accovacciati contro il muro o sdraiati sul dorso che riposavano, meditavano, leggevano il Corano, i detti del profeta o i grandi trattati della teologia musulmana. Nella seconda, pressoché deserta, due uomini dicevano le preghiere di fronte al mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca. Non vi erano donne, nell’una e nell’altra, ma a Ibn Tulun mi è stata mostrata una tenda di canapa intrecciata che divide il porticato e crea in tal modo una sorta di matroneo in cui le donne possono fare le loro devozioni senza essere viste. A differenza della chiesa cristiana, la moschea, come nell’antichità tutti i luoghi di culto delle tre maggiori religioni monoteiste, è ancora un territorio prevalentemente maschile. Per molti aspetti la condizione della donna nell’Islam è il più eloquente segnale del ritardo sociale e culturale che affligge il mondo musulmano. Paralizzati dal loro tradizionalismo religioso, i Paesi arabi hanno lungamente trascurato una parte considerevole del loro capitale umano. Anche in anni recenti, quando aderivano alla Convenzione per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, alcuni governi musulmani invocavano le loro tradizioni religiose per depositare agli atti dell’Onu una riserva sull’applicazione dell’art. 16 che sancisce l’eguaglianza degli sposi nella vita matrimoniale. Vi sono alcuni segnali, tuttavia, che non sarebbe giusto sottovalutare. Dopo la promulgazione, nel 2004, di un nuovo codice della famiglia, molto più liberale del precedente, il Marocco ha ritirato le sue riserve. Negli altri Paesi arabi dell’Africa del Nord — Tunisia, Algeria, Libia, Egitto — le donne hanno nelle loro mani una carta che le madri e le nonne non possedevano. Molte hanno studiato, hanno un diploma, una professione, una carriera, un ufficio pubblico, un seggio al Parlamento: posizioni da cui possono ripartire per assicurare alle loro figlie traguardi più ambiziosi. Il fenomeno è divenuto visibile quando le piazze arabe e musulmane, da Teheran al Cairo, dalla Tunisia allo Yemen, si sono riempite di ragazze che manifestavano accanto agli uomini per gli stessi obiettivi. Le immagini più straordinarie sono quelle dello Yemen, uno dei Paesi più tradizionalisti, dove molte ragazze indossavano il niqab (la veste nera che avvolge tutto il corpo e lascia scoperti soltanto gli occhi), ma gridavano la loro protesta di fronte alle telecamere e mostravano all’obiettivo le loro richieste scritte sul palmo delle mani. I progressi degli scorsi anni sono stati lenti e graduali. Quelli dei prossimi saranno molto più rapidi e decisivi.
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