Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 31/05/2011, a pag. 21, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo "Sequestrato il giornalista scomodo".
Syed Saleem Shahzad
La sera di domenica scorsa, Syed Saleem Shahzad, capo dell’uffico pachistano di «Asia Times», collaboratore de «La Stampa» e corrispondente dell’«Aki», è stato rapito in pieno centro di Islamabad mentre si avviava a partecipare a un programma televisivo. Alle 17,42 era a circa venti minuti dalla sede di Dunya Tv, in Margalla Road, quando il suo cellulare è stato spento, è questa l’ultima traccia elettronica che si ha di lui. La sua automobile non è ancora stata ritrovata.
Nato a Karachi, 39 anni, una moglie, Anita, un figlio e una figlia piccoli, Saleem è considerato uno dei maggiori esperti di terrorismo e guerriglia nell’Af-Pak, la martoriata area che comprende Afghanistan e Pakistan. Da poco è uscito il suo libro «Inside Al Qaeda and Taliban», si trova su Amazon. Ha già vissuto situazioni difficili, come nel 2006 quando nell’Helmand afghano fu arrestato come spia dai taleban che però, avendo verificato che era davvero un giornalista, lo rilasciarono dopo pochi giorni. Oppure lo scorso anno a Islamabad: per una discussione una guardia privata della piscina che frequentava gli sparò un colpo di pistola nello stomaco. Rischiò di morire.
Ma questa volta le circostanze sembrano più inquietanti che in passato. Aveva appena scritto un articolo in due parti per «Asia Times. net» dove in riferimento al recente attacco terroristico alla base aero-navale di Mehran a Karachi rivelava l’esistenza di un nucleo segreto di Al Qaeda tra i ranghi degli ufficiali della Marina. Nel clima infuocato di polemiche e sospetti seguito in Pakistan all’uccisione di Bin Laden, le sue affermazioni sono state una bomba. Nel servizio parla un ufficiale sotto anonimato. Da un po’ di tempo, racconta, «si notavano strani raggruppamenti in alcune basi di Karachi che sembravano tradire lo spirito della disciplina militare». I servizi segreti decisero di ficcare il naso e scoprirono che il gruppo progettava attentati contro funzionari e militari americani. Una decina di graduati, in maggioranza di basso rango, finirono in prigione.
«Da allora cominciarono i guai», dice l’ufficiale senza nome. I militanti jihadisti a cui probabilmente arrivavano informazioni riservate, cominciarono a preparare attacchi per liberare i compagni arrestati. Il caso fu affidato alla Brigata 313 di Maulana Ilyas Kashmiri, una specie di formazione d’élite di Al Qaeda che di solito ha la sua base in Waziristan, l’ex «buen retiro» di Bin Laden. Al Qaeda giocò per prima la carta della trattativa chiedendo la liberazione dei militari. Il risultato preliminare la dice lunga sulla forza di Al Qaeda in Pakistan: fu dato subito via libera alle visite dei parenti ai militari arrestati. Pare che l’esercito avesse accettato di cacciare gli ufficiali senza pene detentive in cambio di una tregua. L’uccisione di Bin Laden ha ribaltato il tavolo e i terroristi, con sicuri aiuti interni, cartine e informazioni precise, il 22 maggio hanno attaccato in grande stile la base aero-navale di Mehran, uccidendo 5 soldati e distruggendo diversi mezzi.
Saleem ha alzato una pietra e ha scoperto che sotto c’erano i vermi: un gruppo di ufficiali fedeli ad Al Qaeda dentro la Marina pachistana. Nessuna traccia permette in questo momento di dire chi lo abbia rapito, ma il contesto consente di indirizzare sospetti ragionevoli: forse su Al Qaeda o forse meglio ancora sull’Intelligence militare che in questa vicenda ha perso ancora una volta la faccia. «È stupefacente ha detto ieri il direttore della South Asian Free Media Association, Ali Imran - che in una città come Islamabad, sempre sottoposta a strette misure di sicurezza, i giornalisti siano ripetutamente oggetto di incidenti simili». Benvenuti nel Pakistan dove i reporter spariscono e Al Qaeda è infiltrata nei gangli vitali dello Stato. Per fortuna, come dicono i generali, l’arsenale atomico è al sicuro. Oppure no?
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