Con il titolo" Rivolta premeditata", il FOGLIO di oggi, 02/06/2011, a pag.1/4, pubblica un articolo di Ariel David sulle marce ai confini di Israele, soprattutto quello con la Siria. Il tentativo di utilizzare l'anniversario della sconfitta degli stati arabi del 1948, appiccicandogli il nome naqba, è qualcosa di più di una protesta, dietro c'è la Siria e l'Iran, il suo mentore.
Ecco il pezzo:
Majdal Shams. Oggi non c’è nessuno sulla “collina delle grida”, il piccolo rilievo sul confine tra Israele e Siria dove una volta le famiglie divise dalla Guerra dei sei giorni si parlavano con i megafoni, perché le comunità druse di Majdal Shams e degli altri villaggi nelle alture del Golan comunicano con i parenti in Siria su Facebook, Skype, Twitter e altri social network. Proprio su Internet si prepara la nuova ondata di proteste contro Israele simile a quella del 15 maggio, quando i palestinesi hanno commemorato la Nakba, la “catastrofe” della creazione dello stato ebraico, con violenti scontri costati la vita a quattordici manifestanti. Domani è l’anniversario della Naksa, la “sconfitta” nella guerra del ’67, e sul sito 3rdintifa.com, che raccoglie 400 mila adepti su Facebook, c’è il programma delle “azioni” che si svolgeranno lungo i confini e dentro Israele subito dopo la preghiera nelle moschee. Obiettivo della cosiddetta terza Intifada è “liberare la Palestina dal mare al fiume”, dal mar Mediterraneo al Giordano, ovvero: cancellare Israele. A Gerusalemme e nella West Bank si marcerà verso la moschea di Al Aqsa, mentre a Gaza e nei paesi confinanti s’invita a scontrarsi con l’esercito israeliano nei vari “punti di contatto”. Altre manifestazioni sono previste per il 5 giugno, anniversario del primo giorno di guerra, e per il 7, quando le truppe israeliane entrarono a Gerusalemme est. Il capo di stato maggiore, Benny Gantz, spiega che “l’esercito si sta preparando a gestire manifestazioni di massa su più fronti nei prossimi giorni”. I soldati a guardia dei 500 metri che separano la “collina delle grida” dal villaggio di Majdal, in territorio israeliano, temono una replica del 15 maggio, quando migliaia di palestinesi, provenienti dai campi profughi in Siria, si sono riversati a sorpresa nella stretta terra di nessuno e un centinaio ha passato il confine.L’uso massiccio di Internet e di manifestazioni popolari ricorda le rivoluzioni contro i regimi dittatoriali del medio oriente, ma gli scopi di queste proteste e la mano che le guida appaiono ben diversi. “In Siria non si può arrivare al confine con novanta autobus e 4 mila persone senza il permesso del regime – spiega al Foglio un ufficiale testimone degli scontri nel Golan – I soldati siriani sono stati completamente passivi, anche quando i manifestanti hanno strappato loro le armi”. I militari di Tsahal e gli abitanti drusi di Majdal ricordano con un brivido la macabra efficienza con cui i manifestanti hanno attraversato i campi minati, divisi in colonne guidate da tre aspiranti martiri, pronti a saltare in aria, per poi aggredire i soldati con pietre e spranghe di ferro. “Non so come ma sono riusciti ad arrivare nel centro del villaggio”, racconta Mansour Halabi, un impiegato del comune. “C’era un ragazzino di quindici anni cui ho detto di tornare a casa e lui mi ha risposto ‘non voglio tornare, voglio morire, voglio essere un martire.’ Gli avevano fatto il lavaggio del cervello”. Grazie anche alla mediazione dei leader religiosi di Majdal quasi tutti gli infiltrati sono poi rientrati in Siria, lasciando sul campo quattro morti. Negli scontri sul confine con il Libano, dove a sparare è stato anche l’esercito libanese, ci sono state dieci vittime. Pur ammettendo l’iniziale sorpresa, l’esercito israeliano ha considerato appropriata la risposta dei comandanti e dei soldati sul campo, che hanno usato gas lacrimogeni, sparato in aria e, soltanto come ultima risorsa, alle gambe degli infiltrati. La prossima volta il bilancio potrebbe essere più pesante. I vertici israeliani leggono nella protesta il tentativo di spostare l’attenzione dalle crisi interne e lanciare un avvertimento a Gerusalemme e all’occidente sull’instabilità che seguirebbe la caduta di Bashar el Assad. “L’intento è provocare un massacro, fare qualche centinaio di morti per screditare Israele e distrarre da quello che succede in Siria e nel resto dei paesi arabi”, dice un portavoce dell’esercito.
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