venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.06.2011 L'Egitto nelle mani dei Fratelli Musulmani, grazie alla 'Primavera'
Se n'è accorto pure Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 giugno 2011
Pagina: 1
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Egitto, rivoluzione rimasta a metà»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/06/2011, a pag. 1-7, l'articolo di Sergio Romano dal titolo "Egitto, rivoluzione rimasta a metà".


Sergio Romano

In attesa di leggere la seconda puntata, se non interviene il solito Romano 'flip flop', notiamo che ha fatto totalmente marcia indietro sulla 'primavera' egiziana.
Romano, finalmente, si accorge del pericolo Fratelli Musulmani, pericolo che qualunque analista alle prime armi, ma non ancora entrato nella mentalità filoislamica alla Sergio Romano, avrebbe colto da subito.
Ecco l'articolo:

Piazza Tahrir è uno spazio anomalo privo di una evidente chiarezza urbanistica. Non è né quadrata, né rettangolare, né rotonda. Non ha un centro, un punto focale in cui collocare un palco da cui l’oratore possa indirizzarsi a tutta la folla. A parte il Museo egiziano delle antichità, una larga facciata colorata di ocra in stile eclettico che domina dal 1902 un lato della piazza, molti altri edifici sembrano essere sorti casualmente in epoche diverse secondo un piano regolatore che obbediva ai capricci dell’architetto e del committente piuttosto che a una visione razionale dello spazio urbano. Mentre guardo un anziano oratore che si è ritagliato una piccola area dove esorta un centinaio di persone a chiedere la condanna a morte per i complici del regime di Mubarak, mi chiedo se questo non fosse il luogo predestinato per un evento che non è propriamente una «rivoluzione» , come si è deciso di chiamarlo, e che contiene in sé parecchie contraddizioni. I rivoluzionari sono il prodotto di un regime che ha molte colpe, ma ha avuto il merito di scolarizzarli e di incoraggiare le tecnologie della comunicazione, dalla telefonia mobile a Internet: due fattori che hanno avuto nella rivolta un ruolo decisivo. I giovani hanno dato nascita, nel calore delle manifestazioni, a un movimento senza leader e senza strategia fuor che quella di rovesciare il «faraone» , come gli egiziani chiamavano da molti anni Hosni Mubarak. Hanno vinto, alla fine, grazie a un colpo di Stato militare. E rischiano di avere lavorato per la Fratellanza musulmana, vale a dire per una organizzazione introversa e arcaica che sogna un futuro completamente diverso da quello per cui si sono battuti. Caduto il regime e in attesa del processo a Mubarak, che dovrebbe iniziare il 9 agosto, l’Egitto ha bisogno di un parlamento, di una costituzione e di un presidente della Repubblica. Su questa triplice esigenza la maggior parte delle forze politiche e dei movimenti riformatori sembra essere d’accordo. Non vi è accordo invece sulla sequenza. Il Consiglio Supremo militare ha già ritoccato la costituzione con i nove emendamenti approvati dagli elettori nel referendum del 20 marzo, ha l’aria di pensare che questo per il momento possa bastare, conferma che le elezioni parlamentari avranno luogo in settembre e quelle presidenziali in dicembre. Altre eventuali riforme costituzionali potrebbero essere lasciate a un organo costituente creato e nominato dal Parlamento. La Fratellanza musulmana approva questa «mappa stradale» . I partiti laici, liberal democratici e social democratici (formazioni embrionali, prive per il momento di qualsiasi consistenza istituzionale e organizzazione territoriale) sostengono invece che è meglio rovesciare il percorso. Occorre cominciare dalla costituzione, sottoporla a un referendum popolare, eleggere il Parlamento e il presidente soltanto quando sarà chiaro a tutti quali siano i loro rispettivi poteri. La grande manifestazione del 27 maggio (il secondo «venerdì della collera» , come viene definito) è stata organizzata per chiedere al governo maggiore rigore contro gli esponenti del regime incarcerati o fuggiaschi, ma è stata utilizzata dai partiti laici per evitare una sorta di restaurazione gestita in condominio dai militari e dalla Fratellanza. Queste nuove forze politiche vogliono il rinvio delle elezioni parlamentari, ovviamente, perché nessuna di esse è in grado di affrontare il voto e soprattutto perché il vincitore sarebbe «Libertà e giustizia» , il partito della Fratellanza, il solo che abbia quadri, attivisti, radicamento territoriale e una forte coesione. Ma non è sbagliato sostenere che l’elezione del parlamento e quella del presidente debbano avere luogo soltanto dopo l’approvazione di una nuova Carta in cui siano iscritti i principali obiettivi delle rivolte degli scorsi mesi. Sorprendente, se mai, è che nessuno chieda un’Assemblea