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Giorgia Greco
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Eric Lamet, Il bambino nel paese del sole 06/06/2011

Il bambino nel paese del sole         Eric Lamet
Traduzione di Ilaria Katerinov
Sperling & Kupfer                               Euro 18

S’intende per confino o soggiorno obbligato un provvedimento giudiziario, messo in atto anche senza un regolare processo e un illecito effettivamente commesso, che costringe ad abitare in un luogo, deciso dalle autorità, per un periodo transitorio, diverso dalla propria abituale residenza. Il confino più largamente conosciuto in ambito storico è di sicuro quello comune, in uso durante il fascismo, per prevenire e non per punire un reato. Era una via di mezzo fra l’ammonizione e il carcere poiché contemplava l’allontanamento dalla propria città ma allo stesso tempo preservava una relativa libertà personale. Poteva avere una valenza politica o di controllo sociale per soggetti ritenuti sospetti e pericolosi, spesso si accaniva contro classi vittime di persecuzioni razziali e razziste. In Italia soprattutto in molti paesini del Sud furono ospitati ai tempi della Grande Guerra numerosi ebrei fuggiti dall’inferno tedesco e dall’incubo dello sterminio. Anche l’Irpinia, terra montuosa e abbastanza isolata dai nodi nevralgici del Meridione, fu scelta come meta ideale per il confino di perseguitati e gente oppressa. Avellino con la sua dimenticata provincia rappresentava la località di prima scelta, con le sue comunicazioni difficili, con quella mentalità ancor chiusa ed arcaica, era il posto giusto per relegare ai margini della società confinati politici, omosessuali ed ebrei. Ma chi ha trascorso anche solo pochi mesi nel verde dei nostri boschi, a contatto con la natura più schietta, l’aria salubre e l’accoglienza del nostro caldo popolo li porterà con sé nel cuore, per sempre. Eric Lamet, ebreo polacco attualmente residente negli Stati Uniti, ha voluto riportare la sua bella esperienza vissuta, seppur in un tragico momento, ad Ospedaletto d’Alpinolo, uno dei tanti arroccati paesini che accolsero i rifugiati ebrei trasferiti in Italia per sfuggire alle persecuzioni. I suoi ricordi, vivi e nitidi ancora oggi, li ha messi per iscritto in un romanzo di memoria edito da Sperling & Kupfer intitolato “Il bambino nel paese del sole- La storia vera di un ragazzo ebreo in fuga da Hitler nell’Italia di Mussolini”. Aveva solo otto anni quando il piccolo Eric fu letteralmente sradicato dalle sue origini, dalle sue abitudini, dalla sua vita per intraprendere un viaggio interminabile prima a Vienna, poi in Francia ed Italia alla disperata ricerca di un posto tranquillo dove stare con la sua mamma, l’inseparabile Mutti. Un continuo peregrinare durato dodici anni che li ha condotti fino a noi, fino ad Avellino, “una sessantina di chilometri a est di Napoli”. Non fu semplice adattarsi alle abitudini di una realtà che “per tanti versi rappresentava un balzo indietro nel tempo rispetto al 1941. La vita in quel paesino isolato si svolgeva ancora come alla fine del secolo precedente …” . Carlotte Szyfra e il piccolo Eric girarono parecchie camere prima di trovare quella più adatta alle loro esigenze e in questa circostanza fecero la conoscenza della famiglia Matarazzo, Antonietta in particolare, umile e disponibile nei confronti dei due rifugiati. Pur essendo solo un bambino, il piccolo ebreo ricorda con chiarezza le cose e gli aspetti che maggiormente lo colpirono di Ospedaletto come l’acqua fresca di montagna che sgorgava dalla fontana gelida e sempre limpidissima e che tuttora è possibile bere, allora come oggi, nella piazza principale del paese. Un’acqua pura e saporita, che calma la sete e rinfresca gli animi. Alcune usanze tipiche soprattutto delle ragazze sono rimaste impresse nella sua memoria come la tradizione de ‘o cupiello, quel pesante contenitore che le donne portavano con sorprendente disinvoltura dopo aver arrotolato un grosso straccio, ‘o truocchio. Eric era colpito dalla grazia con cui queste esili ragazze portavano sul capo litri e litri di acqua dopo aver impostato un saldo equilibrio delle gambe e una postura dritta della schiena. Nelle narici e nella mente dell’adulto signor Lamet è ancor presente come un ricordo proustiano il dolce profumo e l’aroma di quelle fragoline selvatiche che maturavano sotto i cespugli bassi ombreggiati dagli alberi di castagne. “Imparai anche a scovare i frutti di bosco che gli altri non trovavano- ricorda il piccolo polacco- chinandomi fin quasi a terra per cercarli sotto il fogliame”. Erano circa una settantina i confinati ad Ospedaletto, tutte persone perbene, che tiravano avanti con un piccolo sussidio fornito dal regime fascista e costrette alla pratica giornaliera della firma in caserma. Oltre ad ebrei vi erano internati inglesi probabilmente emarginati a causa del loro cognome anglosassone e tra di loro si stabilì subito una certa solidarietà ed amicizia, complice l’essere accomunati dalla triste sorte dell’esilio involontario in terra straniera. Nonostante i molti anni intercorsi Eric ricorda ancora la dislocazione del paese e gli elementi architettonici che contraddistinguevano il centro della piccola comunità irpina come la chiesa seicentesca che sorgeva al centro di Ospedaletto “nel punto più alto della piazza principale, proprio di fronte al caffè dove don Pasquale passava la maggior parte delle ore libere a giocare a scopa o a briscola. Il campanile, a metà tra il punto più alto e quello più basso del paese, svettava sopra le case come a ricordare di continuo l’onnipresenza divina”. E’ vero, erano stati internati, per ovvi motivi, in un posto dimenticato dall’uomo ma “migliaia di rondini si ricordavano di noi- si legge in un’immagine commovente dell’autore- e tornavano ogni anno, portando l’idea della libertà a noi che avevamo perso la nostra”. Incuriosito dalla pratica della messa domenicale e dalle usanze tipiche della nostra religione, Eric conservò sempre le sue radici riuscendo con la collaborazione di Mutti e degli altri ebrei lì presenti a rispettare seppur con qualche limite i festeggiamenti del calendario giudaico, il tanto atteso giorno di Rosh Hashanah. Durante il lungo periodo di permanenza ad Ospedaletto Eric acquisì familiarità con tutte le attività sociali e religiose del luogo, alcune tuttora osservate, come i famosi pellegrinaggi a Montevergine, quando uomini e donne carichi di qualche provvista e di carità cristiana, percorrevano a piedi anche ottanta chilometri per raggiungere il tanto venerato monastero di Mamma Schiavona. Agli occhi di un bambino non potevano passare inosservate alcune tipiche e golose usanze allestite con cura sulle bancarelle di legno “ collane di castagne secche e nocciole affumicate, oltre a torrone fatto in casa …” Guardava con stupita ammirazione i ragazzi che preparavano con un mestolo gigante lo squisito dolce locale fatto di miele, nocciole arrostite e albumi, che già allora costituiva una delle principali fonti di reddito per gli industriosi abitanti del paese. Ricorda tutto Eric di Ospedaletto, la macellazione del maiale, il raccolto delle prelibate castagne che si svolgeva in autunno e i tanti modi gustosi per prepararle, bollite con la buccia o a caldarroste. Il tempo scorreva veloce in paese tra il gioco del bridge, le bocce, la lettura e il lavoro a maglia. E non si perdeva mai di vista la situazione politica italiana ed estera, tramite la radio e le sporadiche missive rigorosamente censurate si apprendevano notizie dei propri familiari probabilmente relegati nei campi di concentramento tedeschi. Eric capì subito che anche il suo amato papà forse stava subendo lo stesso tragico destino, ad avvalorare il suo infausto pensiero fu il crescente interesse che la sua mamma provava nei confronti dell’intellettuale Pietro Russo, siciliano confinato ad Ospedaletto in quanto convinto antifascista. Passarono molti mesi prima che il tranquillo paese fosse ridestato dall’arrivo di un contingente tedesco: era la primavera del 1943. “Veicoli militari ovunque-scrive Lamet- un traffico che non si era mai visto a Ospedaletto. Le motociclette rombavano avanti e indietro, e la moltitudine di soldati armati nel paese mi fece pensare che da un momento all’altro ci saremmo ritrovati nel bel mezzo della guerra …”. Le paure di Eric si concretizzarono quando si seppe della richiesta fatta da un ufficiale tedesco a don Peppe di una lista contenente i nominativi di tutti gli ebrei internati nel paese. E alla paura si accompagnò la consapevolezza che “la sicurezza e la protezione che avevamo percepito in quel paesino all’antica erano scomparse all’improvviso”. Presa dallo sconforto più totale ma ancora padrona della situazione Lotte decise che era il momento di lasciare Ospedaletto per trovare rifugio nella casa del Signore, al monastero di Montevergine. Rimasero nascosti fino all’arrivo delle forze alleate reduci dalla vittoria della battaglia di Salerno. Partirono presto da Ospedaletto prima alla volta di Napoli dove trascorsero ben sei anni in agiatezza, poi di New York ed infine del Messico. Eric Lamet dall’attuale residenza in Florida, dove da ingegnere ha sviluppato fini doti imprenditoriali, ha cercato di mantenere i rapporti con tutte le persone conosciute nell’esilio italiano ed è ritornato nei luoghi della sua triste ma avventurosa infanzia, proprio nel 2008 è stato invitato dalla comunità di Ospedaletto che gli ha conferito la cittadinanza onoraria.
Eric ha potuto visitare l’appartamento in cui visse con Mutti e con gioia ha appurato gli inevitabili cambiamenti causati dal tempo e dal benessere economico che non hanno scalfito però la calda accoglienza e l’umanità della gente, gentile e disponibile oggi come tanti anni fa. 

Francesca Festa
Il Corriere dell’Irpinia


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