Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/06/2011, a pag. 15, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Così Riad ha comprato la primavera araba".
Arabia Saudita Gian Micalessin
Laggiù in Medio Oriente tutto è in vendita. Anche la primavera. Anche i sogni di democrazia. Chiedetelo a re Abdallah. Chiedetelo ai principi sauditi. Da quelle parti la nuova stagione non è mai sbocciata. E i suoi rari germogli son finiti nel congelatore. Un congelatore caro e dispendioso, ma capace grazie ai denari impiegati per farlo girare d’ibernare ogni sogno di libertà e riforme.
Grazie ai 90 miliardi di euro investiti per distribuire aumenti di stipendio, mensilità omaggio e nuovi appartamenti, i signori di Riad hanno fin qui evitato dimostrazioni, rivolte e fastidiose richieste di democratizzazione. E un aiutino è andato anche ai circoli religiosi, sempre assai sensibili, nonostante i costumi austeri, al profumo del denaro. Inebriato da quell’effluvio di quattrini il mufti di corte è riuscito persino ad inventarsi una fatwa su misura capace di proibire la partecipazione di qualsiasi buon musulmano alle manifestazioni di piazza.
Di fronte a cotanta esternazione qualsiasi fedele con del sale in zucca dovrebbe chiedersi come sia avvenuta la rivoluzione iraniana. O come mai masse d’agitati integralisti si riversino in strada non appena un vignettista disegna il turbante del Profeta. Ma questi son pensieri complessi che in Arabia saudita nessuno si può permettere d’abbozzare. E allora meglio guardar al bicchiere, o meglio, alla coppa mezza piena. L’unico modesto segno di disgelo è, infatti, la cosiddetta riforma del reggiseno. Da fine mese, grazie ad una sortita di re Abdallah, il gentil sesso potrà evitare di comprare slip e reggiseni in negozi di lingerie gestiti solo da maschi barbuti. L’82enne sovrano - evidentemente sensibile alla privacy e all’imbarazzo femminile - ha deciso d’imporre un’eccezione alla legge che impedisce alle donne di svolgere, di fatto, qualsiasi incarico lavorativo. Grazie alla promessa riforma i negozi d’intimo potranno assumere commesse donne e togliere d’impaccio le proprie clienti.
La rivoluzione del reggiseno resta però la classica rondine che non fa primavera. Una primavera obnubilata e cancellata da una nevicata di denaro. Per capire da dove arrivino i 90 miliardi di euro usati per comprare la voglia di libertà e riforme dei sudditi sauditi basta dare un occhiata ai grafici che disegnano l’ininterrotta impennata dei prezzi del petrolio. Grazie a quelle curve il sovrano s’è intascato lo scorso anno circa 147 miliardi di euro. Ma a differenza dell’imprevidente Gheddafi, i Paperoni wahabiti di Riad han deciso d’investire una minima parte dei loro trilioni per addomesticare e placare i potenziali contestatori. Quando a marzo scatta la prima chiamata alle piazze dell’opposizione saudita Abdallah risponde regalando due mesi di stipendio extra ai dipendenti pubblici e destinando 48 miliardi di euro alla costruzione di alloggi popolari.
Ma il colpo da maestro dell’ottuagenario sovrano sono i circa 140 milioni di euro allungati ai più importanti circoli wahabiti, tra cui l’agguerrita polizia religiosa. Il sovrano sa bene che nell’autoclave del regno bollono sia la voglia di democrazia dei gruppi più liberali, sia le tendenze fanatiche dei gruppi pronti ad accusarlo di essere un pericoloso riformista.
Con quelle centinaia di milioni disseminati come spiccioli tra imam arrabbiati e circoli islamisti re Abdallah mette a tacere i pazzi di corte capaci di dividere l’esercito, infiltrare i servizi di sicurezza, stringere alleanze con gruppi qaidisti. Con la parte più consistente del gruzzolo investito in supplementi di stipendio, aumenti di paga e piani di edilizia popolare si compra la loro voglia di libertà e democrazia.
Ora resta da vedere quanto durerà l’effetto taumaturgico del balsamo denaro. All’interno della famiglia reale qualcuno dubita che la cura sia definitiva. Il primo a dimostrarsi perplesso è il principe Talal Abdul Aziz, fratellastro e rivale, 79enne, del re Abdallah.Il problema –spiega in un’intervista che suona come una dichiarazione di guerra - è che «qualcuno si ostina a non guardar quanto gli succede sotto gli occhi, rifiuta di capire la lezione della Storia». Almeno finché può sperare di comprarsela.
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