costituente eletta dal popolo e lasci sostanzialmente ai militari il compito di promuoverne la redazione. Ho cercato di sollevare il problema con tre leader: Georges Ishak, fondatore nel 2004 del movimento dissenziente Kefaya (Basta!); Emad Gad, ricercatore del Centro di studi strategici del quotidiano «Al Ahram» (uno dei migliori think-tank del Paese) e fondatore con altri del Partito social-democratico egiziano; Naghib Sawiris, grande imprenditore delle telecomunicazioni (in Italia è azionista di Wind), copto e fondatore del partito «Egiziani liberi» . Gad, in particolare, sospetta l’esistenza di un patto fra i militari e la Fratellanza, non troppo diverso da quello che i Fratelli Musulmani, secondo alcuni osservatori, avevano concluso con Mubarak. I Fratelli controllerebbero il parlamento e la conformità delle leggi ai principi del loro islamismo occhiuto e tradizionalista. I militari manterrebbero le grandi linee di una costituzione presidenzialista e si riserverebbero di fatto il diritto di indirizzare i voti verso il loro candidato preferito alla presidenza della Repubblica. È la politica inaugurata da Sadat dopo la morte di Nasser e proseguita con stile diverso dal suo predecessore. È il «compromesso storico» con cui i militari e la Fratellanza vorrebbero «tornare all’ordine» . I laici lo sanno e lo temono, ma sembrano convinti che i militari siano indispensabili alla transizione e che con loro sia possibile ragionare. Per verificare le loro impressioni e i loro timori ho parlato a lungo con Mohamed El Beltagy, coordinatore dei Fratelli musulmani per le relazioni esterne, vale a dire una sorta di ministro degli Esteri, delegato a spiegare i programmi del suo movimento e a tranquillizzare l’opinione pubblica internazionale. È un uomo alto, sbarbato, vestito con un sobrio decoro borghese, ma ostenta lo «zibibbo» , la piccola macchia violacea leggermente rilevata che spunta sulla fronte del fedele quando colpisce la pietra con maggiore fervore durante le sue preghiere quotidiane. Secondo Beltagy la Fratellanza non vuole dominare il parlamento e aspira soltanto al 30%dei deputati. Ma è pronta a sostenere candidati «onesti» di qualsiasi provenienza politica per formare un gruppo parlamentare pari al 45/50%dell’Assemblea. Quando osservo che i Fratelli sembrano pensare a una coalizione e gli chiedo quali siano i gruppi politici con cui vogliono accordarsi, respinge la definizione. Si tratterà soltanto di intese con personalità competenti e virtuose. Replico che il loro metodo mi sembra quello delle democrazie popolari dove i partiti comunisti imbarcavano nel loro carro, prima delle pseudo-elezioni, un certo numero di compagni di viaggio. Beltagy sorride, divertito ed evita di contraddirmi. Ma questo non significa che sia d’accordo. Significa che la Fratellanza, soprattutto in questo momento, non vuole spaventare né gli egiziani, né la società internazionale con toni aggressivi e polemici. I miei interlocutori laici — Ishak, Gad, Sawiris — pensano che i toni sommessi e concilianti del suo stile siano l’espressione di una politica accorta e ambigua; e preferiscono diffidare. Altri credono che dietro questa prudenza vi sia un forte dibattito, all’interno del movimento, fra tradizionalisti e riformatori. Esisterebbero molti giovani fratelli che sono stati contagiati dall’atmosfera di piazza Tahrir e hanno persino partecipato, contro la volontà del loro movimento, al secondo «venerdì della collera» . Chiedo a Beltagy qualche maggiore informazione sul modo in cui i Fratelli intendano realizzare le loro alleanze. Risponde che tutto dipende dalla legge elettorale che dovrà essere decisa, dopo un ampio giro di consultazioni, dal Consiglio supremo militare. Se sarà proporzionale, come vorrebbero i partiti laici e democratici, la Fratellanza si accorderà con gli «onesti» per formare liste comuni. Se sarà maggioritaria, sosterrà i suoi amici nei collegi in cui saranno candidati. In realtà la legge, probabilmente, non sarà né interamente maggioritaria né interamente proporzionale. I Fratelli musulmani vorrebbero che i due terzi dell’Assemblea venissero eletti con il sistema maggioritario e un terzo con il proporzionale; i laici preferirebbero rovesciare le percentuali. Toccherà ai militari, in ultima analisi, decidere. Sanno di essere indispensabili e di avere uno straordinario margine di autonomia. Ma sanno anche che piazza Tahrir può ancora riempirsi da un giorno all’altro e soprattutto che le forze armate hanno molti poteri, ma non quello di sparare sulla gioventù egiziana. La rivolta non ha ancora una testa, ma ha certamente un cuore che non ha smesso di battere e può ancora riservare al Paese qualche sorpresa. (1-continua).

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT