Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/06/2011, a pag. 20, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Gates: i soldati americani non fuggiranno da Kabul".
Robert Gates
«Gli Stati Uniti non fuggiranno dall’Afghanistan»: il ministro della Difesa Robert Gates sceglie la visita di saluto al quartier generale della Nato a Bruxelles per far conoscere il dissenso dei militari sull’ipotesi di una consistente riduzione di truppe caldeggiata dai leader democratici del Congresso.
A Washington lo scontro sui numeri dell’inizio del ritiro, stabilito dal presidente
Barack Obama per luglio, è in pieno svolgimento. Al momento in Afghanistan vi sono circa 100 mila soldati americani e i leader democratici premono per ottenerne una consistente diminuzione. Carl Levin, capo della commissione Forze Armate al Senato, suggerisce di tagliare almeno 15 mila soldati e John Kerry, capo della commissione Esteri del Senato, ritiene necessaria una «revisione di strategia» basandosi su un recente rapporto del Congresso che denuncia «sperperi e corruzione» in Afghanistan dovuti all’eccesso di danaro pubblico stanziato per la ricostruzione. Senza contare la necessità di ridurre le spese militari per alleggerire il debito nazionale. Poiché nel 2009 Obama decise di inviare 30 mila rinforzi in Afghanistan ora i democratici premono affinché un numero pari - se non addrittura 40 mila - venga ritirato entro i primi 12 mesi della transizione della sicurezza agli afghani, che si concluderà nel 2014.
Sono opinioni che trovano ascolto alla Casa Bianca da parte del Consigliere per la Sicurezza nazionale, Tom Donilon. Lo stesso presidente Obama ha lasciato intendere che le sta prendendo in considerazione quando, nel corso di un’intervista tv concessa martedì, ha detto che in Afghanistan «abbiamo compiuto gran parte della nostra missione perché Osama bin Laden è morto, Al Qaeda in ginocchio e la nazione stabile al punto che i taleban non possono tornare al potere» e dunque «è arrivato il momento che gli afghani si assumano maggiori responsabilità».
Ma a frenare è il Pentagono che invece vorrebbe ripetere il precedente dell’Iraq, dove la Casa Bianca decise il ritiro nel 2008 lasciando poi ai comandi sul terreno di stabilirne numeri e tempi. Gates e David Petraeus, comandante delle truppe in Afghanistan, su questo sono d’accordo anche perché intimoriti dalle conseguenze che un consistente e accelerato ritiro americano potrebbe avere sulla tenuta della coalizione internazionale.
Fonti vicine a Gates hanno fatto trapelare ieri che la Germania ha chiesto a Washington di «non accelerare troppo il ritiro» in coincidenza con la visita della cancelliera Angela Merkel alla Casa Bianca. Anche il nuovo ambasciatore Usa a Kabul, Ryan Crocker, durante l’audizione al Senato ha ammonito che «l’America non può semplicemente andarsene dall’Afghanistan» perché ciò comportebbe «conseguenze molto gravi», in ragione del fatto che le forze afghane ancora hanno bisogno di tempo e preparazione per essere in grado nel 2014 di gestire l’intera sicurezza nazionale, come previsto dalle intese raggiunte con la Nato.
A sostenere la prudenza del Pentagono vi sono i leader repubblicani del Congresso. John McCain, senatore dell’Arizona, stabilisce a «3000 uomini» il limite massimo per il primo passo mentre Lindsey Graham, senatore della Sud Carolina, suggerisce di «lasciare la definizione dei numeri ai comandanti».
Ma il 30 giugno sarà l’ultimo giorno di Gates al Pentagono, dove è in arrivo Leon Panetta, capo della Cia uscente. «I progressi in Afghanistan ci sono ma sono ancora fragili e reversibili» ha detto Panetta durante l’audizione al Senato, evitando di pronunciarsi sui numeri perché questa decisione verrà presa solo dal presidente. E al fine di far comprendere come anche il ritiro quasi ultimato da Baghdad comporta rischi, Panetta ha aggiunto: «In Iraq vi sono ancora mille militanti di Al Qaeda».
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