Nessun nuovo Medio Oriente all’orizzonte
di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)
Zvi MazelLa cosidetta primavera araba non ha ancora portato la democrazia nel mondo arabo. I governi d’Egitto e Tunisia, i paesi moderati della regione più vicini all’Occidente, vacillano. In Libia e Yemen è in corso una sanguinosa guerra civile.In Siria, Bashar Assad uccide centinaia di civili nel vano sforzo di bloccare le proteste, mentre la comunità internazionale rimane ai margini, non volendo ripetere l’errore dell’intervento libico dimostratori un fiasco. L’Arabia saudita, il paese con il regime più oppressivo di tutti, rimane un’isola di stabilità.
La cosidetta primavera araba non ha ancora portato la democrazia nel mondo arabo. I governi d’Egitto e Tunisia, i paesi moderati della regione più vicini all’Occidente, vacillano. In Libia e Yemen è in corso una sanguinosa guerra civile.In Siria, Bashar Assad uccide centinaia di civili nel vano sforzo di bloccare le proteste, mentre la comunità internazionale rimane ai margini, non volendo ripetere l’errore dell’intervento libico dimostratori un fiasco. L’Arabia saudita, il paese con il regime più oppressivo di tutti, rimane un’isola di stabilità.
L’Iran, che è all’origine di molte delle rivolte, accresce la sua penetrazione nella regione.Continua ad incitare gli sciiti in Barhein e Kuweit contro i sunniti al potere, alimentando la tensione nei regimi del Golfo. La scorsa settimana abbiamo visto l’imbarazzo causato dalla messa in libertà di un prigioniero, un diplomatico iraniano accusato di spionaggio, espulso nel suo paese di origine, che ha ridicolizzato la nuova politica di apertura verso l’Iran del Ministro degli Esteri egiziano Nbil ElArabi.
Come è successo per il disastro causato dalla caduta delle economie della maggior parte dei paesi della regione. Il turismo, una voce fondamentale per Tunisia e Egitto, non è mai stato a così bassi livelli. Gli investimenti stranieri hanno preso il volo. I lavoratori egiziani scioperano per avere migliori stipendi, portando esportazioni ed importazione ad un arresto, causando la mancanza dei beni di prima necessità.
In tutta la regione, le masse che affollano le strade nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita e che vogliono liberarsi dai regimi dittatoriali, si trovano oggi ad affrontare una crisi economica peggiore di quelle che hanno vissuto prima. Questo porterà una maggiore instabilità, più violenza e una situazione in generale sempre più grave.
Dov’è allora la novità ? Ancora una volta il mondo arabo riconferma la sua tradizionale posizione contro il processo di pace. In Egitto ci sono coloro che chiedono la rottura del trattato di pace e l’arresto delle forniture di gas naturale egiziano a Israele. Malgrado sia interesse dell’Egitto mantenere la pace e solide relazioni commercali con Israele. Da come stanno le cose, senza una leadership e nessun obiettivo chiaro dopo la daduta dei vecchi regimi, niente è più probabile che si ritorni al una politica anti-israeliana. L’indottrinamento islamico, dalle scuole alle moschee, è più forte di qualunque forza razionale. Quando le dimostrazioni iniziarono in Tunisia e in Egitto, i partecipanti appartenevano alle nuove generazioni che lottavano per i loro diritti,avendo abbandonato i vecchi cliché che volevano Israele responsabile di tutto il male in Medio Oriente. Ma il giudizio era prematuro. Persino Asmaa Mahfouz, una dei fondatori del movimento egiziano ' bloggers del 6 Aprile', il cui appello su Youtube si ritiene abbia dato il via alle proteste, ha detto recentemente in televisione che troncare i legami con Israele è il dovere più urgente da compiere.
Che dire dei palestinesi ? Anche loro si sono avviati verso comportamenti estremisti verso Israele.Molti sono convinti che è possibile duplicare le dimostrazioni di massa viste nei paesi arabi per esercitare pressione su Israele, e guadagnare un sostegno internazionale alle loro posizioni. Sebbene Fatah e Hamas abbiano apparentemente trovato un accordo e che il confine di Rafah sia aperto, questi non sono altro che atti nazionalistici e anti-israeliani che non modificano il quadro politico. Hamas non si è spostata di una virgola e i suoi leader dichiarano ogni giorno di voler distruggere Israele, prendendo in giro il Quartetto che chiede invece il riconoscimento di Israele, la firma di un accordo condiviso e la rinuncia al terrorismo. Hamas, monotamente, si rifiuta di smantellare le sue forze di sicurezza per metterle al servizio del Presidente dell’Autorità palestinese. Ancora peggio, Hamas cerca con tutti i mezzi, leciti o no, di impadronirsi di Fatah. Curiosamente Fatah ha accettato che Hamas entrasse nell’Olp e avesse un ruolo nelle trattative con Israele. Ovviamente l’Anp si è rappacificata con Hamas senza concessioni per il solo scopo di presentare alle Nazioni Unite un fronte unito in grado di chiedere a settembre il riconoscimento internazionale.
L’Autorità palestinese si dà da fare ad organizzare dimostrazioni di massa ai confini d’Israele e nelle capitali arabe e occidentali per influenzare l’opinione pubblica internazionale, mentre crea un legame tra le rivoluzioni arabe la presunta disperazione dei palestinesi.
Aprire il valico di Rafah è stato anche un gesto di vicinanza alla rivoluzione. L’Egitto rivoluzionario ha voluto dimostrare la propria indipendenza da Usa e Israele, schierandosi dalla parte delle forze anti-israeliane emerse dopo le proteste. Invece, pochi giorni dopo la tanto propagandata apertura, è risultatoi chiaro che non era questo ciò che Hamas voleva; infatti ha condannato unanimemente i regolamenti e le imposizioni per chi voleva attraversare il valico. Il fatto è che l’Egitto capisce bene la posizione strategica di Rafah e il danno che può arrivare dall’entrata di armi nel Sinai per l’uso che possono farne le tribù dei beduini, una popolazione sempre pronta ad attacchi terroristici. Da qui la sua duplice politica: da un lato apre il valico, dall’altro controlla minuziosamente la situazione.
Le rivoluzioni arabe arriveranno dappertutto ? Lo scorso 1° giugno, il quotidiano Shark al Awsat ha pubblicato un lungo editoriale di un prestigioso commentatore. “ La storia ci insegna che il modello di una rivoluzione che fa cadere un regime stabile per introdurre graduali riforme, come in Barhein o in Egitto, porta a un regime estremista, meno incline a proteggere i diritti civili. Le rivoluzioni del mondo arabo non sono come quelle dell’Europa occidentale del 1848, o quelle del 1989 nell’Europa dell’est. Esse non sono niente di più se non rivolte popolari in una regione dove funzionano le ideologie estremiste religiose e i nazionalismi più esacerbati. “ E continua: “ L’intera regione è sottoposta ad un test storico molto difficile, ma molti cemmentatori non si rendono conto che questo test non si risolverà fra un anno o due, ci vorranno probabilmente molti anni, e che non necessariamente avremo dei buoni risultati in quanto a democrazia, un regime corretto e un benessere economico”. Aggiunge poi: “ Si capisce lo stato di anarchia che prevale adesso dal fatto che le condizioni economiche, che sono alla base dell’inizio delle manifestazioni, non sono più fra le richieste dei dimostranti. Al posto dello spirito rivoluzionario, ricco di nobili ideali, prevalgono la richiesta di vendetta, di sangue, e l’appropriazione di beni per motivi non sempre corretti per epurare il regime precedente”.
L’Occidente rifiuta un giudizio severo, preferisce intonare poemi sulla primavera araba, nell’illusione ingenua che emergeranno forze liberali che porteranno il mondo arabo a un tipo di democrazia occidentale, basata sulla tolleranza e l’accettazione dell’altro, libertà di parola, uguaglianza pe le donne e diritti umani. La realtà è un’altra. Gheddafi e Bashar Assad sono ancora al potere e non se ne andranno senza una lotta sanguinosa. Anche il destino del ferito Abdallah Saleh non è ancora chiaro. Se cadranno, le organizzazioni islamiche sono pronte a prendere il potere. In questi tre paesi, i Fratelli Musulmani e i gruppi salafiti sono i poteri politici forti capaci di raccogliere i frutti della rivoluzione. Non va dimenticato che in Egitto i Fratelli Musulmani stanno creando un blocco unitario con le altre forze islamiche per vincere le prossime elezioni parlamentari. In Giordania, i Fratelli, rappresentati dal “Fronte per l’Azione islamica”, sono in prima linea durante le manifestazioni.
Da un lato le attività sovversive iraniane sono in crescita; dall’altro i Fratelli Musulmani fanno del loro meglio per impadronirsi dei paesi del Medio Oriente. Questo non fa presumere che la regione stia andando verso la via della democrazia, la promozione della tolleranza e persino il riconoscimento di Israele quale stato del popolo ebraico.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta.