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Il Manifesto Rassegna Stampa
05.06.2011 Nessuna invasione al confine nord, solo una delicata 'pressione'
Un titolo imbarazzante che nasconde la verità

Testata: Il Manifesto
Data: 05 giugno 2011
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «La >pressione sulle frontiere< per rivendicare il diritto al ritorno (pag.8)»

C'è qualcuno che se la sente di avvisare Michele Giorgio che l'auspicata (da lui) invasione di israele al confine nord è stata annullata e trasformata in una semplice e ordinata protesta entro i confini libanesi, in più sotto stretto controllo delle forze dell'ordine dello stesso Libano ?
Comprendiamo il disappunto del Fedayin Michele e dei suoi compagni nella redazione romana del quotidiano di Rocca Cannuccia, ma per stavolta è andata male. Non basta, cari compagni comunisti, sostituire "invasione" con "pressione" nel titolo, ricordatevi che chi si arrampica sugli specchi è fatale che scivoli.
I lettori penseranno che la tentata invasione ci sia stata, naturalmente quelli che si nutrono di solo Manifesto.

Michele Giorgio: " La >pressione sulle frontiere< per rivendicare il diritto al ritorno" (pag.8)

Israele ha schierato nelle ultime ore rinforzi di polizia ed esercito ai principali posti di blocco con la Cisgiordania e la Striscia di Gaza e lungo i confini e le linee di armistizio con Libano, Siria e Giordania. L’intento è impedire la «pressione alle frontiere» annunciata per oggi, anniversario della «Naksa» - la sconfitta araba nella Guerra dei Sei Giorni (1967) e la conseguente occupazione militare israeliana - damolte migliaia di palestinesi (non solo i profughi) e di attivisti arabi. Come per lo scorso 15 maggio, lo slogan delle manifestazioni è il «diritto al ritorno», ossia del rientro dei profughi a case e villaggi originari (ora in territorio israeliano) da dove nel 1948 circa 750mila palestinesi furono espulsi o fuggirono (oggi i rifugiati palestinesi e i loro discendenti sono 5 milioni, tra quelli che vivono in campi nei paesi arabi e quelli che sono a Gaza e in Cisgiordania). Il premier israeliano Netanyahu a metà settimana ha avvertito, con parole di fuoco, che non sarà tollerato alcun tentativo di penetrazione da parte deimanifestanti, e Tel Aviv ha fatto arrivare ai governi di Libano, Siria e Giordania,ma anche all’Autorità nazionale palestinese, messaggi di ammonimento. La tensione èmolto forte e leminacce di pesanti ritorsioni hanno avuto impatto a Beirut, dove le autorità militari hanno vietato la marcia dei palestinesi lungo il confine. A profughi e attivisti libanesi oggi non sarà permesso attraversare l’area sud del fiume Litani e, stando alle ultime notizie, i promotori potrebbero ripiegare su un sit-in di fronte all’ex prigione di Khiam (usata dagli israeliani durante l’occupazione del Libano del sud tra il 1978 e il 2000) o nella città portuale di Sidone. Incerta è anche una nuova manifestazione a ridosso dei reticolati sulle Alture del Golan (siriane ma occupate da Israele), come quella dello scorso 15maggio che vide migliaia di palestinesi passare sul versante controllato da Israele nei pressi del villaggio druso diMajdal Shams (imorti furono quattro, di cui tre del campo palestinese di Yarmouk, aDamasco). In azione per impedire la «pressione» sul confine israeliano entreranno con ogni probabilità anche le forze di sicurezza giordane. Fare previsioni è azzardatoma ieri sera appariva chiaro che le manifestazioni più imponenti si svolgeranno ai valichi tra Israele e i Territori occupati, in particolare a nord e a sud di Gerusalemme. «Il nostro scopo è manifestare tutti insiemedavanti al più disumano posto di blocco di tutta la Cisgiordania e di cercare di oltrepassarlo per dirigerci verso Gerusalemme», spiega Majd Hamid, 23 anni, di Ramallah, tra i principali attivisti palestinesi: «Cristiani e musulmani si raduneranno aQalandyia e pregheranno insieme per poi dare inizio a una marcia pacifica verso Gerusalemme ». AGaza migliaia di profughi convergeranno sul valico di Erez. Per i palestinesi, specie quelli più giovani, le manifestazioni di oggi sono il naturale sviluppo del movimento del «15 marzo» per l’unità nazionale, la rifondazione dell’Olp e per una alternativa politica alle soluzioni proposte da Fatah eHamas. Come nelle rivolte arabe di questi mesi, la voce di questo movimento palestinese è soprattutto il web (in particolare la pagina Facebook «Sawt al-Manara »), dove si trovano le principali attività dei gruppi di giovani e continui aggiornamenti su attività svolte e previste. Elemento che coagula le componenti politiche palestinesi, e le generazioni, resta l’attuazione del diritto al ritorno per i profughi, che Israele respinge seccamente e considera «una minaccia alla sua esistenza» in quanto Stato ebraico. «Sappiamo che il 5 giugno non torneremo nelle nostre case – dice Khalil, 23enne, del campo profughi di Dehisha (Betlemme) – ma è l’inizio della lotta. Dobbiamo dimostrare che i palestinesi che si battono per la liberazione non sono solo i quattro milioni e mezzo di profughi. Sono quattordici milioni nel mondo intero».

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